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L’ex “sinistra”, tra antifascismo elettorale e revisionismo storico istituzionale

Dal 1938, anno delle leggi razziali fasciste, il parco per bambini di Filettino (Frosinone) è dedicato al gerarca fascista Rodolfo Graziani, uno dei peggiori criminali di guerra della nostra storia. La particolarità è che il parco è stato oggetto di un restyling finanziato nei mesi scorsi con 285.000 euro dalla Giunta regionale guidata da Zingaretti avviato nel 2017 e portato avanti dall’amministrazione locale di centrosinistra.

Se l’assurda vicenda di Filettino potrebbe essere annoverata surrettiziamente da qualcuno come distrazione o risibile cedimento a qualche localistico fervore fascistoide (ma, come abbiamo visto, così non è), i tentennamenti, le resistenze ed i silenzi sui casi Vattani, Durigon, De Pasquale e Bignami, ove ve ne fosse ancora bisogno, smascherano l’antifascismo di facciata di chi poi fa regolarmente da sponda alla richiesta ossessiva, fatta propria anche dai vertici dello Stato, di pervenire ad una “memoria condivisa”.

D’altronde, l’ex-sinistra, ogni volta, dopo averci puntualmente ed ampiamente buggerato con l’antifascismo elettorale, il giorno dopo le elezioni, riprende di corsa il filo del discorso revisionista ormai ampiamente “istituzionalizzato”.

Ci ha pensato Mattarella in persona a convalidare, al più alto livello dello Stato, l’operazione che sta dietro l’istituzione della “Giornata del Ricordo”, aprendo le porte ad una parificazione morale tra fascismo e antifascismo e conferendo così legittimità costituzionale alla destra neofascista.

E’ quanto ha annotato in un intervento sul Fatto Quotidiano, nei giorni scorsi, dal rettore dell’Università per stranieri di Siena e storico dell’arte, Tommaso Montanari: «non si può nascondere che alcune battaglie revisioniste siano state vinte, grazie alla debolezza politica e culturale dei vertici della Repubblica.

La legge del 2004 che istituisce la Giornata del Ricordo (delle Foibe) a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso successo di questa falsificazione storica[…] Dalla riabilitazione dei “ragazzi di Salò” perpetrata da Luciano Violante alla legge sulle Foibe, dal parco di Latina al sostegno leghista a De Pasquale l’obiettivo è sempre lo stesso: riscrivere la storia dalla parte del fascismo. Sapendo benissimo che l’unico modo per farlo, è falsificarla» (Il Fatto Quotidiano”, 23 agosto 2021)

Anche lo storico Angelo d’Orsi – in corsa per la carica di Sindaco a Torino – aveva stigmatizzato l’endorsement all’operazione “Giorno del Ricordo” da parte del Presidente della Repubblica precisando che «le vittime accertate, ad oggi, furono poco più di 800 (compresi i militari), parecchie delle quali giustiziate essendosi macchiate di crimini, autentici quanto taciuti, verso le popolazioni locali».

Montanari si è dimesso dal Consiglio superiore dei Beni Culturali per protestare contro l’arroganza del ministro della Cultura Dario Franceschini e denunciare l’umiliazione di quello che dovrebbe essere il massimo organo tecnico-scientifico del patrimonio.

Successivamente, il Consiglio Superiore aveva inviato al ministro una nota in cui lo invitava a “tenere in adeguata considerazione” le forti obiezioni espresse dalle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi di Bologna, Brescia, Milano sulla nomina di Andrea De Pasquale “anche alla luce dell’importante ruolo di garanzia attribuito dalla normativa vigente all’archivio medesimo per la conoscenza della memoria storica dell’Italia contemporanea”.

E non è affatto un caso se, negli ultimi anni, si sono moltiplicati atti di feroce repressione poliziesca e giudiziaria nei confronti di antifascisti mandati a processo e condannati anche solo per aver pacificamente intonato canti della Resistenza in una riunione pubblica definita “non autorizzata”.

Il 16 luglio scorso il Tribunale di Modena ha inflitto condanne pesanti agli antifascisti modenesi in base all’art. 18 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, emanato durante il regime fascista, ovvero, le misure repressive ereditate rispettivamente dal regio decreto del 1931 e dal Codice Rocco. In quel caso i manifestanti avevano semplicemente cantato “Bella ciao” di fronte ad un presidio di Forza Nuova, nel 2017.

E il 23 giugno del 2020 la Cassazione ha confermato le condanne contro gli antifascisti in relazione ad corteo di protesta che, nel 2013, a Firenze, mosse verso la sede locale dell’organizzazione neofascista “CasaPound”.

15 militanti antifascisti condannati ad un anno di carcere ciascuno per il “solo” reato di “travisamento” (a due dei quali è stato negato l’accesso alla condizionale) ed al pagamento di 45 mila euro per “il disturbo” di aver fatto riunire la corte per un ricorso che essa stessa aveva definito “inammissibile”

Parallelamente, lo stesso trattamento, da qualche anno a questa parte, viene riservato ai lavoratori che lottano e scioperano per i propri diritti toccando, talvolta, livelli di ferocia repressiva superiore anche a quella che si manifestò contro di loro nei lontani anni cinquanta.

Il revisionismo storico, culturale e politico è, ormai, di Stato e si nutre di tanto di false narrazioni quanto di repressione e criminalizzazione degli antifascisti come dei lavoratori in lotta. E i fascisti fanno i fascisti… e rialzano la testa.

Lo storico Eric Gobetti, autore di «E allora le foibe?» edito da Laterza, tempo fa, ha lanciato un appello su Facebook denunciando le centinaia di messaggi violenti rivolti a lui e ai suoi figli. Le minacce sono forti, inequivocabili e tantissime: «Ci prenderemo la nostra vendetta, comunista appeso». E ancora: «Dovrebbero bruciare te e i pezzi di carta che ti autorizzano a dire idiozie».

Ed ogni volta che viene annunciata la presenza ad un convegno di Alessandra Kersevan, saggista e ricercatrice storica che da molti anni si dedica allo studio della storia del Novecento delle terre del confine orientale, puntuali arrivano le minacce dei fascisti.

Peraltro, Alessandra Kersevan è da sempre osteggiata  da storici accademici, associazioni legate al mondo degli esuli istriani, esponenti politici di destra con l’accusa di revisionismo storico sulla tragedia delle Foibe.

Ma, come ha correttamente ricordato Tommaso Montanari nel suo articolo, la deriva parte da lontano e, precisamente, da quando, nel maggio del 1996, il senatore – ora del Partito Democratico e prima del PDS – Luciano Violante, espose, nel primo discorso da presidente della Camera, la sua sconcertante riflessione ”sui vinti di ieri” invocando “uno sforzo di comprensione delle ragioni che cinquanta anni fa hanno visto gli italiani dividersi tra Resistenza e Repubblica di Salo” .

 Una presa di posizione che venne accolta dai fascisti di Alleanza Nazionale – freschi di sdoganamento da parte di Silvio Berlusconi – con una festosa ovazione nell’aula di Montecitorio.

Mi chiedo – disse Violante – se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti.

Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti (!), i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà […]

Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo piu’ prospero e piu’ sereno.

Dopo, poi, all’interno di quel sistema, comunemente condiviso, ci potranno essere tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni “.

Per le orecchie di fascisti e revisionisti fu musica e si aprì, finalmente, quel varco insperato che, nel giro di un paio di decenni, ha dato i suoi frutti avvelenati. Tuttavia, l’apice di questa campagna era già stato raggiunto quando il giornalista “di sinistra”, ancora in forza al quotidiano Repubblica, Giampaolo Pansa, pubblicò, nel 2003, il suo libro “Il sangue dei vinti”: trecentomila copie vendute.

Presentato ovunque: televisione, radio e, addirittura, presentazioni istituzionali, come quella al Senato ad esempio. Ed, in ogni occasione, erano sempre presenti personaggi di estrema destra a lodarne il coraggio, la forza mentre lui, il Pansa, gongolava soddisfatto.

Spacciatosi per storico, Pansa fu, invero, soltanto un narratore che non forniva riferimenti certi, citazioni controllabili ma che, attraverso uno storytelling sfrenato, semplicemente (e furbescamente) imbeccò un filone che montava da tempo. Galvanizzato dal successo del ” Sangue dei vinti”, Pansa sfornò altri “saggi” dello stesso tenore ed argomento ininterrottamente fino al 2010.

Agli storici, che lo criticarono proprio a livello disciplinare, Giampaolo Pansa rispose alla tipica maniera dei fascisti “me ne fotto!” (Sette, supplemento del Corriere della Sera, 4 dicembre 2003).

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