Nei giorni precedenti, la rapida diffusione del Coronavirus ha gettato nel panico l’intera popolazione.
La divulgazione da parte della stampa del decreto dell’8 marzo 2020, prima della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle leggi, ha creato un allarme sociale tale da originare vere e proprie fughe di massa dalle cosiddette zone rosse, certamente irresponsabili ma dettate dall’incontrollata paura dilagata tra le persone.
Questa medesima paura ha raggiunto anche le persone recluse in carcere, e l’emergenza coronavirus ha solo inferto un altro colpo a una istituzione, come il carcere, che si rivela ancora una volta criminogena.
Il nostro sistema carcerario, come noto, versa in condizioni critiche da tempo: il sovraffollamento è un problema comune a tutti gli istituti, alcuni dei quali arrivano ad ospitare il 30% di persone in più rispetto alla regolamentare capienza. Strutture fatiscenti e la carenza di spazi tali da riuscire a garantire quel minimo di vivibilità richiesto dalla legge pongono le nostre carceri in una condizione di violazione perenne delle normative vigenti in materia e ci relegano all’ultimo posto nella classifica europea.
Per quanto concerne poi il rispetto del diritto alla salute, la competenza regionale in materia di sanità carceraria rende impossibile la corretta gestione di qualsiasi emergenza si verifichi. Sono moltissimi i casi di persone che non ricevono le cure di cui necessiterebbero e nonostante ciò non viene loro concesso il differimento della pena cui avrebbero diritto ad accedere.
In questo contesto, di paura per le notizie relative alla epidemia che si propagava fuori, di sistematica violazione dei diritti in relazione agli spazi minimi fruibili per cella e di negazione, di fatto, dell’accesso alle cure necessarie, è intervenuta la decisione di sospendere i colloqui dei detenuti con i propri familiari. Ad oggi, infatti, le comunicazioni possono avvenire soltanto in video o per telefono, e i permessi premio (compresi quelli già autorizzati), i permessi di lavoro, e la semilibertà sono stati sospesi. A ciò si aggiunga che ai cosiddetti semiliberi, che il durante il giorno escono dagli istituti per lavorare facendovi rientro la sera, anziché concedere la detenzione domiciliare è stata revocata la possibilità di uscire anche durante le ore diurne, così come sono state revocate le licenze agli internati nelle case di lavoro.
Drastiche limitazioni sono intervenute anche rispetto all’accesso di volontari e soggetti che a vario titolo portavano avanti le attività svolte dai detenuti durante la reclusione.
In modo completamente contraddittorio e incomprensibile, invece, niente è stato predisposto rispetto ai nuovi giunti, che continuano ad entrare in carcere: nessuna misura è stata intrapresa per regolamentare l’entrata del corpo di polizia penitenziaria, di infermieri, medici, operatori dell’area trattamentale (relativamente ai pochi la cui attività non è stata sospesa) e degli avvocati difensori. Tutti questi soggetti sono, infatti, autorizzati ad entrare in carcere senza previo controllo rispetto alla propria condizione di salute, esponendo così tutta la popolazione carceraria al rischio di contagio rappresentato da chi si sposta dalle proprie case, dalle proprie città, e si reca a lavorare negli istituti di pena.
Ci chiediamo perché nessuna adeguata norma igienico sanitaria venga fatta osservare ai soggetti in entrata e perché non sono ancora stati predisposti i triage che avrebbero dovuto verificare le condizioni di salute di qualsiasi persona debba accedere agli istituti di pena.
La decisione di sospensione immediata dei colloqui con i familiari e delle attività portate avanti da operatori e volontari senza preoccuparsi al contempo di predisporre e far rispettare le altrettanto importanti regole per evitare la diffusione del virus, risulta essere profondamente ingiusta e disumana e consegna la cifra della scarsissima considerazione in cui lo Stato italiano, in questo momento storico, tiene le persone detenute.
Risulta, infatti, evidente che le misure da prendere, per scongiurare il rischio di una catastrofica propagazione del virus nelle carceri, sono ben altre: se davvero si volesse proteggere una grande fetta di popolazione – i detenuti attualmente sono 61.000 – dal rischio di contagio occorrerebbe svuotare, quanto più possibile, gli istituiti di pena, in primis allargando la possibilità di accesso a pene alternative.
Una cospicua fetta di detenuti deve scontare gli ultimi due anni di pena, una gran parte di essi è reclusa a seguito di reati puniti con pene inferiori a 5 anni di reclusione (reati che, pertanto, non costituiscono particolare allarme sociale), molti altri sono in carcere in ragione di misure cautelari e non hanno, quindi, ancora avuto un processo che accerti la loro colpevolezza.
Ci chiediamo perché queste persone non vengono immediatamente poste agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare.
Misure simili sono state recentemente adottate persino dall’autoritario Governo iraniano, che a seguito dell’emergenza rappresentata dal Covid-19, ha rilasciato, con permessi temporanei, 70.000 detenuti.
In questi giorni in una trentina di istituti penitenziari, la gravità della situazione e l’assoluta superficialità e inadeguatezza con sui è stata affrontata dal Governo ha causato lo scoppio di violente rivolte nelle quali hanno perso la vita già 13 detenuti, tre dei quali trasferiti prima del decesso in altri istituti. La causa della morte di queste persone, al momento individuata in overdose, lascia non poco perplessi, anche rispetto alla non curanza con la quale l’autorità penitenziaria è abituata a gestire la morte in carcere.
Ci auguriamo che sulle responsabilità di tali morti venga fatta al più presto chiarezza.
Potere al Popolo! porta avanti da tempo una campagna a favore della depenalizzazione di determinati reati e di provvedimenti clemenziali, quali amnistia o indulto, al fine di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario.
In questa situazione di emergenza, riteniamo doveroso e non più procrastinabile un intervento in tale direzione.
Parallelamente occorre, da subito, rafforzare il personale dei Tribunali di Sorveglianza, magari anche attraverso l’impiego dei Magistrati che in ragione della sospensione non terranno udienze, affinché verifichino quanti detenuti, e certamente non sono pochi, hanno diritto ad accedere alla detenzione domiciliare o a misure alternative alla detenzione, aumentando contestualmente, con decreto-legge, il limite massimo di pena da scontare per accedere a tali misure.
Occorre, altresì, limitare sensibilmente l’ingresso di nuovi detenuti, ricorrendo agli arresti domiciliari in luogo della detenzione in carcere e sospendendo l’esecuzione di tutti gli ordini relativi a pene inferiori ai due anni.
Occorre, infine, garantire il differimento della pena per le persone anziane o malate.
In questo momento così difficile per tutti, le misure tese alla tutela della salute non possono limitarsi all’abbandono dei detenuti nelle loro celle in totale solitudine ed insicurezza rispetto al rischio di contagio.
E’ stato sufficiente paventare, per le persone residenti in determinate province, la limitazione della libertà di movimento per due settimane (limitazione circoscritta alla propria abitazione, non certo ad una cella in cui sono ammassate il doppio o il triplo delle persone che per legge potrebbero starvi) per originare una psicosi collettiva.
Ebbene non si comprende perché non si sia stati in grado di, o non si abbia voluto, prevedere che una simile situazione avrebbe originato panico e disordini, soprattutto considerando che tale situazione è aggravata dalle condizioni di reclusione già invivibili prima del pericolo di contagio, ed è inoltre affrontata con misure di prevenzione insufficienti e con l’imposizione di ulteriori misure restrittive che risultano ingiustificate a fronte della completa sottovalutazione dei rischi evidenziata dal mancato ricorso a misure alternative volte a risolvere, nei tempi brevi dettati dall’emergenza, il problema del sovraffollamento.
Rigettando con forza l’idea che in uno Stato di diritto possano esistere cittadini di seria A e cittadini di serie B e convinti del dovere che le istituzioni hanno di garantire il pieno ed effettivo rispetto dei diritti di tutte e di tutti, condividiamo la profonda preoccupazione dei detenuti e delle detenute, manifestiamo tutta la nostra solidarietà ai loro familiari e chiediamo che vengano adottate, da subito, tutte le misure necessarie per far fronte all’emergenza del sovraffollamento carcerario, e per garantire cure mediche adeguate alla popolazione carceraria.
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