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La lotta contro la guerra dovrebbe essere “la” priorità

Il massimo che il pacifismo borghese (e cattolico) poteva fare, lo ha fatto.

La raccolta di firme per il referendum contro l’invio di armi al fronte e i 10mila della marcia per la pace Perugia-Assisi.

Di più non si poteva pretendere.

Ed è anzi stupefacente che, nel clima ammorbato dalla propaganda bellicista, qualcuno abbia il coraggio di dichiararsi pacifista.

Di spendersi per una “causa persa” che li segnerà come “appestati” e “panciafichisti”.

Target da colpire nella ricomposizione del fronte interno.

In altri tempi, con la spocchia che ci caratterizza, e forti delle nostre certezze teoriche spesso frutto di maldigerite letture, avremmo rifiutato sdegnosamente di finire alla coda dei Santoro e dei Moni Ovadia, men che meno, del Papocchio.

Ne avremmo denunziato i limiti interclassisti e contrapposto al loro illusorio idealismo, la lotta organizzata, se non dell’intera classe, delle sue avanguardie più coscienti.

Ma di avanguardie coscienti della necessità di mettere al primo posto della loro attività la lotta contro la guerra e la militarizzazione della società se ne vedono poche.

Di pratica politica ancora meno.

I tempi delle mobilitazioni di massa contro la guerra dell’Iraq e prima ancora del Vietnam sono un lontano ricordo.

Nemmeno un banchetto, un presidio, uno sciopero, perfino i selfie di denuncia sono diventati rarissimi.

Quando invece bisognerebbe mobilitare tutto il possibile e l’immaginabile.

Utilizzare ogni minuto della nostra “militanza” per affrontare di petto la questione principale del momento storico che stiamo attraversando.

La lotta contro il capitale assassino che vede nella guerra l’unica possibilità di sopravvivenza.

Fare “altro” non serve assolutamente a nulla perché non c’é più nulla che non debba fare i conti col cozzo degli interessi concorrenziali fra i predoni che si sono spartiti il mondo.

E così, alla coda del pacifismo borghese, dei suoi intellettuali, dei suoi artisti, dei suoi preti, arranchiamo faticosamente incapaci di rappresentare alcunché che non sia la sterile ripetizione di formulette astratte.

E dobbiamo perfino ringraziare che ci sono. I Santoro, i Moni Ovadia, i Rovelli, perfino gli ex generali dubbiosi del buon andamento di questa folle avventura.

Loro fanno il massimo che la loro coscienza e la loro consapevolezza gli permette di fare.

Per noi, che millantiamo a ogni passo la nostra coscienza comunista, quel massimo è solo il minimo che avremmo il dovere di fare.

Hic Rhodus, hic salta.

Ma noi non siamo più capaci di saltare.

Nemmeno coi mortaretti che ci scoppiano sotto il culo.

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1 Commento


  • Giuliano Donadoni

    Dobbiamo conoscere, discernere, volere e agire. E questo faremo finché sarà necessario. Contro l’invio delle armi e contro la guerra, per una pace duratura che sia ottenuta al più presto e comunque prima della vittoria di qualcuno, perché altrimenti vorrà dire che il PATATRAK tanto temuto si sarà avverato! Giuliano Donadoni portavoce del Comitato PACEsubito! – Bergamo

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