L’antisemitismo ha rappresentato la cornice ideologica di alcune delle pagine più atroci della storia di quell’Europa e di quell’Occidente bianco e cristiano che oggi vengono innalzati a modello di civiltà da imporre, con le buone o con le cattive, anche al resto del pianeta.
E lo è stato soprattutto quando si è fatto strumento delle classi dominanti per dividere i subalterni e per indicare capri espiatori verso cui indirizzare la rabbia per i propri fallimenti.
Proprio per questo motivo siamo convinti che chi in questi giorni sta usando strumentalmente quella tragedia assoluta come una clava, con cui colpire politicamente chi lotta contro il colonialismo dello stato israeliano, faccia un torto soprattutto a quella storia.
La catena di equazioni logiche che si cerca di imporre all’opinione pubblica, per quanto assolutamente fallace, ormai la conosciamo bene tutti.
Equazione A: Israele è, per definizione [e per legge imposta da Netanyahu, ndr], lo Stato degli ebrei, per cui chi è contro le politiche coloniali dello stato di Israele (che come dimostra la storia trascendono l’orientamento dei suoi governi, siano essi di destra o di “sinistra”) è per ciò stesso contro gli ebrei e, per questa ragione, intimamente antisemita.
Il fatto che poi, a battersi contro l’occupazione e l’apartheid, ci siano anche migliaia di cittadini di nazionalità diverse ma di religione ebraica, poco conta. In quel caso si tratterebbe solo di “ebrei per caso”, riprendendo solo una delle tante definizioni con cui è stato descritto Moni Ovadia proprio in questi giorni.
Equazione B: poiché il sionismo è l’ideologia fondante dello stato di Israele e che, come “dimostra” l’equazione A, chi lotta contro lo stato di Israele è antisemita, allora anche chi è contro il sionismo è contro gli ebrei, e quindi antisemita.
Ragionamento secondo il quale strappare o bruciare una bandiera dello stato d’Israele, come quella di un qualunque altro stato imperialista, equivarrebbe all’infamia di bruciare due pietre d’inciampo o disegnare con mano malferma una svastica al contrario su un muro di un cimitero ebraico.
Quest’operazione assolutamente mistificatoria, con cui probabilmente si sta provando a mettere in campo un’operazione di recupero dell’empatia nei confronti di uno stato che in un mese ha massacrato oltre 11mila civili, tra cui 4.500 bambini, senza nel frattempo riuscire a liberare un solo ostaggio, ha prodotto il risultato grottesco che negli ultimi giorni, utilizzando questi sillogismi, sono stati sospettati, quando non direttamente accusati di antisemitismo: il Papa, il segretario dell’Onu e organizzazioni non governative come Amnesty International e Medici senza frontiere.
Perfino Greta Thunberg, fino a ieri icona globale dell’impegno giovanile, è oggi considerata in odore di cripto-nazismo per via del polipetto (in realtà un peluche utilizzato per facilitare la comunicazione dei bambini con autismo) con cui si è fatta fotografare mentre solidarizzava con la popolazione palestinese.
E poco importa che, nella stessa foto, accanto a lei ci fosse anche una ragazza con in mano un cartello in cui affermava di essere un’ebrea contro l’occupazione, la foto è stata tagliata ad arte ed il messaggio lanciato sui social.
Come scrivevamo all’inizio, però, questa mistificazione paranoica dell’antisemitismo – se nell’immediato potrà forse portare qualche risultato in termini di immagine o di mobilitazione pro-israeliana – alla lunga rischia di rivelarsi un boomerang. In primo luogo perché, come sa bene chiunque prova ad occuparsi di comunicazione o abbia solo letto la favola “Al lupo, al lupo” di Esopo, l’allarmismo esasperato ed ingiustificato finisce per creare nell’opinione pubblica un effetto assuefazione.
Secondo poi perché, per un assurdo paradosso mediatico-politico, ad essere sdoganati da questa campagna anti-antisemitismo che ovviamente guarda soprattutto a sinistra, sono proprio gli antisemiti, quelli veri però, che invece adesso colgono l’occasione per una sorta di “right washing” purificante.
Confessiamo di aver provato più di qualche brivido nel vedere, subito dopo il 7 ottobre, la statua di Bandera illuminata con la bandiera israeliana. Oppure nel veder sfilare ieri, per le strade di Parigi, sia la Le Pen che Zemmour, fino a poco tempo fa accusati proprio di antisemitismo e oggi accolti in quel recinto repubblicano da cui invece si vorrebbe tener fuori la gauche.
O ancora veder ricevere da Netanyahu a Tel Aviv una presidente del consiglio che nel simbolo del suo partito conserva fieramente la fiamma e la sagoma del catafalco del Mussolini delle leggi speciali del 1938.
Come dicevamo, cortocircuiti di questo anti-antisemitismo assolutamente strumentale.
* da Facebook
L’immagine di apertura è un’elaborazione di una foto realmente scattata, ma non pubblicabile per una questione di diritti commerciali. Tutte le foto che ritraggono infatti Marine Le Pen sotto o a fianco di una bandiera israeliana sono di proprietà dell’agenzia Alamy. Dev’essere un caso…
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