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Facebook e Twitter sono stati sovrani? La nuova sovranità algoritmica

Ci stavamo quasi rassegnando al restare soli, nell’analisi critica della “sovranità algoritmica” che va a insidiare persino quella degli Stati più forti.

Al nostro contributo, in effetti, non se ne erano aggiunti altri, se non nella forma più o meno inutile di singole battute sui social (quasi un paradosso, visto che proprio della natura dei social si stava discutendo). Ora questa ottima analisi di Francesco Galofaro irrobustisce la discussione.

Buona lettura.

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Il caso di Donald Trump ha fatto discutere, ma il presidente USA non è il solo uomo politico che, nel mese di gennaio, è stato tacitato da Twitter e Facebook. L’8 gennaio Twitter ha sospeso permanentemente il profilo di Trump per un presunto rischio di incitamento alla violenza in relazione al cambio della presidenza USA [1].

L’attacco di Twitter, Facebook & c. è chiaramente strumentale e interessato, dato che arriva dopo il cambio al vertice di Washington. Negli ultimi quattro anni, le regole di questi media non hanno impedito a Trump e ai suoi sostenitori di dire quel che è parso loro meglio.

Il 9 gennaio Twitter ha bloccato l’account dell’ambasciata cinese degli Stati Uniti per un post che difendeva le politiche di Pechino nello Xinjiang. Il post riprendeva un articolo del China Daily secondo il quale, grazie alle politiche del governo cinese, le donne di etnia uigura non sono più considerate “macchine per bambini“.

Secondo la piattaforma social, questo modo di esprimersi viola le sue politiche contro la “disumanizzazione” [2]. A parere di chi scrive, si direbbe piuttosto il contrario, poiché l’ambasciata rivendica il diritto delle donne ad essere considerate persone; è chiaro che si tratta di una scusa qualsiasi per operare una censura di natura politica sulla comunicazione del nemico.

Nello stesso giorno, Twitter ha rimosso un post nel quale Khamenei spiegava il suo veto all’importazione di vaccini da Usa e Regno Unito asserendo che “non ci si può fidare di questi Paesi“. Secondo Twitter, il messaggio violava la sua politica “sulle informazioni fuorvianti sul Covid-19” [3]. Il lettore giudichi se la sfiducia degli iraniani riguarda i vaccini americani oppure, come sembra più probabile, la loro capacità di tener fede alla parola data.

In Italia, il 13 gennaio, una simile sorte è toccata a Marco Rizzo. Nel suo caso è stato Facebook a sospendere il profilo. Il post di Rizzo denunciava le due misure che i media nostrani adottano quando le spallate ai governi arrivano dalle piazze ucraine o dalle piazze di Washington [4]. Anche chi non è d’accordo con Rizzo è invitato a chiedersi se il suo sia un messaggio violento o volgare al punto che, invece di discuterlo, lo si debba a tutti i costi cancellare.

Naturalmente, questi casi non sono i primi né gli ultimi. Si è formato un cartello statunitense di social-media “perbene” e di grandi gruppi industriali informatici: dopo l’assalto al Campidoglio da parte dei fan di Trump più folkloristici, Apple, Google e Amazon hanno bloccato la distribuzione dell’app del social media Parler, reo di non moderare gli interventi degli utenti nel nome della libertà di parola [5].

Allo stesso modo, il potere di restringere la libertà di parola e di informazione dovrebbe suscitare qualche interrogativo anche tra i più radicali oppositori del trumpismo. Secondo dati dello stesso Facebook, i suoi utenti nel 2020 hanno raggiunto la cifra astronomica di 2 miliardi e 500 milioni di persone in tutto il mondov[6].

Attraverso i suoi algoritmi, Facebook ha la effettiva capacità di imbavagliare una parte dell’umanità relegandola in un giardino per l’infanzia protetto. Inoltre, come si è visto, è in grado di interferire tanto nella politica interna dei diversi Stati, quanto nelle loro relazioni estere. La tesi, ardita, che vogliamo sostenere qui, è che Facebook esercita una sovranità “algoritmica” sui propri utenti.

Ci siamo già occupati a più riprese della sovranità algoritmica, che i pochi Stati sovrani rimasti tentano di esercitare o difendere da attacchi esterni [7]. Ricordiamo che la NATO considera il cyberspazio come un nuovo territorio di intervento per reprimere le minacce esterne [8].

Possiamo quindi dire che Facebook (e gli altri social network) possiedono un territorio – il proprio spazio virtuale – su cui esercitano la propria giurisdizione. Non solo i loro algoritmi censurano i cittadini, ma vi è perfino la possibilità (per coloro che parlano inglese) di fare ricorso contro la decisione presso un “oversight board”. Non si tratta di un vero e proprio tribunale; il board “esamina un numero selezionato di casi ‘altamente emblematici’ e determina se le decisioni sono state prese in conformità con i valori e le politiche dichiarati di Facebook” [9].

Facebook è in grado di difendere i propri confini? La risposta è positiva, in due sensi diversi. In primo luogo, Facebook adotta alcune precauzioni per quanto riguarda l’immigrazione clandestina. Si accerta che i propri utenti corrispondano a persone reali. Sospende i profili che tentano di iscriversi o connettersi in maniera anonima, attraverso una VPN. Se è il caso, chiede una conferma dell’identità attraverso un numero di cellulare, e mantiene un elenco aggiornato dei numeri di telefono usa-e-getta usati su internet per iscriversi a diversi servizi mantenendo la privacy.

Insomma: proprio come entrare clandestinamente in Italia, aprire un profilo anonimo di Facebook non è impossibile, ma è comunque oggetto di controlli da parte del Network.

C’è un secondo, più preoccupante “nemico” da cui Facebook deve difendersi, e sono gli Stati sovrani tradizionali. Cosa succederebbe, ad esempio, se uno Stato come l’Italia decidesse di oscurare il network? La risposta è: proprio nulla. I data center di Facebook sono sparsi in diversi continenti (USA, Canada, Irlanda, Danimarca, Malaysia) [10].

Quelli di Google si trovano in USA, Danimarca, Belgio, Australia [11]. È improbabile che un governo, fosse anche quello USA, possa “chiudere” un social network. Anche in caso di “colpo di stato”, Facebook ha rimpiazzato la funzione delle centrali telegrafiche e telefoniche della prima metà del secolo di cui scriveva Curzio Malaparte [12], e appare davvero improbabile che una forza rivoluzionaria possa pensare di impadronirsene.

Ecco perché, dal punto di vista della sovranità algoritmica, il Presidente USA è un “suddito” qualsiasi di Zuckerberg. Facebook si sta anche dando da fare per battere moneta: in novembre era annunciata per gennaio 2021 [13].

Trattandosi di sovranità algoritmica, ci si può chiedere di che tipo di governo si tratti. Nonostante i reiterati appelli alla “community”, non si tratta ovviamente di un governo democratico. Non è nemmeno un caso di “privatopia”, preconizzata dai filosofi anarcoliberali, per i quali lo Stato dovrebbe essere sostituito da un sistema di “quote” controllate dagli stakeholders, sul modello condominiale.

In realtà, Facebook è un caso di dispotismo illuminato il cui sovrano è una multinazionale. Per quel che concerne la libertà di espressione, i suoi criteri sono molto più restrittivi di quelli in uso negli stati liberali circa i limiti alla satira politica, alla volgarità, alla pornografia e via discorrendo.

Questo ci permette una riflessione sull’ipocrisia intrinseca alla nozione di libertà di espressione. Si tratta di un diritto il cui esercizio attivo è sempre stato meramente formale: fino all’avvento di internet, ha sì e no permesso alla maggior parte dei cittadini di lamentarsi del governo al bar o poco più.

La libertà di espressione era appannaggio del ristrettissimo club di proprietari dei mezzi di comunicazione di massa.

Al contrario, internet ha creato piazze virtuali in cui è possibile, almeno in linea di principio, che il cittadino della rete eserciti attivamente la libertà di espressione al pari di qualunque Paperon de’ Paperoni. Ecco che quegli stessi liberali pronti a tutto per difendere il proprio diritto si sono convertiti nei più attivi propagandisti per limitare il diritto altrui.

Questo può avvenire con la scusa che Facebook e Twitter sono aziende private, libere di stabilire quel che può circolare e quel che non può circolare al proprio interno. Di conseguenza, con la scusa di imporre uno standard morale decisamente puritano circa il sesso, la violenza e la volgarità, sono in grado di bloccare contenuti politicamente sensibili che riguardano perfino le relazioni internazionali tra gli Stati.

Si tratta di un oligopolio di proporzioni colossali. Nel nome della libertà di espressione possiamo anche decidere di spostarci in un social network non moderato, una camera a eco per suprematisti bianchi, ma non sarà mai altro che un ghetto: certamente, nessuno rimpiangerà la nostra mancanza.

Se i politici liberali non hanno avuto nulla da dire, sin qui, è perché i social network permettono loro di salvare la libertà di espressione in quanto diritto formale garantito dagli Stati, limitandola materialmente dal punto di vista della sua libertà di esercizio, lasciando il lavoro sporco ai privati. Chiunque può vedere il rischio per la democrazia comportato da questi network; è proprio ora che la politica faccia una riflessione molto seria su tutto questo.

Oppure, per fregare gli algoritmi, dovremmo imparare a scrivere con la grafia leet, che i vecchi secchioni come me usavano negli anni ’90. Ad esempio: pr0l374r1 d1 7u770 1l m0nd0, un173v1!

Note :

1. https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2021/01/09/usa-twitter-sospende-permanentemente-laccount-di-trump_94418c63-88fd-4105-becc-fbb281c6034c.html

2. https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2021/01/21/twitter-blocca-account-ambasciata-cina-in-usa-su-xinjiang_a37c9f34-ddd9-4f79-8b28-5f2397396470.html

3. https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/iran-sospeso-account-twitter-legato-a-khamenei-dopo-minacce-0628000d-806a-46d2-b6c4-bafcb964731e.html

4. https://twitter.com/MarcoRizzoPC/status/1349288879891873793

5. https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2021/01/19/usa-parler-riappare-online-con-un-messaggio-di-matze_802f4582-2a1b-4f93-a388-5f6c625e8826.html

6. https://www.socialpilot.co/blog/facebook-stats-infographic

7. http://www.marx21.it/index.php/comunicazione/comunicazione/29941-come-dare-la-colpa-agli-hacker-nordcoreani

8. https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_78170.htm

9. https://oversightboard.com/

10. https://baxtel.com/data-centers/facebook

11.https://en.wikipedia.org/wiki/Google_data_centers#:~:text=At%20least%2012%20significant%20Google,and%20Moncks%20Corner%2C%20South%20Carolina.

12. https://baxtel.com/data-centers/facebook

13. Curzio Malaparte, Tecnica del colpo di Stato, Milano, Adelphi, 2011.

* da Marx XXI

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