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Pandemia, paura e post-verità

Fin dal primo diffondersi delle notizie riguardanti la circolazione del virus, l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale si è concentrata sulla cosiddetta comunità scientifica da cui, comprensibilmente, ci si aspettava un pronunciamento autorevole.

In realtà, salvo pochissimi e inascoltati ricercatori, le risposte che vennero da virologi, epidemiologi e professoroni della medicina furono generiche e contraddittorie. Ciò che risultò evidente fu una sottovalutazione generale del rischio pandemie ed una palese inadeguatezza dei sistemi sanitari ad affrontarle (sia pure con le dovute differenze tra paese e paese), un capitolo, questo, tutt’ora inevaso e di stringente attualità.

Tuttavia, mentre la risposta del mondo scientifico e delle istituzioni sanitarie si è dimostrata non all’altezza della situazione, gli altri centri del potere capitalista che governano il mondo, dopo l’iniziale disorientamento, hanno deciso di dare battaglia utilizzando lo strumento della Paura; non quella conseguente agli effetti del virus sulla salute delle persone (a ciò bastava il numero delle vittime e la velocità con cui questo si diffondeva), ma la paura delle ricadute economiche e sociali che la pandemia portava con sé.

Già nel maggio 2020 le maggiori compagnie di assicurazione e valutazione del rischio (AON; Kelony)i mettevano in guardia dalla possibilità di forti ricadute nelle operazioni commerciali, ma soprattutto dall’avvento di disordini sociali globalmente diffusi, con tanto di rimandi storici alla peste sotto Giustiniano, a quella del 1373 che colpì gran parte dell’Europa, fino al colera del 1832 che infestò Parigi e alla “spagnola” del 1918, tutte accompagnate da rivolte e disordini.

Questo avvertimento si è generalizzato su scala internazionale protraendosi anche nel 2021 con un rapporto del FMIii e del World Economic Forumiii, tanto per citare gli organismi più influenti, per essere poi ripreso e rilanciato su scala nazionale dagli organi di informazioneiv, coinvolgendo anche i vertici delle istituzioni sovranazionali come il presidente del consiglio della UE, Charles Michel, che così ebbe a dichiarare nell’ottobre 2020: “La Ue deve agire compatta per evitare disordini e rivolte sociali”v

A ben vedere questi paventati “disordini” sono stati assai modesti, per cui viene da chiedersi su quali presupposti si basava una siffatta campagna di paura.

La risposta che più ha circolato nella sinistra e che ancora alimenta il dibattito (invero scarso) sulla pandemia, è che quella campagna sia servita a giustificare un irrigidimento normativo della società (capitalismo disciplinare) se non un vero e proprio stato di eccezione che si avvierebbe a diventare “il paradigma normale di governo”.

Ora, premesso che, in via generale, la restrizione e il divieto sono concetti organici a qualsiasi società disciplinare, in particolare quella divisa in classi il cui funzionamento si avvale già di modalità iperselettive e disciplinanti come, ad esempio, l’informatizzazione dei processi produttivi e riproduttivi, peraltro assai familiari all’intellettualità di sinistra, trovo che questa interpretazione sia fuorviante.

L’evento pandemico infatti, a meno di volerlo continuare a considerare alla stregua di un’influenza stagionale (come alcuni hanno fatto fin dall’inizio), ha colto di sorpresa ogni ambito della società, dai suoi corpi amministrativi intermedi (sanità, protezione civile, in primis) fino ai livelli più alti delle istituzioni e dei governi.

D’altra parte è pur vero che non esistevano precedenti di questo tipo nella storia recente (l’unico che mi viene in mente è la diffusione della nube di Chernobyl del 1986, che però fu circoscritta all’Europa e portò a misure restrittive di gran lunga meno severe) per cui la manifesta impreparazione del potere si è presto trasformata nella sua stessa paura: paura di un agente patogeno che gli scienziati non avevano previsto, non conoscevano e non sapevano come affrontare; paura per la tenuta delle finanze e paura delle speculazioni finanziarie internazionali; paura di fare come l’esecrata Cina sapendo, per di più, che quella del lockdown era una corsa al rovescio dove il vincitore, fra tutti i concorrenti, è quello che “chiude” per ultimo e “riapre” per primo.

Con l’esclusione di alcuni paesi asiatici (già preparati ad affrontare simili evenienze) l’insieme delle democrazie occidentali è stato preso dal panico ed ha reagito in modo scomposto e contraddittorio, massimamente in Italia, contribuendo non poco alla ecatombe di morti della prima fase pandemica. Ma se questo è stato l’atteggiamento iniziale del potere, non si può dire che in seguito esso sia riuscito a liberarsi di queste paure, dal momento che:

1) riguardo al virus si è cercata la soluzione “tecnologica” mettendosi totalmente nelle mani dell’industria farmaceutica, con gli esperti delle varie discipline mediche a farle da corifei. Poco o nulla si è fatto per la ricerca di una terapia; assolutamente ignorate le cause remote dello spillover (zoonosi, perdita della biodiversità, interazione animali/persone e condizioni degli allevamenti animali), motivo per cui la paura che il vaccino non sia sufficiente a fermare la pandemia non è stata rimossa;

2) sul piano economico-finanziario è stato imposto il silenzio a chiunque pensasse ancora di far valere le regole del “buon governo” dell’economia capitalista come il patto di stabilità e il non sforamento del debito, nè ci hanno provato la Banca Mondiale o il FMI tacitati definitivamente dalle parole di Mario Draghi: “Non è il momento di guardare al debito. Questo è un anno in cui non si chiedono soldi, si danno”, ma la paura che prima o poi bisognerà “rimettere i nostri debiti” aleggia sempre nelle stanze dei bottoni;

3) quanto alla paura generale del potere di non essere all’altezza della situazione, di mostrarsi indeciso o di prendere misure impopolari (come il lockdown), l’operazione è stata ancora più lineare e (finora) esente da rischi: esso ha fatto in modo che quelle che erano le sue paure, venissero trasferite alla popolazione in dosi maggiorate e con un ritmo incessante di modo che fossero introiettate e fatte proprie dalla maggioranza dei cittadini e cittadine.

Grazie ad una campagna mediatica senza precedentivi, a cui hanno contribuito eminenti personalità politiche e uomini di scienza, il potere ha seminato panico lasciando diffondere l’idea che il Sars-Cov 2 fosse qualcosa di più simile ad un gas nervino che a un retrovirus e facendo apparire l’uso della mascherina, non una normale profilassi (come da tempo è nei paesi asiatici), ma un tratto distintivo tra “buoni” (con la mascherina) e “cattivi“ (senza), verso cui convogliare l’ira popolare come accadeva agli untori di manzoniana memoria.

La paura come contraddizione

Questo ragionare di Paura però, potrebbe apparire poco rispondente ai canoni interpretativi della dottrina marxista se non se ne colgono gli aspetti strutturali che la sottendono. Da questo punto di vista la paura va assunta come contraddizione insanabile per il capitale in quanto, a differenza delle altre contraddizioni che solitamente si manifestano nella sfera sociale come “antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali”, questa si pone direttamente in contrasto con la natura e con modalità mai riscontrate prima.

Per ogni fase del suo sviluppo e in ogni ambito del suo agire concreto, la storia del capitale è segnata dalle contraddizioni da esso stesso generate: con l’industrializzazione ha svuotato le campagne, ma ha dovuto creare le metropoli a loro volta generatrici di malessere sociale e instabilità; con la scienza e la tecnologia ha dato vita ad uno sviluppo senza precedenti, ma terribilmente complesso, nocivo e costantemente minacciato di distruzione atomica.

Col meccanismo della ricostruzione ha perfino lucrato sulle sciagure di due guerre mondiali, ma il nuovo ordine internazionale sorto con la promessa della pace, ha generato conflitti di ogni tipo, migrazioni e ancora altre guerre.

Questo contraddittorio procedere, pur non facendo parte dei suoi scopi, è parte essenziale del capitale che, grazie alla potenza dei mezzi di cui dispone e al dinamismo che lo caratterizza, è riuscito, finora, a trarne motivo di rinnovamento.

Quando però è la natura, nelle sue molteplici manifestazioni, a ergersi contro questo procedere, il potere del capitale si mostra insospettabilmente fragile. E’ stato così con l’epidemia di spagnola del 1918, dove si fece poco o nulla per ridurre i 20 milioni di morti che ne seguirono, consegnandoli alla storia come conseguenze ineluttabili della guerra appena terminata e della mancanza di medicinali.

E’ così anche oggi di fronte ai cambiamenti climatici e alla pandemia da Sars Cov 2, con la differenza che, mentre nei confronti del clima il capitale prende tempo (tutto si risolverà nel 2050) e tenta di sfruttare l’occasione della “transizione ecologica” per rilanciare il meccanismo di accumulazione, nei riguardi del virus appare del tutto spiazzato.

Non ha tempo, perché il virus entra nelle case, spezza legami e abitudini consolidati e si spande con la stessa velocità con cui cambiano gli indici di borsa; non ha strumenti, perché si è disfatto della ricerca che non genera profitto e con essa di ogni forma di prevenzione delle malattie e, infine, non può ammettere di non saper affrontare questa evenienza, men che meno riconoscere che ne sia in qualche modo responsabile.

Neanche i tentativi di banalizzare la pandemia (è solo una influenza) o di addossarne le responsabilità agli “infidi” cinesi, sono serviti a sottrarlo da questa impasse; di qui la paura e l’ assoluta necessità di trasferirla altrove perché, in ultima analisi, “chi non terrorizza si ammala di terrore” e questo nessun potere può permetterselo, tanto meno quello che si fonda sulla potenza del capitale. Ma la contraddizione resta, enorme, palese, incontrovertibile, e sta solo a noi cercare i modi di agirla.

Post-verità

Ma come si arrivati ad introiettare a livello di massa tutto ciò? In principio fu “l’immunità di gregge” a rappresentare l’obiettivo primario per uscire dalla pandemia e per tornare all’agognata “normalità”, perciò si convinsero le persone che: “(1) il vaccino era il solo mezzo con cui difendersi dal virus; (2) l’immunità attraverso il vaccino, più che rappresentare la condizione necessaria che avrebbe consentito all’organismo umano di neutralizzare il virus, costituiva il lasciapassare per il ritorno alla “normalità”, ovvero per la ripresa delle proprie attività e/o abitudini.vii

Il vaccino, a sua volta, fu presentato come l’arma vincente in virtù dell’alta efficacia riscontrata durante le fasi di sperimentazione, cosa che viene riproposta ancora oggi allorquando, da ogni media mainstream, si parla di efficacia e di immunizzazione o si attribuiscono al green pass funzioni di prevenzione sanitaria, al punto che questi termini sono correntemente e convintamente usati dalle persone comuni.

Sfugge però alla grande massa, che nei comunicati ufficiali delle agenzie e istituzioni sanitarie non si fa più cenno all’immunità, e quando si parla di efficacia non ci si riferisce più alla funzione per cui era stato progettato ed approvato il vaccino (prevenire l’infezione), ma ad un obiettivo diverso e non previsto nei protocolli ufficiali di sperimentazione, quello di ridurre gli effetti gravi del virus come ricoveri in ospedale e decessi.

E’ ormai accertato infatti che l’efficacia dei vaccini che sono in distribuzione, diminuisce sensibilmente entro i sei mesi dalla seconda dose (motivo per cui si è stabilito di somministrare la terza dose), permettendo alle persone vaccinate di re-infettarsi e non impedendo che queste, a loro volta, trasmettano il virus, aspetti che, presi insieme, concorrono a vanificare l’obiettivo dell’immunità.viii

Ora, premesso che la riduzione degli effetti gravi è un risultato comunque positivo da ascrivere alla vaccinazione in quanto tale, resta il fatto che nessuna autorità scientifica o sanitaria si sente in dovere di correggere questa deformazione della realtà, non fosse altro per ristabilire una corretta informazione cosa che, nell’era della comunicazione di massa, dovrebbe rivestire grande interesse per la gestione del potere in quanto rafforza il consenso e la fiducia nelle istituzioni che lo amministrano.

Invece – e questo è il punto – si dà libero corso ad una divulgazione approssimativa, in molti aspetti fallace, che ha per corollario una serie di anatemi tra cui spiccano quelli dell’antiscientificità e dell’antidemocraticità verso chiunque esprima critiche e/o dubbi su vaccini e green pass.

Bastano le a noi familiari categorie della disinformazione e manipolazione della realtà, o quella più attuale delle fake news, a comprendere questo stato di cose?

A mio parere no, per due ordini di motivi: il primo è che in ambito sociale e politico non si è sviluppato un livello di controinformazione tale da poter supportare una critica efficace e puntuale alla gestione della pandemia, come invece era accaduto per altri eventi del passato (dalla strage di stato ai terremoti, dall’abbattimento del DC 9 sui cieli di Ustica all’incidente di Chernobyl) con l’aggravante che quando questa critica si è espressa, aveva (ed ha tutt’ora) i tratti grotteschi, a volte ributtanti, della contestazione no-vax.

Il secondo e più rilevante motivo, sta nel fatto che, oggi, l’interpretazione della realtà non sembra essere più così importante quanto invece è diventata la sua rappresentazione, e la ricerca del “vero”, inteso come lotta e contrasto fra interessi di parte, è stata soppiantata dalla routinaria frequentazione di una Agorà virtuale, dove ogni punto di vista trova la sua legittimazione a prescindere da qualsiasi rispondenza fattuale.

Questo modo di relazionarsi con la realtà non è imputabile, semplicisticamente, alla diffusione e all’uso dei social, non più di tanto almeno, dato che a diffonderlo e praticarlo sono in primo luogo le articolazioni del potere che hanno trovato nella post-verità (è di questo che si tratta), uno strumento di governo efficace, capillare e in grado di auto-alimentarsi.

Sarebbe impossibile (e neppure corretto) in poche righe, entrare nel merito di questo neologismo, la post verità, “certificato” dalla definizione che ne dettero gli Oxford Dictionaries nel 2016ix, in quanto esso tocca diverse categorie del pensiero umano, ma anche aspetti non secondari della organizzazione delle società: il concetto di verità con il suo opposto, la menzogna; il rapporto tra etica e politica in relazione alla verità o alla menzogna; la libertà di espressione e i suoi limiti in relazione al vero o al falso (il problema delle fake-news) e, ovviamente, le problematiche connesse ai nuovi mezzi di informazione in quanto strumenti attraverso cui le persone manifestano la loro percezione della realtà.

Tuttavia, nella letteratura disponibile, due sono gli aspetti della post-verità che maggiormente vengono sottolineati: la disintermediazione tra i destinatari ultimi delle notizie (cittadini, citizens, citoyens) e gli attori preposti alla loro diffusione (i media mainstream, ma non solo) in conseguenza dello sviluppo della rete e dei nuovi media che avrebbe sminuito il ruolo dell’informatore professionalizzato, favorendo la proliferazione di notizie incontrollate.

E’ evidente come qui ci sia un richiamo immediato all’etica (dell’informazione) e come questa sia data per scontata nel “giornalismo professionistico”, cosa assai questionabile e che ci condurrebbe ad una logorante discussione sull’esistenza o meno di una informazione indipendente e corretta.

L’altro aspetto rimanda alla percezione che le persone sviluppano nei confronti della realtà, che è fortemente condizionata, secondo alcune analisi, da una qualche ideologia non meglio definita.

Anche in questo caso il ragionamento risulta quanto meno incompiuto nella misura in cui non si distingue neppure, per quanto riguarda il riferimento all’ideologia, tra “credo” e “credenza” ovvero se si tratta – per esempio – di fede politica e/o religiosa o di immedesimazione (per affinità o simpatie) con storie, teorie o pratiche consuetudinarie di ogni tipo. In entrambi i casi dunque non si esce da un ambito descrittivo e sociologico delle modalità attraverso cui si arriva alla post- verità, tralasciando di esaminare che cosa essa rappresenti e quali interrogativi ponga da un punto di vista politico.

Di qui l’ipotesi che esista un nesso tra pandemia e post-verità rappresentabile, in estrema sintesi, da questo messaggio che il potere è riuscito a far recepire dall’opinione pubblica: la pandemia è stato un evento eccezionale che ha interrotto il normale svolgimento delle attività e delle abitudini delle persone; la vaccinazione è il mezzo attraverso cui tornare alla normalità.

Tutto il resto è divenuto irrilevante: non ha più importanza che l’origine del virus sia riconducibile a fattori socio-ambientali; non è più necessario dimostrare che i vaccini prevengono dal virus e ne impediscono la trasmissione, o che i benefici della vaccinazione possano essere superiori ai rischi e neppure che, con i vaccini, sarà raggiunta l’immunità di gregge.

Basta che le persone si convincano di essere immunizzate e che qualche decina di morti al giorno per Covid sia indice di normalità, e per ottenerlo non c’è prova migliore del fatto che esse possono tornare al cinema, allo stadio o al pub (dimenticando che a lavorare, invece, ci sono sempre andate).

D’altra parte l’effetto prodotto dalla post-verità è tale da non dover richiedere necessariamente di mentire o fabbricare prove false per nascondere la verità e, una volta radicata, non serve nemmeno che il potere eserciti chissà quale forza per convincere i reprobi e i dubbiosi, perché nei loro confronti agiranno i persuasi, quelli che “hanno preso per buone le verità della televisione” e non sopportano che venga messo in discussione il modo in cui sono tornati alla normalità.

Forse che non sono anche i vaccinati ad addossare la responsabilità del persistere del contagio a quelli che vaccinati non sono, invece di prendere atto che ciò dipende anche dal fatto che l’efficacia di questi vaccini non è sufficiente a proteggerli?

E non sono anche i persuasi a opporsi alla gratuità dei tamponi per lavoratrici e lavoratori non vaccinati, con la motivazione che così sarebbero loro a pagare i tamponi, come se i vaccini che a loro volta hanno assunto, non li avessero “pagati” anche i non vaccinati?

Un malinteso “senso di responsabilità” (civico o morale) intriso di rabbia e sospetti, sta spaccando il corpo sociale e lo stesso movimento, laddove alcuni settori richiedono di introdurre l’obbligatorietà del vaccino (cosa sostanzialmente impraticabile)x, dimostrando così di aver fatto proprie le contraddizioni del potere fino al punto di sollecitare il “re di tutte le bestie” – il grande Leviatano – a imporre d’autorità ciò che esso non è riuscito ad ottenere per mancanza di autorevolezza.

Non c’è più nulla di scientificamente probante in questi atteggiamenti, nulla che riguardi la tutela della salute, principale scopo per cui questi vaccini sono stati messi a punto e tutto si disperde nell’indifferenza della post-verità che da intrigante neologismo qual era, si va scoprendo come inaspettata forma di governo delle contraddizioni del potere.

Ma non è tutto perché, se trasposto in un ambito prettamente teorico, il portato della post-verità rischia di assumere una valenza epocale, qualora ne volessimo indagare i significati sottesi, dal momento che esso pone in discussione i riferimenti più emblematici che hanno contraddistinto, nella storia del pensiero umano, la ricerca della verità.

La verità vi farà liberi”, dice Cristo, assegnando alla verità un valore universale e liberatorio, ma non in questo mondo, non senza un atto di fede che induca l’essere umano ad accettare i patimenti e le sofferenze di questa terra in cambio della libertà dal peccato e dalla morte, nella prospettiva dell’Aldilà.

La verità è rivoluzionaria”, secondo Lenin e Gramsci, perché intende rovesciare quel mondo capovolto segnato dalla religione e liberare l’essere umano da patimenti e sofferenze già su questa terra e, “una volta scomparso l’al di là della verità, ristabilire la verità dell’al di qua.”xi

Pur tenendo conto dello scarto temporale che li separa e della loro sostanziale differenza (la verità trascendente del cristianesimo vs la verità materiale del marxismo), questi messaggi sono rappresentativi di un modo di “pensare il mondo” che va ben oltre il tema della verità in quanto, ciascuno a suo modo ed in relazione a questa, hanno suscitato grandi aspettative e grandi interrogativi sul significato stesso dell’esistenza.

L’inveramento di un’ esistenza migliore però (il regno dei cieli o il “passaggio dal regno della necessità a quello della libertà”) è posta in entrambi secondo una prospettiva messianica dove, in attesa dell’evento liberatorio, l’individuo è chiamato ad affrontare interrogativi ed ostacoli che, non di rado, lo sovrastano a causa della loro vastità e difficoltà. In questo senso la ricerca del “vero”, inteso come affinamento della conoscenza di noi e del mondo, si è fatta sempre più incerta (almeno nel mondo sviluppato) stante la complessificazione dei rapporti sociali, l’estraneazione dai processi naturali e l‘irriducibile invadenza comunicativa.

Se a ciò aggiungiamo che l’appannamento delle grandi ideologie ha privato gli individui della tensione necessaria ad affrontare le contraddizioni della vita, allora ci rendiamo conto che la ricerca della verità è divenuto un fardello insopportabile.

Eccola, quindi, la via di fuga da questa dissociazione esistenziale, lo “switch” dimensionale in grado di alleviare dubbi e ansietà: la post-verità che il potere ci prospetta come indifferenziata normalità dell’esistenza dove i fatti obiettivi contano meno delle convinzioni personali, e dove sarà il “libero mercato delle idee” – una volta sganciate da ogni vincolo di rispondenza fattuale – a decretarne il gradimento presso l’opinione pubblica.

Se “le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti”xii, allora l’idea della post-verità è, in divenire, l’espressione di una una nuova forma di dominio che l’attuale classe al potere esercita nei confronti di classi subalterne sempre più disavvezze all’esercizio della critica e perciostèsso indifferenti alla ricerca del “vero”.

A questo punto se non si vuole correre il rischio che la pandemia si risolva in una Vandea o in una ordalia tra fautori ed oppositori del vaccino, occorre riportare l’attenzione sulle responsabilità delle classi dirigenti in questa vicenda; ma se ciò non è accompagnato da una puntuale e rigorosa campagna di contestazione dell’informazione dominante, sarà l’irrilevanza della postverità ad aver ragione delle nostre migliori intenzioni.

* da La Bottega del Barbieri

NOTE

iv “Cresce il nazionalismo economico e il rischio di disordini sociali” (la Repubblica), “Coronavirus, agitatori sociali sul web: Vogliono creare disordini” (Il messaggero); “Le epidemie sono spesso seguite da disordini sociali” (geomagazine); “Dalla peste alla pandemia: la seconda volta della Lombardia” (Corriere della sera); “La crisi sociale può deflagrare, a meno che..” (formiche.net); “Dall’allarme pandemia al caos globale” (il Giornale); etc, etc.

vi Il virus sta migliorando la diffusione nell’aria: Ora corre 100 volte di più» (Il messaggero); “Covid, aumenta la presenza nell’aria”. (Libero); “Se il coronavirus «è nellaria» dobbiamo continuare a disinfettare le superfici?” (Corriere della sera); “La prova in modo schiacciante SARS-CoV-2 è dispersa nell’aria” (News medical net); “Covid, un video eccezionale mostra come restano nell’aria le droplet che trasportano il virus” (Euronews); Siamo in battaglia contro il virus, necessarie armi e regole da economia di guerra” (Antonio Guterres, segretario generale ONU – 21.05.2021); Siamo in guerra contro il coronavirus, dobbiamo agire” (Mario Draghi – 26.03.2020); Siamo in guerra, uniti per combattere nemico invisibile” (Emmanuel Macron – 25.03.2020); Siamo in guerra contro il virus” (Joe Biden – 26.11.2020); Siamo in guerra, più morti oggi che nel 1944″” (Walter Ricciardi – 15.12..2020); “Covid, è l’arma della Cina per la Terza Guerra Mondiale? Il dossier segreto” (quiFinanza – 9.05.2021)

vii Questo passo è tratto dal documento “Green pass, vaccini e salute” del Coordinamento regionale sanità – http://www.coordinamentocittadinosanita.it/wp-content/uploads/2021/10/RNS_Documento_GreenPass_Vaccini_Salute.pdf

viii  Per una trattazione puntuale della materia si rimanda al documento richiamato in nota 7.

ix “Relativo a, o che denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali”.

x  Vedi capitolo “Sull’obbligatorietà del vaccino” del documento richiamato in nota 7

xi K. Marx, “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”

xii  «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; […] La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, […]. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, […] sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio» K. Marx, “L’ideologia tedesca”.

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1 Commento


  • giorgino

    La “post-verità ” funzione come dice l’articolo, ciononostante l’analisi in esso sviluppata è monca. Non viene criticato, se non in termini di omaggio formale alla necessità di uscire dalla dicotomia tra i “persuasi” ed “i tratti a volte grotteschi della contestazione no vax”, tutto il retroterra reale e la determinatezza materiale di chi ha riempito le piazze ostili al green- pass, negazioniste circa il covid, e complottiste in termini complessivi ( il green pass non è certo il punto centrale dell’oppressione realizzata dal potere del Capitale )

    Il movimento che di fatto esiste contro la gestione pandemica ( non quello che auspicheremmo), e fatto soprattutto da feccia piccoloborghese che teme ogni restrizione sanitaria alla libertà di esercitare le proprie attività bottegaie ( paura di finire fuori mercato, concentrazione dei capitali che è inevitabile anche senza pandemia). E’ portatore di questa ideologia anche chi non fosse un piccolo borghese, ma ritiene di doversi scagliare contro l’autoritarismo del green pass ma non accusa le classi dirigenti di genocidio , 130..000 morti solo in italia, stante la distruzione della sanità pubblica e via dicendo (qualcuno dei no vax lancia questa accusa ? tutti possono vedere che no, il neoloberismo gli va bene)

    Bisogna denunciare il versante no vax che esiste di fatto, in quanto costituito dai piccola borghesia putrescente, che vorrebbe conservare il sistema del capitale ed il proprio posto in esso, tale piccola borghesia sostiene il sistema del Capitale non meno accanitamente dei grandi capitali che determinano i meccanismi della post-verità

    Ma l’articolo non realizza tale denuncia circa vera natura del fronte no vax esistente di fatto,, per cui non esce dalla dicotomia, paralizzante per chi ha spirito critico e voglia di emancpazione, tra post-verita e la sua immagine rovesciata costituita dalla feccia piccoloborghese no vax. D’altronde, sono molti che fanno cosi’, usano la giusta critica alla post verità per dare in maniera indiretta una parziale assoluzione al movimento no vax a base complottista. Bisogna smetterla di candidarsi a mosche cocchiere, una vera controcultura circa la pandemia ed oltre, può svilupparsi solo su solide basi di classe, come fu per la strategia della tensione, Ustica e Chernobyl.

    Ed una tale controcultura ( su basi di classe) urge ed è necessaria, altrimenti è inutile stare ad osservare che i vaccini non immunizzano ma riducono solo la gravità dell’infezione e le ospedalizzazioni, questo lo sanno anche i “persuasi”, ma c’e bisogno di contestare il rapporto sociale capitalistico perchè sorgano soluzioni piu soddisfacenti ( candidarsi a mosche cocchiere di una piccola borghesia che si esita a riconoscere ed a definire come tale illudendosi che possa essere o esprimere altro vuol dire solo ritardare possibili pratiche cdi emancipazione.

    Meno si coglie che le classi dirigenti legate al grande capitale e la piccola borghesia no vax sono i due poli di una dicotomia i cui due lati possono esistere solo insieme, come espressione di settori diversi della stessa classe borghese, piu si cade nel considerare la gestione pandemica realizzata dalla classe dirigente( epressione dei grandi capitali) come gestione dovuta a meccanismi linguistico-comunicativi ed ermeneutici slegati da una reale base materale e di classe.

    ps : Invece , basandosi su una analisi di classe, il livello tecnocratico, comunicativo , tecnocratico , ermeneutico, acquista il valore di spiegazione della forza, in parte autonomizzatasi, della ideologia ( ma la critica al post-modernismo richiederebbe dibattititi infiniti). Il tono, che può sembrare scontroso, dipende invece da esigenza di brevità e chiarezza espositiva , e nulla toglie al rispetto dell’interlocutore e del dibattito in generale

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