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Il 4 dicembre, la lotta contro il proconsole UE a palazzo Chigi

L’instabilità cronica del quadro politico italiano pare abbia trovato un momento di normalizzazione nella figura dell’ex presidente della BCE, insediatosi con l’ennesimo colpo di mano ordito dalle teste d’uovo della Commissione Europea in combutta con il Presidente della Repubblica Mattarella e con l’assenso più o meno entusiastico dei partiti, ridotti a giocare un ruolo marginale sia nel governo sia nei due rami del Parlamento.

I fatti di questi mesi evidenziano una velocizzazione dei processi di integrazione europei di notevole portata, determinati da fattori interni ed internazionali.

Quelli interni provengono da una gestione criminale della pandemia, per coprire la quale si usa a piene mani l’informazione deviante sul tema No Vax / No green pass per disorientare le maggioranze e gestire al meglio le politiche “lacrime e sangue” contenute nel Recovery Found, declinato nel nostro paese attraverso il famigerato PNRR.

A livello internazionale, il ritiro disordinato dall’Afghanistan dell’alleato/competitor statunitense ha permesso ai burocrati di Bruxelles di dare una ulteriore accelerata a quello che noi definiamo un Super Stato europeo, che vede il nostro paese cavia privilegiata e luogo concreto di sperimentazione.

Il discorso della Presidente Ursula Von de Leyen dello scorso 15 settembre al Parlamento europeo è rivelatore dell’ulteriore svolta autoritaria, antipopolare e militarista che sta assumendo questo polo imperialista in costruzione: ipercompetitività internazionale e costruzione dell’esercito europeo.

Le schermaglie tra stati nazionali e, all’interno dei governi, tra partiti di coalizioni monstre, sono effetti collaterali di un processo che va spedito verso la sua realizzazione, al fine di rispondere alle sfide di una competizione interimperialistica e con le grandi economie orientali che si sta inasprendo sempre di più.

La resistenza popolare contro queste politiche draconiane e guerrafondaie è stata sino ad oggi, in tutto il continente, debole e frammentata. I movimenti cresciuti in fasi diverse (gilet gialli docet) si sono arenati a causa della genericità e indeterminatezza di contenuti, obiettivi e sedimentazione organizzativa.

Lo stesso possiamo dire del nostro paese, colpito duramente dalle conseguenze della lunga crisi inaspritasi prima con il crollo dei colossi finanziari nel 2007, poi dalla pandemia, ancora lontana dall’essere risolta. Nonostante questo non si sono sviluppati movimenti di massa in grado di mettere in discussione le politiche genocide dei due esecutivi che ci sono succeduti in questi due anni, prima Conte ora Draghi.

Abbiamo visto in piazza settori economici specifici e corporazioni, subito rientrati a casa dopo le elargizioni statali a pioggia, a dimostrazione del fatto che enormi risorse sono a disposizione degli esecutivi per sedare impennate conflittuali e dissenso sociale.

Gli unici segnali di controtendenza sono arrivati da chi, in questi anni, ha perseverato nella sedimentazione delle forze sul terreno sindacale, sociale e politico, attraverso mobilitazioni sempre ostracizzate dagli esecutivi, dalla magistratura e dai mass media, a causa della loro incisività nel tessuto sociale popolare, quantomeno dove gli insediamenti sono concreti e legati ai posti di lavoro e ai territori.

Lo si è visto nel vivo della pandemia, nelle lotte di settori che hanno una funzione strategica negli attuali assetti produttivi (logistica, servizi essenziali, industria), ma anche nella rappresentazione politica di una sofferenza che sta interessando settori di popolazione sempre più ampi.

Il sindacalismo di classe, Potere al Popolo!, le realtà giovanili e studentesche sono i soggetti principali di questa resistenza e, in occasioni come quella che ci vedrà scendere in piazza il prossimo 4 dicembre, anche di controffensiva contro il sistema di potere gerarchico e piramidale che da Bruxelles arriva a condizionare ogni ganglio vitale della vita economica, sociale ed istituzionale del nostro come di tanti altri paesi di un continente disciplinato dai diktat della competizione interimperialistica.

Compito dei comunisti è affiancare, sostenere e, possibilmente, orientare il conflitto di classe contro il capitalismo nella sua fase imperialistica.

È quello che faremo il prossimo 4 dicembre sul tutto il territorio nazionale.

Rete dei Comunisti

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