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Emergenza migranti? Immigrazione libera, unica salvezza

L’emergenza migranti. Ancora? Non passa giorno che nei telegiornali compaia questa frase. Effettivamente, proprio a questo riguardo, confermiamo l’insorgere quest’estate di un’emergenza, di un segnale di sofferenza grave.

La scena è desolante: un leader dell’opposizione, il PD Bonaccini, si lamenta con l’attuale governo neofascista per i “troppi sbarchi”: eh, dice, invece “quando c’era lui”, il “nostro” Minniti, allora sì che ce n’erano molti meno!

Siamo alla frutta: la cosiddetta “sinistra” che si lamenta con la destra per i troppi immigrati. Occorre fare qualcosa, siamo davvero in emergenza…

L’Europa è quest’anno impegnata in una guerra di autodistruzione. Sperpera immense risorse per una guerra dove nessuno può vincere, riciclando a caro prezzo sia vecchie armi per una vecchia guerra, che una vecchia ideologia guerresca basata sulle crociate: guerra per la libertà e contro l’Impero del Male.

Ogni speranza di ripresa, dopo la tremenda batosta del Covid, è vanificata. Le economie si riconvertono ad economie di guerra, reggendo alla bell’e meglio, al prezzo di trasformarci tutti in profughi di guerra nella nostra stessa nazione, sinistrati da inflazione, prezzi alle stelle, tagli del welfare.

Tanti, tantissimi nuovi poveri sono la moderna versione della “carne da cannone” di un secolo fa. I giovani sono quelli a pagarla più cara, intere potenzialità per le generazioni future cancellate, sostituite da precariato permanente.

Mentre implodiamo, letteralmente consumati dalla guerra, con risorse economiche e umane preziose bruciate per nulla, abbiamo anche trovato un comodo capro espiatorio cui addossare “la colpa di tutto”: i migranti.

Migliaia di persone provenienti principalmente dalle coste settentrionali dell’Africa continuano a tentar di raggiungere il nostro territorio viaggiando nel Mediterraneo a bordo di barche quasi sempre troppo piccole e insufficienti.

Si tratta di persone in stato di estrema indigenza, uomini, ma anche donne e bambini, intere famiglie, che hanno investito le loro poche risorse nel viaggio.

Il loro viaggio è iniziato in realtà ben prima, partendo dai loro paesi di origine: paesi dove vi sono generalmente situazioni insostenibili con guerre, fame, violenza, o anche “soltanto” estrema povertà che minaccia la loro sopravvivenza.

Non tutti arrivano ad imbarcarsi: molti periscono durante il viaggio, magari attraversando deserti o altre zone a rischio. Quasi sempre, in nord Africa, si raccolgono, anzi, vengono raccolti, in campi di concentramento: non riusciamo a  trovare termine che meglio descriva la situazione reale. Poi partono.

Spesso, i loro natanti – condotti dai cosiddetti “scafisti” – naufragano in mare aperto, affondando o rischiando di farlo. Gli scafisti sono dei criminali, ma quella gente non ha altri cui ricorrere.

Il destino dei naufraghi può variare: o crepano annegati, oppure, soccorsi, finiscono normalmente in centri di raccolta statali. Il loro destino qui può di nuovo essere disparato: dal permesso legale di restare nel caso in cui venga riconosciuto il loro status di rifugiati, al transito verso paesi del centro e nord Europa, alla fuga e ad una nuova clandestinità, al rimpatrio.

Il fenomeno sopra descritto è in atto da molti anni. Se vogliamo estenderlo anche ad altre “ondate migratorie” (si ricordi ad esempio le navi stracolme provenienti dall’Albania nel 1991), addirittura da decenni. Non può trattarsi pertanto di un’”emergenza”.

Anche le sue cause sono semplici e ben note: pensare di risolverle con de-cretini di ordine pubblico è come scopare il mare con il rastrello.

Vediamole, in breve, le cause. Innanzitutto, in Europa ci sono condizioni di vita migliori che nei paesi dell’Africa e del vicino oriente. Esse derivano dal secolare drenaggio di risorse materiali e umane che l’Europa ha compiuto nei confronti delle nazioni africane e del medio oriente.

Dal colonialismo vero e proprio, terminato solo negli anni 60 dello scorso secolo, fino al colonialismo economico attuale, e all’uso di quelle nazioni per guerreggiare per procura.

Negli ultimi decenni, il combustibile con il quale viene alimentata l’economia delle nazioni occidentali ha iniziato a scarseggiare. Non si parla qui soltanto banalmente di risorse energetiche, ma anche ecologiche e umane.

La società capitalista – basata sullo sfruttamento delle classi inferiori e sulla predazione di territorio – va in crisi. Non riesce più a soffiare nella bolla (la “crescita”, lo “sviluppo”) delle condizioni di vita assolutamente sproporzionate rispetto al “terzo mondo” e insostenibili se estese a tutti, venendo a mancare, appunto, sia gli sfruttati che tre-quattro Terre di riserva da predare.

Due problemi, quindi, per i secolari stupratori del mondo:

1. Dopo gli immigrati meridionali al nord, dopo gli appartenenti alle ex-colonie (si pensi alla Francia), dopo i provenienti dai disastri economici e/o bellici nei paesi dell’est europeo dopo il 1989, scarseggiano i potenziali sfruttati.

2. Dopo le crisi petrolifere degli anni 70, le principali risorse energetiche e materiali rischiano di essere in mano – potenzialmente – a stati indipendenti che potrebbero osare pretendere, per la prima volta nella storia, che queste risorse vengano pagate un giusto prezzo, e che terminasse il colonialismo economico.

Questo porterebbe nel giro di poco tempo all’incepparsi del motore del capitalismo occidentale, basato sul furto e sulla truffa legalizzata, e ad una crisi profonda di un modello fisicamente – oltre che moralmente – insostenibile.

Per secoli abbiamo retto il mondo come guardie carcerarie della Cayenna, evolvendoci fino ad un più efficiente ruolo di kapò in un immenso e moderno lager. C’è ora pericolo di essere sbalzati dalla nostra amata sella di guardiani schiavisti dei campi di cotone.

L’estremo rimedio temporaneo a questo pericolo sono state le nuove guerre: Iraq, Somalia, Libia, Siria, Ciad. Africa in generale.

Quando non è stato possibile mantenere la povertà, la corruzione, la schiavitù economica con le guerre, si è ricorsi ad “aiutarli a casa loro” a restare poveri o schiavi, mediante l’appoggio a regimi corrotti o fantoccio, il drenaggio delle risorse economiche con il debito, le multinazionali energetiche ed alimentari che efficacemente hanno mantenuto i paesi “in via di sviluppo”, appunto, eternamente in quello stato.

Gli abitanti di questi paesi, in ultimo, devono restare in loco, corroborando con la loro morte o povertà estrema il funzionamento, per un altro po’, delle società occidentali.

Dall’analisi delle cause si potrebbe dedurre che, essendo i fenomeni migratori causati dal nostro atteggiamento criminale e predatorio verso il resto del mondo, noi – cioè l’Occidente – avremmo il dovere morale di cercare di porvi rimedio; avendo causato l’ondata migratoria, non dovremmo opporci e “fronteggiarne le conseguenze”.

Certamente, già questo è atteggiamento migliore rispetto a chi vorrebbe conservare il proprio supposto benessere cacciando chi cerca di immigrare in Italia chiudendo i porti, rifiutando l’accoglienza e l’asilo, istituendo una sorta di apartheid (“prima gli italiani”) che tenda a prolungare la situazione di privilegio, accettando semmai l’immigrato qualora si tratti di un “immigrato che lavora”, cioè che si fa sfruttare in lavori umili e sottopagati.

Ma anche l’atteggiamento ispirato soltanto alla giustizia, alla moralità, all’umanità, verso “l’emergenza migranti” è secondo noi incompleto. Presuppone che l’effetto dell’immigrazione in Italia possa avere negative conseguenze economiche e sociali; ma non è affatto così: economicamente e politicamente parlando, l’immigrazione potrebbe essere la salvezza dell’Italia.

Supponiamo – per assurda ipotesi – che al governo d’Italia vi siano alcuni politici capaci e preparati, addirittura lun-gi-mi-ran-ti. Sappiamo che ciò pare arduo da immaginare, ma non dobbiamo rassegnarci al fatto che sia impossibile.

Supponiamo che l’ipotetico governo decida che l’immigrazione in Italia sia legale. Che chiunque lo desideri possa imbarcarsi in un porto del terzo mondo con un regolare biglietto di una nave di linea e giungere in Italia.

Apocalisse? Non crediamo. Innanzitutto sparirebbero i barconi, i morti in mare (bambini, donne, vecchi, persino uomini giovani che invece, secondo la nostra morale pseudocristiana, fanno “meno pietà”), mentre le ong potrebbero destinare le loro risorse ad altre missioni umanitarie.

Ma cosa farebbero tutte queste persone una volta in Italia? La nostra economia sarebbe in grado di sostenerli? Probabilmente sarebbe necessario trasformare le attuali strutture – simili a carceri – in centri di vera accoglienza e di smistamento. Una piccola spesa iniziale, suvvia: si stima che siano sufficienti circa un ventesimo delle risorse che attualmente spendiamo nel bilancio difesa, per fare un esempio.

E dopo? Dopo verremmo ripagati con gli interessi. Dopo – per tutti coloro che desiderano restare – si aprono le porte del lavoro regolare. Le imprese che desiderano assumere regolarmente persone (non schiavi sottopagati e senza contratto) avranno un’amplissima scelta di potenziali lavoratori. Spesso, giovani e dotati di buona istruzione.

Sparisce il caporalato, spariscono i nuovi schiavi, spariscono i ghetti: possiamo assicurarvi che nessuno, se viene retribuito regolarmente, ambisce ad abitare in una baracca, in venti per stanza.

Impossibile, prima gli italiani che sono disoccupati o in povertà? Ma non è così che funziona, quanta ignoranza: la regola base del nostro amato capitalismo è semplice. Lavoro crea lavoro: vera crescita, basata sul benessere sia di noi “vecchi” che dei “nuovi”.

La nostra economia basata sulla mafia, sullo sfruttamento e sulla puzza di chiuso, riceverebbe una tremenda frustata dall’afflusso di “nuova gente”. Ma non alla spicciolata: in massa.

In pochissimo tempo certi equilibri di cartoncino sui quali si basa la sopravvivenza di questo sistema economico mafioso e democristiano salterebbero necessariamente, ed aumenterebbero anche le possibilità di lavoro per “gli italiani”. Definizione che diverrebbe presto obsoleta, dato che ogni immigrato con un lavoro avrebbe il diritto di ottenere, dopo breve tempo – se lo desidera – la cittadinanza italiana per sé e la sua famiglia.

A lungo termine, forse riusciremo a sbarazzarci di parole quali “razza”, “etnia”, colore della pelle. Residui dell’ignoranza dell’umanità che certo spariranno in futuro: ma perché non agevolarne ed affrettarne il processo, qui in Italia?

Certamente, questo scenario prevederebbe la revoca di certi provvedimenti e leggi istituite in materia di lavoro e diritti da parte dei governi degli ultimi vent’anni. Supporrebbe un ripudio di organizzazioni sovranazionali di stati ricchi che vogliano imporre all’Italia la schiavitù economica.

Una nazione come la nostra – poi – non avrebbe nessuna risorsa, materiale e morale, per fare o finanziare guerre, essendo troppo indaffarata a cambiar pelle.

La mafia (intesa come mentalità dominante nella società italiana), vedendosi sottratto da questa rivoluzione il terreno in cui prospera, si estinguerebbe senza doversi neppure sforzare di eradicarla.

Lo scenario supporrebbe che gli attuali italiani abbandonassero le pseudo-ideologie che guardano alla società come un ecosistema immutabile nel quale conservare supposti privilegi sopprimendo il proprio vicino, e non come un sistema in evoluzione nel quale le risorse possono moltiplicarsi mentre vengono redistribuite: la torta non è di grandezza fissa, si può facilmente fare in modo che l’arrivo di nuovi commensali comporti un valore aggiunto di risorse, tale da allargarla, la torta.

Certo, forse l’Italia avrebbe con questo scenario un paio di decenni un po’ movimentati. I partitucoli attuali, aggrappati al liberismo selvaggio tipico di una società stagnante e in crisi, sarebbero messi di fronte all’alternativa: cambiare atteggiamento o sparire.

L’Italia avrebbe persino le risorse – grazie al plusvalore economico – per “aiutare a casa loro” le nazioni sfruttate da secoli anche dagli italiani: e non parliamo solo di secolo scorso, ma ad esempio dei grandi “imprenditori progressisti” che delocalizzano la produzione sfruttando minori nei paesi del terzo mondo.

L’Italia ne ricaverebbe anche qui dei vantaggi, senza partecipare a guerre o esportare armi: la cooperazione con paesi del “terzo mondo” conviene, anche se li si tratta in maniera equa e senza sfruttarli, ma anche senza fare l’elemosina o costringerli a cambiare religione.

Ed infine, ne sortirebbe anche un vantaggio politico. In un paese con “italiani nuovi”, forse si troverebbero facilmente un po’ di persone veramente progressiste, veramente di sinistra. Il resto – cioè la rivoluzione, verrebbe da sé.

Ma occorre disappaltare questa nazione dai suoi attuali occupanti. Renderla internazionalista. Rimescolare un po’ questa popolazione di vecchi, di piccola gente che del mondo conosce solo i resort e le notiziole mainstream.

Ecco allora, come risolviamo la “emergenza migranti”. Abbiamo appena visto che non si tratta di un’”emergenza”.

E che i migranti non costituiscono un pericolo, ma un’occasione davvero unica di cambiamento e di crescita, morale, economica e politica.

Ma l’emergenza migranti in realtà esiste: è costituita da chi ne ostacola – o ne ha ostacolato nel recente passato – il libero afflusso regolare in Italia.

Va cacciato dal potere, con ogni mezzo, o deve essergli impedito di tornarci.

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1 Commento


  • Andrea Vannini

    “il resto, cioè la rivoluzione, verrebbe da sé”? Se non si ha il potere politico, lo si subisce. Né l’ immigrazione né altro si affrontano senza. É la rivoluzione che cambia la storia.

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