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Napoli/Campania: siamo quasi al collasso

In queste ore si rincorrono le dichiarazioni sulla stampa da parte di medici, direttori delle ASL e politiche che lanciano l’allarme sulla situazione sanitaria di una delle più grandi città del Mediterraneo.

Era davvero imprevedibile, che una seconda ondata di contagi mettesse a dura prova il fragile sistema sanitario campano?

Io credo di no, ma il punto è che se oggi siamo in questa condizione è inaccettabile che la soluzione, da parte di Governo e Regione, sia quella di buttare sulle spalle dei cittadini campani e napoletani.

Napoli non è Milano e la Campania non è la Lombardia, il nostro tessuto produttivo non è fatto di fabbriche, che grazie ai codici Ateco, possono restare aperte per garantire all’economia di resistere anche se si chiudono le attività dalle 23 in poi.

A Napoli in questi anni i pochi settori in crescita sono stati il turismo e la ristorazione, sui quali si sono riversati molti piccoli imprenditori locali, che rischiano di non riprendersi più da questa nuova ondata di chiusure.

A Napoli si vive di economia informale, di donne che fanno i servizi per pochi euro nelle case private, di ragazzi, a volte non proprio giovanissimi, che lavorano come porta pizze.

A Napoli chi vuole provare a stare fuori “dai guai”, negli si è aperto una bancarella in un mercato o fa l’ambulante con il carrettino della frutta per tirare avanti onestamente.

Nel centro e nelle periferie si vive la strada, si vive la notte, con i carrettini dei panini o delle bibite, che insieme a “pere e musso” e ” e’ spogne” (le pannocchie), sono una caratteristica fissa dei quartieri popolari, oggi tanto di moda con il nome più internazionale di “street food”.

Napoli è una città difficile, dove se sei fortunato riesci ad emigrare e ti crei un futuro, magari dopo aver lavorato per anni in un bar che tira fino alle 4 di notte a fare cocktail, insieme alle cornetterie e alle pizzerie. Come le commesse che lavorano 12 ore al giorno per 500 euro al mese, le cameriere o i ragazzi che consegnano le spese.

La nostra è una terra martoriata, che vede ogni anno partire 20.000 persone che non torneranno mai più, dove i numeri della disoccupazione e dell’occupazione femminile competono con i paesi dell’ex blocco sovietico o con quelli che una volta venivano chiamati paesi del terzo mondo.

Nello scorso marzo a questa regione è stato chiesto un sacrificio enorme, un lockdown che economicamente non potevamo permetterci e che abbiamo scoperto nei mesi successivi non giustificato per il numero di casi. Un sacrificio in nome di quella presunta unità nazionale, che dovrebbe vederci tutti cittadini di una sola Repubblica, dove i diritti dovrebbe valere per tutti a prescindere dal luogo di nascita segnato sulla carta d’identità.

Bisognava aspettare la Lombardia e il Veneto, non si doveva togliere il vantaggio alla “locomotiva”, purtroppo come al solito gli ultimi vagoni del treno alla fine sono rimasti fermi in stazione.

Oggi questa città e l’intera regione sono sul punto di collassare, mentre il Governo quasi se ne lava le mani, scaricando sui cittadini e sugli amministratori locali il peso di questa ulteriore crisi.

Se le misure di contenimento sono inevitabili, per tutelare la salute dei cittadini, che si garantiscano con ogni mezzo necessario i servizi di base, il funzionamento della scuola pubblica, della sanità e soprattutto servono risorse per permettere alle attività e ai lavoratori che verranno colpiti da queste misure, di poter vivere dignitosamente in questo momento.

C’è bisogno di un reddito universale, di sospendere le tasse, di bloccare gli affitti, basta con le cazzate, c’è bisogno di fare tutto questo ora e di progettare il futuro di questa economia smettendola di pensare che il mercato possa da solo sostenere tutti i costi sociali. Lo Stato deve tornare a fare lo Stato, prendendosi cura di chi è più fragile e colmando i gap che il mercato e l’economia continuamente creano.

Non si può più aspettare, la città sta per implodere e questa è una città bellissima che sa essere violenta e spietata, non si può mettere in campo un finto lockdown con l’intendo di non dichiararlo per evitare di elargire le sacrosante misure economiche di sostegno alle popolazioni colpite.

C’è bisogno di dare una risposta urgente, soprattutto nessuno deve rimanere indietro.

C’è bisogno di farlo subito.

Il Covid fa paura, ma la fame può rendere ciechi.

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