Tempo fa il ragazzo trentenne che guidava il taxi mi dette una occhiata per stabilire la mia età e subito dopo iniziò a parlare. Con poche parole sintetizzò le cause del degrado morale, sociale e culturale che contraddistinguono il nostro ultimo trentennio: “la sua generazione – disse guardandomi dallo specchietto retrovisore – ha lottato per difendere e conquistare i diritti che assicurano una vita dignitosa alla gente. La mia, invece, ha perso tempo sulla playstation facendosi scippare quei diritti”.
Ricordo quell’episodio mentre leggo il Rapporto Invalsi 2023 che ci racconta che “un maturando su due non capisce cosa legge”.
Ma non c’è sorpresa in questo. E’, di fatto, un disastro sociale annunciato. Un risultato voluto. Gramsci raccomandava: “istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, perché si sa che l’ignoranza è una delle leve utilizzate dal potere.
Non è complottismo quando si dice che oggi i regimi capital/fascisti per affermarsi, limitando i rischi di ribellione, non usano più la violenza fisica. Manganello e olio di ricino sono andati in soffitta. Per formare individui limitati nelle loro naturali abilità psichiche, quelle che madre natura fornisce di default, ci sono sistemi più “dolci”.
La capacità di ragionamento, di pensiero critico, di percezione della realtà, di sviluppare la propria intelligenza utilizzando volontà, memoria, istintualità e anche la sana affettività, sono tutte competenze amiche della ribellione che rendono difficilmente plasmabile l’individuo.
Abilità nemiche del potere economico/politico che ricorre ad un condizionamento collettivo che parte dal ridurre l’offerta di istruzione.
Quando Briatore dice ai ragazzi di oggi di imparare un mestiere invece di perdere tempo con gli studi, descrive esattamente l’italica realtà scolastica in cui anno dopo anno si riduce l’offerta formativa. Non fare il liceo ma vai in un istituto professionale.. questo è il messaggio e progressivamente l’unica opzione che sarà disponibile per chi non è nato con la camicia.
Le opportunità del sapere vanno riservate solo alle elite, quelle di cui fidarsi e che eviteranno di essere contagiate da ideologie “sovversive” perché già parte del meccanismo.
Al potere serve l’individuo ignorante, chiuso nel suo piccolo mondo di problemi mediocri, facile da accontentare e di modeste ambizioni. Incapace di allargare il proprio orizzonte, mutilato nella naturale abilità umana di alzare lo sguardo per individuare una possibilità di cambiamento, perché ogni cambiamento per il potere è una minaccia di ammutinamento.
Ma non è solo a scuola che si plasma l’individuo. TV, radio, giornali sono altri strumenti “non violenti”. Altri attrezzi del mestiere usati dal potere, mezzi di persuasione subliminale che, come potenti lubrificanti sociali, diffondono modelli emotivi e sentimentali che impediscono riflessione e introspezione e quindi la consapevolezza di sé.
Sarebbe un guaio serio se l’agnello da sacrificare dovesse farsi domande sul suo futuro, le sue ambizioni e la sua felicità.
Allora più sesso, calciomercato e banalità sociali per tutti! Evitare gli argomenti seri, il clima deve essere di leggerezza, di edulcorato sentimentalismo e di diffuso ottimismo. Guai a parlare seriamente di cose serie che invece vanno ridicolizzate insieme a tutte le riflessioni che spingono verso “valori alti”.
Allora ecco tutta la televisione trash che con un flusso continuo valorizza in modo compiaciuto la cultura volgare, ridicola e deteriore. Una sorta di ansiolitico sociale distribuito via etere.
Questo “dolce” condizionamento globale produce nell’individuo un bisogno di omologazione alla cultura ed i valori “convenzionali” e socialmente dominanti. L’arma di ricatto del potere è il terrore di rimanere esclusi dal quel tritacarne che dispensa falso benessere in cambio della rinuncia alla propria identità.
E’ tutto qui, facile facile. E’ sufficiente un controllo sociale continuo affinché gli equilibri rimangano immutati. Poi se qualcuno sfugge al controllo, basterà creare un nemico comune da combattere.
Uno su due non capisce quello che legge e al Sud va anche peggio. Non la vedo bene.
* da Facebook
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Giovanna Tripodi
D’accordo.
Ma non sarà opportuno riflettere su quale ruolo di coloro che insegnano per mutare lo stato delle cose?
Eros Barone
La sfida educativa posta dalla rivoluzione informatica è stata perduta, ed è stata perduta perché in questo Paese sono completamente mancati, a parte isolate e non influenti eccezioni, un ceto politico ed un ceto intellettuale animati dalla consapevolezza che i problemi linguistici sono, nella loro essenza, problemi che coinvolgono il ‘logos’, il ‘pathos’ e l’‘ethos’ (vale a dire il ragionamento, le emozioni e la moralità), che è quanto dire la formazione dell’identità nazionale e del senso civico. Del pari, si è rinunciato ad esigere dai nostri ragazzi, sul piano dell’impegno nello studio e nella conoscenza, molto di più di quello che è stato loro richiesto, abbassando sempre di più i livelli, i contenuti e la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Non è difficile quindi prevedere che nei prossimi decenni, che saranno segnati da enormi tempeste politiche, sociali e militari, e dalla poderosa avanzata di nuove potenze dotate di sistemi educativi di alto livello, ci toccherà pagare un conto assai salato, come Stato nazionale 8se ancora tale sarà), per la regressione linguistica delle nuove generazioni. Basti pensare che le misure indicate a suo tempo in un documento su questo tema sottoscritto da 600 docenti universitari (fra le altre cose, dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura a mano, nonché verifiche nazionali periodiche di queste abilità durante gli otto anni del primo ciclo scolastico) rientrano tutte in quello che era il funzionamento ordinario della scuola dell’obbligo, prima che esso fosse investito e scosso, per un verso, dalle mutazioni epocali, e mutilato e distorto, per un altro verso, dalle sciagurate politiche scolastiche di questi ultimi decenni.