Stiamo andando verso il collasso dell’Unione Europea? Quali le alternative possibili?
“A la guerre comme à la guerre”, recita un celebre motto francese, con cui si vuole significare che ogni situazione va accettata per ciò che essa è, e che bisogna contentarsi delle risorse che sono offerte dalle circostanze.
Quali sono le risorse che i guardiani del rigore europeo vogliono utilizzare per affrontare la guerra imposta dalla attuale pandemia?
Quelle estorte in oltre 10 anni di fiscal compact, pareggio di bilancio, massicce privatizzazioni (in primis nella sanità pubblica, gallina dalle uova d’oro di ogni governo nazionale), distruzione del welfare, attacco sistematico ai diritti ed ai salari dei lavoratori, rapina di risorse industriali svendute per ripianare debiti costruiti ad arte dallo spread.
Una storia ben nota, che la nostra Organizzazione ha sempre evidenziato con forza, attraverso iniziative, convegni, campagne di massa, contribuendo a creare quella fucina di pensiero e di confronto tra militanti, economisti ed intellettuali che hanno dato vita a Eurostop, movimento politico che in questi anni ha sviluppato una campagna spesso solitaria contro la natura neo imperialista dell’Unione Europea.
I fatti che si susseguono in queste settimane alimentano e legittimano questa battaglia politico/culturale.
Di fronte alle pressanti richieste dei paesi oggi più colpiti dalla pandemia, la risposta degli Stati del Nord Europa, capeggiati da Olanda e Germania, è esemplificativa di una concezione del mondo: La razionalità ordoliberista non prevede sconti. Gli usurai di Bruxelles pretendono di riscuotere gli interessi sul debito che contrarremo per rispondere alla catastrofe in corso, e per fare questo sono disposti a salire sulle immense cataste di cadaveri prodotte dal Covid19. Del resto, la storia del colonialismo olandese, sulla quale si fonda la sua potenza di oggi, è un monito per tutti i popoli memori di un’epoca che, in forme diverse, si ripropone oggi in tutta la sua ferocia.
Un atteggiamento che sta determinando una rottura senza precedenti all’interno del gruppo dei 27 paesi che compongono oggi l’Unione Europea. Nove Paesi (Francia, Italia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Grecia, Portogallo e Slovenia) hanno sottoscritto un Documento congiunto presentato alla riunione dei capi di Stato e di Governo del 26 marzo per chiedere l’emissione di Corona Bond da parte di una istituzione Ue che non sia il MES, in grado cioè di garantire una condivisione degli oneri.
Sia chiaro, gli esecutivi che oggi chiedono questo aiuto lo fanno solo a causa della loro debolezza. A parti rovesciate si sarebbe determinata la solita situazione. In questo senso, non esistono “padroni buoni”.
Quello che ci interessa evidenziare e denunciare è un meccanismo, una logica che accomuna tutti gli esecutivi occidentali, corresponsabili di decenni di austerità e sacrifici, in nome dell’euro, del dollaro o dello yen, incarnazione cartacea delle regole imposte dal capitale finanziario e dalle multinazionali.
Un meccanismo che oggi emerge con agghiacciante chiarezza di fronte a milioni di persone, rinchiuse in casa e costrette ad assistere in TV e sui social a questo balletto di morte sulla loro pelle.
A fronte di questo spettacolo allucinante, emerge in tutta la sua alterità il comportamento interno ed estero di paesi a guida comunista, come la Cina, Cuba, il Vietnam, impegnati nella solidarietà attiva con tutti i popoli del mondo, a partire da quello italiano , attraverso l’invio di medici, infermieri e strumenti sanitari nell’epicentro della pandemia mondiale, in Lombardia e nelle altre città devastate dal Covid19.
In forme originali e completamente inedite, si ripete il confronto tra modelli sociali, concezioni del mondo e della gestione della cosa pubblica, rappresentate da paesi che il corona virus lo hanno sconfitto o lo tengono sotto ferreo controllo, grazie ad un sistema statuale pianificato, che trova in una popolazione solidale e unita il coronamento di una strategia collettiva di soluzione per una pandemia che sta mettendo in ginocchio le grandi potenze imperialiste.
Non a caso contro questi paesi si sta scatenando il livore ideologico del Direttore di Limes Caracciolo e dei maître à penser deputati a orientare gli esecutivi nazionali nelle loro politiche antipopolari. Un odio ideologico datato, che ora nasconde una paura politica sugli scenari del dopo emergenza, quando dovranno gestire la rabbia sociale indotta dall’approfondirsi di una crisi economica senza precedenti, in un contesto mondiale che vedrà una parte del mondo riprendersi e continuare a crescere, mentre noi rimarremo attanagliati da una depressione economica galoppante, dalla disoccupazione di massa e dalla miseria.
La partita che si giocherà nel dopo emergenza sarà cruciale, soprattutto per chi, come i comunisti, si pone il problema della rottura dello stato di cose presenti e della costruzione di un nuovo ordine economico, sociale e politico.
In questi anni la Rete dei Comunisti si è confrontata, ed alle volte scontrata, con le titubanze e le ambiguità di tanta sinistra sul tema della UE, che hanno fatto perdere anni preziosi alla sinistra di classe e di movimento per costruire nel nostro paese un fronte anti UE dai connotati internazionalisti e popolari, in grado di contrastare il sovranismo d’accatto delle destre.
Per sostanziare questa battaglia contro quello che definiamo un polo imperialista in costruzione abbiamo avanzato una proposta politica – che ci pare acquistare maggior valore alla luce degli eventi di oggi – per uscire dalla gabbia costruita dalla troika europea intorno ai popoli del Continente: la sua rottura e la costruzione di una alternativa concreta, che abbiamo definito “Alba Euromediterranea”.
Le proposte politiche, come quella sulla quale stiamo lavorando da anni con i compagni di Eurostop, si sostanziano sempre nella verifica con la realtà, che ci pare confermi quella “faglia” di interessi tra Nord e Sud Europa di fronte alla gestione continentale della pandemia. In questi anni abbiamo osservato, analizzato e verificato quanto e come, dalle sue crisi interne, il polo imperialista europeo sia sino ad ora uscito rafforzato nel suo progetto di unificazione imperialistica, incentrato intorno agli interessi del nucleo forte franco/tedesco.
I fatti di questi giorni assumono le caratteristiche di una crisi senza precedenti, nella quale coincidono e si sommano di fattori pre esistenti e agenti, che stanno cambiando profondamente gli assetti internazionali, i rapporti tra gli Stati e le grandi potenze.
La stagnazione prodotta dal default delle finanziarie statunitensi nel 2008, il declino dell’imperialismo statunitense, l’emergere della Cina come potenza alternativa e dinamica nel proscenio internazionale, in alleanza con la Russia ed altri paesi svincolati dal ricatto militare della potenza USA, sono tutti fattori che si sommano in una “tempesta perfetta” per un sistema, quello capitalistico, costretto a confrontarsi con le proprie insanabili contraddizioni e con nuove ipotesi di uscita dalla crisi che ci aspetta.
Quello che emerge concretamente dagli sconvolgimenti in atto è la possibilità di costruire nuove alleanze economiche e geo politiche, già emerse prima dell’attuale crisi, come la via della seta cinese, che lambisce già molti paesi europei, compresa l’Italia.
La posta in gioco sul tavolo dei prossimi summit della UE non sarà il tipo di risposta che verrà data all’aiuto che i nove paesi chiedono per uscire dalla pandemia, ma il futuro di una UE nata esclusivamente per garantire gli interessi del capitale finanziario e industriale europeo a dominanza tedesca.
In questa partita i comunisti possono giocare un ruolo molto importante, se saranno in grado innanzitutto di condividere un punto di vista teorico convergente sulla crisi di sistema che si sta configurando e sulle possibili alternative politiche da proporre ai movimenti di massa che si determineranno nel prossimo futuro, con la coscienza che non esistono “modelli” di riferimento, ma che alcuni elementi fondamentali di gestione della società emergono con chiarezza come punti di riferimento imprescindibili per indicare un cambio di sistema, evidentemente necessario per uscire dal pozzo senza fondo nel quale il capitalismo ha cacciato gran parte del pianeta.
Parliamo della centralità dello Stato e della pianificazione economica, del rilancio di un potente e pervasivo sistema di welfare, che crea quella coesione sociale imprescindibile per la tenuta di fronte alle sfide che la natura e lo sviluppo delle forze produttive pongono al genere umano.
Elementi strutturali e sociali che il capitalismo, nella sua fase neoliberista, non può utilizzare per l’assenza di quei margini economici che, in tempi passati, avevano permesso alle socialdemocrazie di sedersi al banchetto dei padroni, condividendo fino in fondo le scelte che ci hanno portato al crocicchio storico di oggi.
La storia e l’attualità del Socialismo, attraverso sistemi sopravvissuti alla catastrofe dell’89, con tutte le contraddizioni che ben conosciamo, si conferma un modello razionale ed umano, in grado di affrontare le sfide di una mondializzazione di fronte alla quale il capitalismo mostra tutti i propri limiti e l’incapacità di rispondere ai bisogni vitali delle grandi maggioranze.
*Rete dei Comunisti
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