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“Mai più poveri in un Paese ricco!” Il Perù cambia corso politico

Nel mentre scriviamo si sta completando lo spoglio delle schede elettorali del Paese Latino Americano.

Per una manciata di voti è in testa Pedro Castillo, candidato presidenziale per Peru Libre sulla sfidante Keiko Fujimori. Entrambi hanno superato gli otto milioni e mezzo di voto, in un Paese con poco più di 24 milioni di abitanti.

Insegnante di una regione andina nel nord del Paese nella provincia di Cajamarca, “El Profe” è un leader sindacale che ha guidato lo sciopero dei docenti nel 2017 e che ha bypassato i tradizionali partiti peruviani.

Contro di lui non solo si è mobilitata l’élite economica peruviana e gli organi di informazione monopolizzati dalla destra politica “golpista” latino-americana e dalle oligarchie statunitensi.

Un mese prima del primo turno delle elezioni l’11 Aprile, il nome di Castillo non compariva nemmeno nei sondaggi sui sei possibili presidenti, rendendo il suo risultato un vero e proprio exploit.

Al primo turno è risultato il più votato, incassando il 18,9% davanti alla seconda arrivata, con il 13,4%, la figlia dell’ex dittatore peruviano Alberto, la cui figura politica ha dominato gli Anni Novanta del Paese.

Nel frammentato paesaggio politico peruviano, che ha espresso ben 18 contendenti al primo turno, in un contesto di crisi politica permanente in cui si sono alternati cinque presidenti in cinque anni, la figura del docente e il suo ambizioso programma di riforme radicali, nella formazione con a capo Vladimir Cerrón, sono emersi con forza.

Il Paese che è il secondo produttore mondiale di rame, ed uno dei maggiori produttori di zinco e di altri materiali preziosi (come argento e oro), nonché ricco di petrolio e gas, ha un circa un terzo della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà.

Si calcola che dall’inizio della pandemia, gestita in maniera catastrofica dalla élite al potere, i poveri siano aumentati di ben 10%.

Il Perù ha avuto il peggiore tasso di mortalità a livello mondiale con 170,9 morti su 100.000 abitanti. Un risultato disastroso dovuto al combinato disposto di una politica sanitaria insufficiente per larga parte della popolazione e dalla necessità di continuare a lavorare anche in condizioni sanitarie precarie per quella parte di popolazione che vive nell’economia informale, a causa della mancanza di aiuti sufficienti anche durante i lockdown.

L’estrema polarizzazione sociale acuitasi in quest’anno e mezzo di pandemia ha avuto come sbocco una accentuata polarizzazione politica.

Il PIL del Paese è precipitato l’anno scorso (-11%), segnando uno dei peggiori record negativi tra i paesi emergenti.

L’economia peruviana, che è stata spesso dipinta come “una storia di successo” dall’ortodossia neo-liberale a causa di alcuni suoi indicatori economici – una media di un +5,9% l’anno nel decennio precedente alla pandemia – si è dimostrata strutturalmente fragile.

Una storia di successo”, quindi, solo per il capitalismo occidentale ed una borghesia che ha fatto gli interessi del neo-colonialismo statunitense ed europeo.

Le classi dirigenti – già al momento del primo turno,  ad aprile – erano terrorizzate dalla possibilità dell’elezione di Castillo, considerato il vasto programma di nazionalizzazione dei settori strategici, tassazione alle imprese e paventata possibilità di un cambio della Costituzione, ancora quella dell’epoca Fujimori-padre.

È precipitato il valore della moneta nazionale – il Sol – rispetto al dollaro, ed è incominciata una fuga di capitali, mentre due terzi delle aziende peruviane hanno congelato i propri investimenti in attesa dell’esito elettorale, prefigurando una sorta di “boicottaggio economico” a seconda del possibile esito delle urne.

Il viscerale anti-comunismo delle classi dirigenti, legate a doppio filo ai circuiti economico-finanziari statunitensi ed europei, hanno puntato tutto su una sfidante screditata e invisa alla popolazione – figlia di un dittatore ora in carcere, il quale oltre alla corruzione, ha commesso vero e propri crimini contro l’umanità – nel tentativo di contrastare l’astro nascente della politica peruviana ed il suo progetto di ridistribuzione della ricchezza del Paese.

Le classi popolari si sono unite al grido di “Urgente, Urgente, Pedro Presidente!”, vedendo nell’insegnante proveniente da una delle regioni più povere del Paese un possibile attore del loro riscatto.

Le lenti deformanti dei media liberal occidentali vedono una sorta di “scontro tra opposti e estremismi” dove invece è chiara la politicizzazione delle contraddizioni del Paese Andino.

Il Presidente ed i due vice-presidenti dovrebbero entrare in carica il 28 giugno, ma le fasi finali dello spoglio hanno già visto l’accusa di “frode elettorale”, formulata dalla Fujimori, piombare in un clima di incertezza in cui non sono mancate le ingerenze esterne.

Dopo le elezioni in Argentina, Cile, Venezuela e Bolivia, l’onda progressista – che ha subito una battuta d’arresto soltanto in Ecuador – sembra incontenibile. Infatti, oltre alle scadenze elettorali, ampi movimenti di massa si sono sviluppati in altri Paesi, pur incontrando una repressione feroce, come in Paraguay e da un oltre un mese in Colombia,

Movimenti contro le politiche neo-liberiste e l’imperialismo nord-americano, che ha sempre considerato il resto del continente americano il proprio “cortile di casa”.

Insieme alle mobilitazioni riprese ora anche in Brasile, sembra che il continente all’Alba sia ora teatro di una nuova “primavera latino-americana”, indesiderata negli Usa e una boccata d’ossigeno per i governi socialisti di Cuba, Nicaragua e Venezuela; una speranza per tutti i popoli del Tricontinente ed una spina nel fianco per Usa ed Unione Europea.

Come Rete dei Comunisti salutiamo l’affermazione di Castillo, qualunque sia l’esito elettorale finale e chiamiamo alla massima attenzione e vigilanza affinché il Paese non venga destabilizzato da quella bestia ferita, ma non meno pericolosa, che è l’imperialismo, con una ingombrante presenza militare nell’area ed una storia nefasta fatta di golpe e tentativi di sovvertimento della volontà popolare.

Ancora una volta l’America Latina si sta dimostrando la tomba del neo-liberismo, come dimostra anche il felice slogan di Castillo: “mai più poveri in un Paese Ricco

8 giugno 2021

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