Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, è un intellettuale borghese non particolarmente fanatico, a volte gli è capitato persino di esprimere qualche pensiero critico sul sistema e sulle sue ingiustizie. Ma erano altri tempi, non c’era stata la crisi della pandemia e non si annunciava quella economica e sociale conseguente.
Queste crisi hanno intaccato, non ancora minacciato – ma intaccato sì – il potere egemonico delle classi dirigenti del nostro paese. In particolare la Lombardia, con la sua strage unica in una delle regioni più ricche del mondo, ha mostrato tutte le terribili contraddizioni, ingiustizie, mostruose inefficienze di una realtà indicata come “modello” per il paese.
È quindi sorto un naturale spirito critico di massa verso un sistema tanto esaltato quanto fallimentare alla sua prima vera drammatica prova. Ma questo spirito critico non può essere accettato dal sistema liberista di potere, che da trent’anni smantella diritti e conquiste sociali in tutto il paese e che ha posto in Lombardia il vertice di una accumulazione di ricchezza ed affari che ha lasciato indietro la maggioranza dell’Italia.
La Lombardia è diventata la regione simbolo della globalizzazione liberista, ovviamente cancellando il fatto che essa sia stata tanto più arricchita da essa, quanto tanta parte del paese ne sia stata esclusa ed impoverita.
“Colpa sua”, dice ora De Bortoli in una intervista sull’Huffington Post. Perché il borghese moderato ed a volte persino illuminato non può ammettere che sorga un rifiuto verso il “modello lombardo”, perché sa che quel modello non è una regione, ma un sistema di potere complessivo.
Così De Bortoli abbandona le sue solite caute e bilanciate parole ed assume toni e contenuti che poterebbero essere di Fontana e Salvini, di Bonomi e prima ancora di Berlusconi.
Altro che autocritica della classe dirigente, De Bortoli la difende con arroganza e accusa chi critica la Lombardia (la sua giunta, ovvero un gruppo ristretto di amministratori, ndr) di essere mosso dall’invidia sociale dei falliti, che se la prendono con chi è riuscito a farcela.
Le migliaia di morti per Covid sono una “catastrofe improvvisa ed imprevedibile” che poteva arrivare ovunque e la Lombardia, con la sua “eccellente sanità privata” ha fatto il meglio, come dimostrano i “tanti che vengono a curarsi nella regione”. La sinistra ha alimentato questo spirito anti-lombardo perché non è riuscita a capire Craxi, Berlusconi, Bossi, Salvini, che di questa regione sono stati i principali prodotti politici.
Certo, forse la Lombardia ha espresso qualche “spirito semicoloniale verso altre parti del paese”, ma questo è solo un errore di superbia per i successi conseguiti, mentre “lo spirito antilombardo e antindustriale” che ora aleggia nel paese è un male da combattere.
Queste, in sintesi, le parole dell’ex direttore del Corriere della Sera, che riecheggiano quelle della gazzarra scatenata in Parlamento dalla destra, di fronte alle timide parole critiche di un esponente dei cinquestelle verso il sistema lombardo.
Guai a parlar male della Lombardia, così come guai a parlar male dell’Italia e guai a farlo sull’Europa. Ogni volta che si critica la realtà di un sistema – non il territorio o la sua popolazione, ma chi li governa e le sue scelte – ecco esplodere il patriottismo di chi comanda: “hai offeso la tua patria!”
Mai come oggi il patriottismo è manigolderia dei potenti, quale che sia la dimensione nella quale esso si esercita.
Il patriottismo lombardo di De Bortoli per altro non è solo della destra. Tutta la classe politica del PD, da Sala a Zingaretti, lo fa proprio allo stesso modo: “la Lombardia ti dà da mangiare, non offenderla”.
La sintesi perfetta di questo modo di reagire bipartisan a difesa del sistema lombardo la troviamo con il presidente della Confindustria, ex di Assolombarda, Bonomi. Per costui la Lombardia è semplicemente la libertà d’impresa, anche di fronte al Covid, e il governo ha il compito di finanziare i padroni delle imprese senza chiedere alcunché in cambio, fidandosi della loro lungimiranza e onestà.
Insomma chi critica la Lombardia in realtà critica il mercato, gli affari, il profitto, l’accumulo di ricchezza. Questo è ciò che interessa affermare davvero a De Bortoli e a tutti i “patrioti lombardi”.
Il sistema di potere lombardo è uno dei più corrotti d’Italia, la mafia invade gli affari dei colletti bianchi, lo sfruttamento del lavoro ha portato al primo commissariamento per caporalato di una multinazionale, l’ambiente e l’inquinamento sono al disastro, la casa è sempre più inaccessibile, la società è sempre più ingiusta ed escludente, abbandonando gli anziani allo sterminio nelle RSA e i giovani alla distruzione di futuro del precariato.
Sì, la Lombardia è un modello, ma un modello sbagliato, inseguendo il quale tutta l’Italia è diventata più povera, ingiusta e cattiva. Tutte le classi dirigenti sono state conquistate da quel modello, il campano De Luca ha passato una vita a cercare di diventare un governatore lombardo. E tutte le classi dirigenti hanno portato il paese alla crisi in cui si trova ora.
Ecco perché De Bortoli suona l’allarme di fronte ai sentimenti anti-lombardi, cioè al primo risorgere di uno spirito critico verso il capitalismo liberista. La sua è una chiamata di correo a tutti padroni d’Italia, ovunque domiciliati. “Guardate che siamo tutti lombardi”, li avvisa, “se crolliamo noi qui crolla tutto il sistema che ha dominato il paese negli ultimi trent’anni, crollate anche voi”.
Ed in fondo ha ragione, per questo bisogna alzare ancora più forte la voce contro il “modello Lombardia”; un modello fallimentare che ha fatto strage nella regione più ricca d’Italia e condotto fuori strada tutto il paese.
Con questa intervista De Bortoli usa il linguaggio di una Santanché, o di un Briatore, per sostenere il rilancio del catastrofico modello liberista, in Lombardia ed in Italia.
Per questo è necessario riaffermare una semplice verità: non è che ci sono i ricchi perché ci sono i poveri, MA CI SONO I POVERI PERCHÉ CI SONO I RICCHI.
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Io non sto con Oriana
Il signor De Bortoli ha ideato e condotto la serie di operazioni mediatiche che hanno imposto il “pensiero” di Oriana Fallaci all’agenda dei mass media. Per molti anni è stato sufficiente deridere le carte mandate in pubblicazione da quella donna (o da chi per lei) per essere nominati sul campo terroristi per contaminazione.
Con questo non si intende certo sostenere che lo sporco anche morale con cui si trovano a combattere ogni giorno le persone serie nello stato che occupa la penisola italiana sia per intero colpa di questo ben vestito, ma ribadire che la sua parte l’ha fatta, e l’ha fatta con impegno generoso e assiduo.