Tra i comportamenti “irresponsabili” andrebbe annoverato anche quello di chi, pur ricevendo la fiducia in Senato, s’inalbera e dà le dimissioni, in un momento molto delicato per l’equilibrio sociale del paese, che la guerra in Ucraina ha appesantito anche sul piano psicologico.
Quindi, diamoci tutti una calmata, la caccia ai colpevoli di una crisi di governo che ancora non è stata certificata dal Parlamento è la vecchia commedia dei fraintendimenti.
Il disagio sociale è un dato di fatto sempre più rilevante, i prossimi mesi raggiungerà livelli insostenibili, lo dicono tutte le rilevazioni: l’aumento delle tariffe energetiche sta incrociando la falce dell’inflazione, con la certezza di diventare la mietitrice del potere di acquisto di redditi gracili.
Salari, stipendi, partite iva e pensioni sono il vero problema che Draghi era chiamato ad affrontare concretamente.
Il M5s lo ha messo sul tavolo. In modo sgangherato, con la solita prosopopea grillina? Oltre la forma, è la sostanza politica che bisogna prendere in considerazione.
Il Pd non può svicolare, perché questo è il punto che i suoi stessi elettori hanno ben presente.
Neanche la Cgil può più fare sofismi, come ha fatto con quel penoso comunicato di sostegno alla continuità di un governo che finora ha sempre rinviato decisioni che potevano scontentare Confindustria.
Il governo Draghi è stata un’invenzione della politica per gestire il Pnrr, la versione italiana del Next generation Eu. Come giustamente ha scritto Donatella Di Cesare, gli avvenimenti hanno sovrastato l’agenda di Palazzo Chigi. Draghi è andato oggettivamente in difficoltà.
Oltre le polemiche di queste ore, – comprensibili, tanto prevedibili quanto stucchevoli -, o la questione sociale entra in cima all’agenda del governo o nessuna altra alchimia reggerà fino alle prossime elezioni.
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