La fine della attuale guerra Israelo-palestinese è allo stato attuale impossibile prevedere, anche perché è chiaro dalle molte dichiarazioni della dirigenza israeliana che il loro obiettivo ufficiale è la distruzione di Hamas, ma allo stesso tempo le dichiarazioni dei vertici zeloti e le azioni militari manifestano la volontà esplicita di effettuare un genocidio a Gaza con lo scopo di arrivare alla pulizia etnica dei palestinesi.
Che sia questa la volontà dei zeloti lo dimostra la politica di apartheid, la politica di impedire la costituzione di uno Stato di Palestina e la continua violenza gratuita e prevaricatrice dei coloni zeloti.
Che sia così era chiaro da molto tempo, ma fino ad ora i governi e i mass-media occidentali si sono guardati di denunciare la situazione, e che vi fosse una consapevolezza di quale razzismo esprimessero ed esprimono gli zeloti lo avevano già denunciato nel 1948 esponenti di alto profilo della comunità ebraica, tra i firmatari Albert Einstein e Annah Arendt, che scrissero una lettera al New York Times il 2 dicembre di quell’anno.
Sono i numeri aridi a dimostrare il genocidio in atto contro i palestinesi (e senza contare le migliaia di dispersi e i combattenti sepolti sotto le macerie), perché al 21 gennaio i morti civili a Gaza erano 25.105 e i feriti 62.681, il 4% di una popolazione di 2, 3 milioni di abitanti!
Il problema perciò è come costringere uno Stato, quello di Israele, a fermare una guerra di annientamento, perché Hamas, per quanto rappresentativa tra i palestinesi non è uno “Stato”, è altresì in grado di fare danni gravi ma non di proseguire una guerra senza una soluzione, con in più l’evidenza che ad un accordo di cessate il fuoco Hamas è disponibile a farlo (e gli zeloti no) ma facendo pagare un prezzo politico agli zeloti.
Estremizzando sono tre le azioni che possono portare il governo zelota a bloccare la sua macchina militare.
La prima azione è esterna ed è l’isolamento politico e ancora di più quello economico.
Le iniziative BDS dal basso sono importanti ma servono specialmente a smascherare il razzismo zelota ed aumentare il consenso di massa contro l’apartheid israeliana, ma per la sua natura incide poco, mentre è il coinvolgimento dei governi nel Mondo che può provocare i danni economici e tale coinvolgimento oggi è proprio il governo zelota, affiancato da quello che fanno i coloni zeloti, a incrementarlo con la sua sfacciata azione militare criminale, mentre indirettamente è l’azione dei yemeniti, ma anche dell’Iran, che impedendo il traffico commerciale sul mar Rosso, oltre a colpire l’economia israeliana danneggia l’occidente, europeo in primis, minando alla lunga il sostegno ai razzisti.
La seconda azione è sempre economica ma in questo caso interna: più dura la guerra a Gaza (e peggio se si allarga ad altri teatri bellici), più l’economia israeliana si blocca, sia per i lavoratori coscritti alla guerra depotenziando le attività, e allo stesso tempo interrompendo il turismo, sia religioso che semplicemente turistico fonte di grandi profitti e relative tasse.
La terza azione che disarticola gli zeloti è l’andamento della sua azione militare e in particolare le perdite umane che ne derivano a loro.
Le tante guerre portate in tanti anni dagli zeloti non hanno avuto gravi ripercussioni interne perché le perdite contenute erano percepite come “accettabili” dalla società ebraico-israeliana.
Escludendo la guerra del 1948, nel 1956 l’esercito israeliano ebbe 175 caduti, quella del 1967 ebbe circa 700 caduti, in quella del Libano del 1982 ebbe 675 caduti, quella del Libano del 2006 ebbe 119 caduti e per “piombo fuso” nel 2009 solo 10.
Questa condizione di quasi invulnerabilità è anche la causa in Israele di una idea di impunità di massa.
C’è però una guerra che fece la differenza, quella del Kippur nel 1973.
Le perdite militari israeliane furono di oltre duemila caduti, forse anche molti di più, e proprio questo costo umano costrinse gli zeloti a ritirarsi dal Sinai conquistato nel 1967.
Insomma la mancata tenuta interna delle politiche militari in Israele, come negli USA per il Viet-Nam, può provocare la disarticolazione interna al consenso alla guerra.
E per l’attuale guerra a Gaza e non solo?
La propaganda vittimista per cui il 7 ottobre vi fu un “genocidio”, vedi l’ambasciatore israeliano all’ONU che si era appuntato pretestuosamente una “stella di Davide” gialla, comincia lentamente a perdere colpi, perché 42 superstiti del “rave” hanno denunciato alla magistratura l’ lDF per averli bombardati sparando sulla folla provocando la strage, notizia pubblicata su Yedioth Ahronoth.
A questo si aggiungono le conseguenze delle azioni militari.
Le perdite militari israeliane sono un problema che può deprimere il consenso e le prime contestazione alla guerra stanno iniziando, per cui il governo zelota sta portando avanti una propaganda di informazione che mascheri le perdite militari.
I morti israeliani del 7 ottobre furono ufficialmente circa 1200 persone, normalmente descritti come civili e questo anche per accreditarsi come vittime, ma le notizie che piano piano trapelano è che i morti civili furono 790 di cui 364 uccisi al “rave”, 314 furono i caduti militari, 59 i poliziotti (non è chiaro se contati a parte), e non si sa quanti coloni armati furono uccisi quel giorno (ovvero milizie irregolari).
I report ufficiali dell’esercito zelota rimangono scarsi e poco pubblicizzati, dove spesso i soldati sono morti per fuoco amico o incidenti vari e quindi non è chiaro se tali caduti rientrano nelle perdite da combattimento (al 14 gennaio ne sono riconosciuti 29).
Le perdite ufficiali israeliane al 28 dicembre erano di 501 militari, di cui 167 solo a Gaza dal 27 ottobre, salite il 19 gennaio a 194, quelle per lo scontro in Libano erano di 9 caduti al 14 gennaio, nella West Bank le perdite sono altrettanto evanescenti e solo episodicamente note come il 7 gennaio dove è riportata la morte di un soldato e di un colono (quindi di un miliziano zelota).
Stando a queste cifre i caduti militari israeliani al 19 gennaio sarebbero almeno 567 a cui sommare i 790 accreditati come caduti civili del 7 ottobre.
Vi è però la notizia del 10/1/24 di un “incidente” (così è definito) con la morte tre giorni prima di 6 soldati saltati in aria mentre stavano minando un tunnel a el-Bureij (Gaza), ma sfortunatamente un tank zelota aveva sparato tre colpi contro una minaccia incombente, abbattendo un palo elettrico che scintillando i cavi aveva fatto innescare l’esplosione.
Ora, a parte il fatto che gli zeloti hanno tagliato a Gaza acqua, gas ed elettricità per cui non si capisce come era possibile lo scintillamento, tutta la sequenza appare inverosimile come “incidente” tanto più che il tank sparava per un pericolo incombente: la realtà che traspare è il trasformare i caduti di guerra in sfortunati morti accidentali e per questo vanno tutti contati come caduti in combattimento.
Ecco, il vero problema interno del governo zelota è il sorgere di una impopolarità alla guerra e cosa più drammatica per il governo zelota è che in Israele finisca l’idea dell’invulnerabilità.
Non sto dicendo che per mettere fine alla guerra genocida è necessario un alto numero di morti militari israeliani, ma che è la stessa azione intransigente e criminale del governo a minare il proprio consenso futuro, tanto più che è Netanyahu a ribadire che non ci sarà nessun Stato palestinese.
In tutto questo risuonano le parole di Annah Arendt sulla banalità del male, ovvero le azioni criminali fatte da personaggi di secondo o terzo piano che assumono il genocidio come un atto normale e da poco, che non crea scalpore, a cominciare dai mass-media.
La domanda ora è: chi si impegna per fermare la guerra in corso? E quale futuro ha concretamente uno stato palestinese?
* Anpi Trullo-Magliana
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