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Il golpe fallito di Trump non era una burletta

Vedendo le corna e sentendo I muggiti di Jack Angeli, il buffone che pareva appena giunto a Capitol Hill dal raduno leghista di Pontida, si può essere indotti a credere che l’assalto al Congresso degli Stati Uniti sia stato una goliardata, secondo la definizione con cui spesso i fascisti minimizzano le loro violente imprese. In realtà c’è stato un tentativo di golpe promosso, organizzato e gestito da Donald Trump.

Il golpe è fallito e questo lo ammanta di ridicolo, come accadde in Italia nel 1970 con il tentato colpo di stato di Junio Valerio Borghese. O nel 1981 con l’occupazione delle Cortes spagnole da parte del colonnello Tejero. O più recentemente con l’auto proclamazione di Guaidò a presidente del Venezuela.

Quando i golpe falliscono si tende a essere increduli sulla sanità mentale dei loro promotori: come hanno potuto seriamente pensare di riuscirci? Ma questo è solo il senno di poi, altri colpi di stato riescono e spesso gran parte del loro percorso è lo stesso di quelli che finiscono senza successo per chi li ha promossi.

Donald Trump aveva progettato un’azione eversiva con uno scopo preciso. Noi abbiamo sentito la registrazione del suo colloquio con il segretario di stato della Georgia, a cui chiedeva minacciosamente qualche migliaio di voti per ribaltare il risultato dello stato.

Quante centinaia di telefonate e incontri avrà fatto il Presidente degli Stati Uniti con politici, funzionari, militari, poliziotti, agenti segreti per ottenere appoggio? E i Proud Boys e le altre bande fasciste armate che hanno assalito il Congresso lo hanno fatto spontaneamente, senza nessun contatto diretto con emissari del presidente? E i poliziotti che li hanno lasciati entrare nel cosiddetto tempio della democrazia americana, simpatizzavano coi manifestanti solo per comune razzismo, o avevano ricevuto indicazioni a comportarsi così?

È chiaro che non è il caso che ha guidato l’occupazione del parlamento degli USA, ma un preciso disegno del presidente.

Trump aveva organizzato il blocco della ratifica del voto. Questo era il compito dei manifestanti a Washington, come del resto il presidente aveva proclamato nel suo comizio. Il rinvio della ratifica avrebbe dovuto necessariamente coincidere con altri eventi, che avrebbero concorso a invalidare il voto presidenziale in alcuni stati.

E a quel punto si sarebbe creata una situazione di stallo, nella quale i pronunciamenti di alcuni parlamenti statali a maggioranza repubblicana avrebbero ribaltato il voto popolare. A quel punto la Corte Suprema, dove con le ultime nomine Trump aveva costruito una netta maggioranza di destra, sarebbe potuta intervenire a favore del presidente sconfitto dal voto popolare.

Fantapolitica? Non proprio. Nel 2000 Al Gore aveva ottenuto mezzo milione di voti in più di Bush junior ed i grandi elettori erano quasi alla pari. Decisiva sarebbe stata la Florida e dopo un lungo contenzioso, con la Corte Suprema che aveva respinto la richiesta di Gore di ricontare i voti, il segretario di stato locale Katherine Harris, estrema destra repubblicana, assegnò i 25 grandi elettori decisivi a Bush, per uno scarto di 537 voti popolari. Al Gore fu poi convinto da tutto il sistema di potere, compreso quello che chiamiamo deep state, a rinunciare ad ogni contenzioso e a far buon viso a cattivo gioco.

Coloro che dichiarano oggi Trump come un corpo estraneo alla limpida democrazia USA dimenticano che il sistema elettorale presidenziale, dove è negato il principio “una testa un voto” e dove limitati spostamenti di voti in stati piccoli valgono come milioni voti nei più grandi, questo sistema è naturalmente predisposto alla falsificazione e allo stravolgimento del pronunciamento popolare.

Biden ha preso oltre 7 milioni di voti in più di Trump, ma sarebbe bastato che cambiassero di segno 150000 voti negli stati in bilico, e oggi il repubblicano sarebbe ancora presidente. Il sistema elettorale USA è naturalmente truffaldino e golpista, altro che tempio della democrazia.

Trump ha dunque tentato un azzardo in un sistema nel quale esso sarebbe anche potuto riuscire, ma evidentemente gli sono venuti a mancare appoggi sui quali contava. I fascisti di Borghese da noi erano giunti sin dentro l’armeria del Viminale, prima che il contrordine li avvisasse di fuggire perché non c’erano più i carri armati previsti.

La stessa sorte toccò a Tejero in Spagna, che dopo aver tenuto in ostaggio le Cortes nella vana attesa del pronunciamento a lui promesso dai principali reparti militari, dovette arrendersi. E Guaidò ancora aspetta l’intervento militare statunitense che Pompeo e Trump gli avevano assicurato.

I golpe possono fallire perché al momento giusto una parte dei golpisti cambia i calcoli e si tira indietro, ma questo non vuol dire che quei calcoli non siano stati fatti.

Trump ha costruito da tempo il suo golpe, da quando aveva capito che la sua catastrofica gestione del Covid avrebbe potuto fargli perdere le elezioni.

E ora gli Stati Uniti sono di fronte ad un bivio. O Trump e la sua cricca finiscono in galera per il resto della loro vita e si ricercano e colpiscono tutti coloro che hanno partecipato alla trama golpista.

O si apre un vero processo di radicale rinnovamento democratico contro il sistema di potere razzista, che affronta con la guardia nazionale chi protesta per gli assassini della polizia e mette i vigili urbani di fronte ai fasciorazzisti che assaltano il parlamento.

O negli USA Trump e tutto ciò che rappresenta verranno considerati l’espressione estrema di un sistema ingiusto e malato.

Oppure il golpismo del presidente e lo squadrismo dei suoi armati diventeranno una componente permanente della politica negli USA; e la condizioneranno esplicitamente come in Brasile o in Guatemala.

Gli Stati Uniti sono ad un bivio della loro storia e i peggiori avversari di una vera democrazia in quel paese sono proprio i fanatici della “democrazia americana”, che oggi ne proclamano la santità violata, quando dovrebbero dire che Trump e il suo golpe fascista fallito ne sono un semplice prodotto.

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