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La conoscenza come elemento della catena del valore

Io penso che non sia assolutamente possibile separare il settore della conoscenza dal resto di tutte le altre attività produttive e dei servizi. Nel sistema capitalista anche la conoscenza viene utilizzata per ridurre i costi di produzione, aumentare l’appetibilità dei prodotti e quindi il profitto.

Prima di tutto il sapere non è neutro ma influiscono le culture dominanti e le esigenze del capitale. (Marcello Cini, L’ape e l’architetto, 1976).

Negli ultimi anni nei paesi a capitalismo avanzato, per far fronte alla caduta tendenziale del saggio di profitto, stiamo assistendo ad una privatizzazione sempre più diffusa della conoscenza da parte di monopoli e oligopoli finanziari. Eppure il settore che produce conoscenza è alimentato da investimenti pubblici, la cultura, l’apprendimento, la formazione e la ricerca sono a carico degli stati.

Qualsiasi scoperta scientifica, è per sua stessa natura solo un tassello aggiuntivo che si fonda sul patrimonio delle scoperte precedenti, e solo questo dovrebbe essere sufficiente a capire ad esempio il carattere aberrante dei diritti sui brevetti che invece dovrebbero essere patrimonio collettivo messo a disposizione dell’umanità.

Le politiche sulla ricerca dell’Unione Europea sono volte a incrementare il profitto e premiano solo i progetti che coinvolgono una o più fondazioni private e/o spin-off . La logica di mercato entra a gamba tesa nel mondo della ricerca. e questo fenomeno investe enti che “sulla carta” sono pubblici come CNR e Università.

Sono i capitalisti che decidono quale conoscenza deve essere prodotta dai lavoratori mentali, allo scopo di aumentare i profitti. La stragrande maggioranza di questi lavoratori, anche quelli che formalmente lavorano nel settore pubblico, non sono produttori di sapere indipendenti, liberi di creare teorie, scienze, tecniche ecc…, ma sono essi stessi soggetti al dominio del capitale, diventando, di fatto una nuova classe operaia, che in gran parte non ha coscienza di sé, per questo è assai arduo provare ad organizzare il conflitto.

La privatizzazione del sapere è perciò essa stessa elemento essenziale della catena del valore e della crescita economica capitalista a lungo termine, producendo diseguaglianza sociale e devastazione del pianeta.

Emblematico il caso del Piano Nazionale di Ricerca e Resilienza, che il governo più euroatlantico dei precedenti della fascista Meloni e sodali porta avanti in perfetta continuità col governo Draghi.

Con l’obiettivo M4C2-17, si mette la ricerca scientifica al servizio del profitto privato. Viene infatti finanziato il ‘Fondo per la realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione’ per “facilitare l’osmosi tra la conoscenza scientifica generata in infrastrutture di ricerca di alta qualità e il settore economico (…) che colleghino il settore industriale e quello accademico”. In pratica il privato decide in cosa si fa ricerca e si appropria dei risultati, gratis.

Lo scopo è quello di finanziare la creazione di centri di ricerca nazionali, secondo una logica competitiva, che abbiano tra gli elementi essenziali il coinvolgimento di soggetti privati nell’attuazione dei progetti di ricerca. In altre parole, non solo la ricerca si piega all’interesse del mercato, ma il Governo si pone l’obiettivo di cedere ai profitti dei privati i frutti della ricerca pubblica.

Ma c’è di più. Il lavoro mentale si fa anche strumento per il controllo sociale generalizzato rappresentato dall’appropriazione dei flussi di dati da parte di oligopoli digitali. Il controllo è funzionale a trarre profitti e ad alimentare l’ economia di guerra, linfa vitale necessaria alla competizione globale intercapitalista.

Anche grazie ai risultati del controllo sociale, la classe politica e mediatica ha continuamente indottrinato il pubblico con narrazioni completamente false .

Come spiega Julie Cohen, l’appropriazione dei dati da parte ti pochi soggetti privati è avvenuta sfruttando una labilità intrinseca alla protezione dei dati stessi che ha permesso ad alcuni oligopoli digitali di appropriarsi di queste risorse intangibili (in condizione di res nullius [cosa di nessuno, liberamente appropriabile]) in modo analogo a quando in passato le grandi potenze coloniali si sono appropriate con la forza delle risorse e delle terre, che loro vedevano come res nullius, ma che in realtà erano già abitate e governate (Julie Cohen, Informational capitalism).

Il potere di questi oligopoli è immenso. per tentare di stare nei tempi, ci sono almeno 2 esempi da fare che sono sotto gli occhi di tutti :

1- durante la pandemia gli stati che volevano sviluppare sistemi di tracciamento digitale, con il deposito centralizzato dei dati presso i ministeri della salute nazionali, si sono scontrati con il duopolio Google/Apple e con il loro sistema che controlla il 90 % degli accessi attraverso le loro applicazioni.

Questi hanno imposto a tutti gli stati di cambiare l’intero assetto che si stavano dando (salvo la Francia che ha deciso di mantenere i dati nel sistema del ministero della salute).

Quindi, anche di fronte a un’esigenza di politica pubblica di tutela della sanità e di sviluppo della ricerca, di straordinario rilievo in una emergenza, gli stati hanno dovuto soccombere.

2- il controllo sui dati da parte di questi pochi soggetti privati è un controllo che sfugge ai territori e alle capacità d’intervento dei governi nazionali. Questo è vero in particolare per l’Europa.

Sotto il profilo della distribuzione geografica il 90% del valore di mercato delle 70 maggiori Tech Company è riferibile a imprese Usa o cinesi, mentre Africa e America Latina contano solo per l’1% , il resto del mondo, Giappone ed Europa inclusi, vale appena il 9% (Massimo Florio, “La privatizzazone della conoscenza”, pag. 193).

Le prime 5 grandi piattaforme sono statunitensi e le altre sono cinesi. Quindi il controllo del grande flusso dei dati da parte di infrastrutture e piattaforme statunitensi, ha permesso di estendere il controllo su un’ampia pletora di dati in giro per il mondo e quando è poi emerso che il governo degli stati Uniti accedeva in maniera pressoché arbitraria ai dati detenuti dalle grandi piattaforme americane relativi a cittadini e imprese di altre nazioni del mondo questo ha creato un effetto di reazione a catena sulla sovranità dei dati (cfr. lo scandalo Snowden e poi ancora il caso Cambridge Analytica, che ad es. hanno avuto un impatto rispetto alla questione piuttosto importante del microtracciamento dei dati durante le elezioni politiche).

La conoscenza non può essere mercificata.

Salute umana, cambiamento climatico, governo dei dati: sono queste le sfide cruciali per la prossima generazione. Non è possibile affrontarle senza smettere di trasformare la scienza in un bene privato. Occorre invece creare infrastrutture pubbliche ad alta densità di conoscenza, sintesi ideale del modello dell’infrastruttura di ricerca e di un nuovo tipo di impresa pubblica.

* Ricercatrice del Sincrotrone di Trieste. Intervento al 3° Congresso Nazionale USB – Montesilvano,18-19-20 Novembre 2022 

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