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Ecuador. Per ora vince il neoliberismo, ma la strada del Socialismo è segnata

Domenica 11 aprile si è svolto il ballottaggio delle elezioni presidenziali in Ecuador. Più di 10 milioni di ecuadoriani sono stati chiamati alle urne, sotto gli occhi di centinaia di osservatori internazionali presenti per monitorare il corretto e regolare svolgimento del processo elettorale, a seguito dei tentativi di manipolazione della giustizia elettorale e di sabotaggio del secondo turno.

Con il 99% delle schede scrutinate dal Consiglio Elettorale Nazionale, il risultato elettorale – acquisito come definitivo – vede Guillermo Lasso, ex banchiere candidato per l’alleanza CREO-PSC e uomo forte della destra neoliberista in Ecuador e nel continente latinoamericano, affermarsi con il 52,48% dei voti contro il candidato correista dell’alleanza progressista Unión por la Esperanza (UNES), Andrés Arauz.

Dopo il successo al primo turno, Andrés Arauz ha dimostrato di essere uno sfidante temibile per Lasso e, in generale, per l’establishment in Ecuador, in un testa a testa conteso che conferma il largo consenso popolare del fronte progressista (47,52% dei voti). E questo nonostante una vile campagna mediatica condotta ai suoi danni, fatta di fake news e calunnie incessanti, e un sistema di potere che ha prima cercato di impedirne la candidatura e poi l’ha attaccata duramente, grazie al sostegno economico di banche e multinazionali e alla strumentalizzazione politica degli apparati statali.

Tra le altre ragioni, ha pesato in maniera significativa e determinante il voto nullo “ideologico” e il boicottaggio promosso da Yaku Pérez in seno al movimento indigenista, in particolare tra le sue due maggiori organizzazioni, la CONAIE e il MICC. Pertanto, Yaku Pérez, candidato al primo turno con la maschera di “eco-socialista” ma in realtà strenuo anti-correista vicino all’ambasciata USA a Quito, si è rivelato essere un’utile marionetta nelle mani della borghesia nazionale e delle oligarchie finanziarie continentali per assicurarsi, tramite la vittoria finale di Guillermo Lasso, la continuità della difesa dei propri interessi economici e politici, a scapito di quelli dei settori popolari duramente colpiti dalla pandemia e dalla crisi sociale.

Guillermo Lasso ha subito ricevuto i migliori auguri da Iván Duque e Sebastián Piñera, presidenti rispettivamente di Colombia e Cile, servitori delle politiche imperialiste di Washigton e sostenitori delle ingerenze operate dall’Organizzazione degli Stati Americani di Luis Almagro.

A congratularsi con Lasso è stato anche il presidente uscente dell’Ecuador Lenin Moreno, contro il quale era candidato alle precedenti elezioni nel 2017, prima che il tradimento degli ideali correisti della Revolución Ciudadana da parte di Moreno evidenziasse una palese convergenza di interessi tra i due.

Dal 2017 il movimento CREO di Guillermo Lasso appoggia il governo di Moreno, con il quale ha firmato un accordo legislativo per sostenere e promuovere “riforme”, come quelle imposte dal Fondo Monetario Internazionale a seguito del “piano di salvataggio economico” e dell’erogazione di un prestito di 6,5 miliardi nel 2020. Gli aggiustamenti alla spesa pubblica, definiti “draconiani” da Arauz, aggraveranno il contesto sociale in Ecuador, già segnato da una crescente disoccupazione e da un impoverimento diffuso.

La vittoria di Lasso apre una fase di rafforzamento ed intensificazione delle politiche neoliberiste In Ecuador, dalle privatizzazioni delle imprese strategiche di telecomunicazioni ed estrazione a quella del Banco Central del Ecuador, seguendo il solco già tracciato dal presidente Moreno, il quale intende azzerare l’indipendenza della Banca Centrale sancita dalla Costituzione per metterla a disposizione del capitale finanziario nazionale e soprattutto internazionale.

Andrés Arauz, il quale è riuscito a ridare speranza e dignità al popolo ecuadoriano, ha affermato che “questa è una battuta d’arresto elettorale, ma in nessun modo una sconfitta politica e morale” perché l’obiettivo del suo progetto politico mira a “costruire quella nuova maggioranza, quel blocco storico, rappresentato dal progressismo, dalla plurinazionalità e dalla democrazia sociale, sono elementi costitutivi del nostro Stato, della nostra Costituzione”.

Dal canto nostro, auguriamo a Andrés Arauz, ai militanti e agli attivisti sociali e sindacali impegnati nella costruzione di questo fronte popolare progressista di proseguire il loro cammino di affermazione del diritto all’autodeterminazione del popolo ecuadoriano e di transizione al Socialismo.

Le persecuzioni politiche e giudiziarie, in uno dei paesi che ha conosciuto lo scandaloso caso di “lawfare” ai danni dell’ex presidente Rafael Correa, rischiano di pesare sulle forze di opposizione al prossimo governo guidato da Guillermo Lasso.

Il risultato elettorale in Ecuador renderà sicuramente più difficoltoso il percorso di cooperazione e il rilancio dell’integrazione latinoamericana di organismi internazionali come l’UNASUR e la CELAC. Dopo il reintegro della Bolivia con il ritorno al potere del MAS di Evo Morales e Luis Arce, purtroppo l’ALBA latinoamericana non vedrà il reinserimento – almeno fino al 2025 – dell’Ecuador, ritiratosi per volontà di Lenin Moreno.

Nonostante i recenti successi che hanno dato impulso ad un ritorno dell’ondata progressista in America Latina, il cammino di affermazione e costruzione del Socialismo del 21° secolo, in quello che da tempo abbiamo definito come “l’anello debole dell’imperialismo”, è tortuoso e non lineare.

Le borghesie nazionali e le forze imperialiste agiscono e continueranno ad agire – con qualsiasi mezzo a loro disposizione – per frenare, contrastare e reprimere qualunque tentativo di costruzione di un’alternativa progressista e socialista.

La strada del Socialismo è segnata, la loro sconfitta sarà inesorabile.

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