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L’afasia dei dirigenti dell’ebraismo in Italia

Dico afasia perché è ormai evidente come nei loro ragionamenti ci sia una incapacità di fondo a capire se stessi (collettivamente), ma questo perché singolarmente hanno costruito nella propria testa un “mondo” che è vero solo per loro.

Ma andiamo per gradi.

Ho ricevuto la locandina di una tavola rotonda a cui sarei stato interessato presenziare, ma sapendo bene quanta faziosità e  le possibili conseguenze sgradevoli (ricordo bene le violenze durante il 25 aprile di alcuni anni fa a Piramide, fatte da energumeni zeloti), ho evitato con dispiacere.

La tavola rotonda di cui ho accennato prima  è per dibattere  tre questioni con l’ebraismo italiano.

A queste questioni rispondo a distanza sapendo di dire le cose spiacevoli, ma vere, che normalmente si edulcorano in dibattiti come quello di cui ho ricevuto la locandina.

1) “L’Occidente non capisce più gli ebrei?”

Questa prima domanda del dibattito è già rivelatrice dell’afasia dei dirigenti ebraici italiani, perché mostra subito una confusione/distorsione.

L’Occidente, i suoi governi atlantisti, sono ciecamente schierati con lo Stato razzista di Israele, sia fornendo armi, sia bloccando i soldi all’Unwra condannando così i gazawi a essere sterminati per fame (alle malattie ci pensa l’IDF, che ha distrutto – e continua a farlo – le strutture ospedaliere e assassina gli operatori sanitari).

La domanda dice senza dirlo, omettendolo, che sono i popoli occidentali a ‘non capire gli ebrei’.

Anche questa interpretazione della domanda è sgangherata perché i manifestanti sono per lo stop al genocidio, capiscono benissimo cosa sta accadendo e non sono contro gli ebrei ma per la vita dei palestinesi. Ma qui è palese come l’afasia mentale autoimposta sommi in un tutt’uno ebrei italiani e governo israeliano, affermandolo implicitamente, quando sono due cose ben distinte.

La conseguenza di questa impostazione – avere sempre lo Stato d’Israele come riferimento – è che sono proprio i dirigenti dell’ebraismo italiano a accumunare gli ebrei italiani, incolpevoli, con le stragi che stanno perpetuando l’IDF a Gaza e i coloni  nella West-Bank, esponendoli a ritorsioni di imbecilli razzisti (hai voglia ad andare a braccetto con gli anti-semiti del Centro-Destra!).

L’afasia mentale porta questa dirigenza a chiedersi perché l’Occidente (la popolazione, non certo i governi) non si commuova per i morti israeliani del 7 ottobre scorso, definito “il più grande olocausto da dopo la seconda guerra mondiale”.

Il problema è di doppia natura.

Dietro le notizie in Occidente c’è ormai da tempo troppa propaganda e la popolazione si è in parte saputa “vaccinare”, capendo quando le informazioni sono vere o quando sono manifestamente alterate.

Anche se si hanno pochi elementi informativi, è l’enfasi, è la mancanza di prove, è il sostegno che danno a questa versione la totalità della nostra indegna e servile classe politica a far capire come quello narrato sia solo propaganda, mentre le decine  di migliaia di morti palestinesi, per la maggior parte vecchi, donne e bambini, è la verità che viene a sbatterci in faccia.

La dirigenza dell’ebraismo in Italia rimane confusa perché si arrocca sul passato subito dagli ebrei con l’Olocausto, illudendosi che rammentandolo metta tutti dalla loro parte (e accusando tutti di anti-semitismo, anche molti ebrei critici), ma ripeto: lo Stato israeliano è altra cosa dalla shoàh, come ben ebbero da dire Hannah Arendt e Albert Einstein già nel 1948.

Se solo si sentisse cosa pensa comunemente la popolazione italiana, che non è assolutamente anti-semita, verificherebbero come c’è uno stupore per la mancanza di empatia verso le vittime palestinesi (solo la senatrice Segre ha manifestato questa angoscia), che è la conseguenza di una afasia culturale.

2) Passato, presente e futuro inter-religioso di Israele.

La seconda domanda del dibattito, sfortunatamente, ha una risposta tranciante e anche per questa domanda non è chiaro se si parla dell’ebraismo nel mondo o c’è la costante commistione con lo Stato razzista d’Israele.

Alla guida dello Stato d’Israele c’è un movimento politico, culturale e religioso sorto negli anni trenta del secolo scorso, un movimento razzista e integralista che chiamo per semplicità “zelota”, iniziato con l’IRGUN ed evolutosi con il Likud, che ha per idea uno stato “confessionale” (ebraico), che non vuole alcuno stato palestinese, né ora, né mai.

E infatti Ytzach Rabin, che un accordo con i palestinesi lo aveva tentato, fu assassinato (e non mi si venga a dire che è stata l’azione di un “singolo”…).

Le altre religioni in Israele (lo Stato di) sono perciò malamente sopportate e ciò non vale solo per i mussulmani, ma anche per i cristiani (come dimostrato dagli episodi di pellegrini e religiosi insultati e sputati).

L’unica soluzione a questa deriva è uno Stato laico, cosa impossibile nella situazione attuale perché è proprio la componente zelota a non volerlo.

Per il resto del mondo il rapporto può continuare tra ipocrisia e belle frasi.

3) Giudaismo e Sionismo.

A fronte di questa terza questione che viene posta nel dibattito pervenutomi, qui sconto una mia “visione” differente e probabilmente poco capita tra i comunisti in cui milito.

Il sionismo è normalmente narrato, in una parte preponderante dell’ambito ebraico, come evento positivo quale ritorno alla “terra ancestrale” promessa ad Abramo e al popolo ebraico (che è il caso di ribadire che si tratta di un personaggio mitico inventato) da cui fu estromesso tre volte.

La prima, il regno d’Israele, ad opera degli Assiri (deportati in Media, attuale Kurdistan, circa nel 720 a.C); la seconda, il regno di Giuda (deportati in Mesopotamia e profughi in Egitto, circa 585 a.C.) per la conquista dei babilonesi, deportazioni che diedero vita nei tre luoghi alla prima diaspora; e infine dopo le due guerre giudaiche del 70 e del 134 d.C., per cui vi fu l’eradicazione ebraica dalla Giudea a causa del fanatismo religioso-militare degli zeloti.

Il legame con questi luoghi e Gerusalemme (Sion) è perciò fortissimo per l’ebraismo, non capirlo è un limite grave di chi stigmatizza negativo il termine “sionismo”  a cui si dà in opposizione una valenza simile a fascismo o similari.

Il sionismo di fine XIX secolo era convinto di potersi ritagliare una propria terra, così come stavano facendo da secoli altri europei, basta vedere la colonizzazione delle due Americhe, dell’Australia, della Nuova Zelanda, dell’Algeria e del Sudafrica, dove i boeri sino a pochi anni prima della fine dell’apartheid erano convinti di aver colonizzato “una terra senza abitanti” (ne discussi con una sudafricana bianca nel 1983).

Questi sionisti erano perciò ideologicamente simili e conseguenti a tanti colonialismi del passato, con in più una impostazione laica e socialista (i Kibbutz). Ma questa ideologia è stata sostituita completamente da quella zelota, di cui ho detto precedentemente, e il razzismo di questa negazione dell’ebraismo è evidente nell’arroganza e nella violenza espressa dai coloni israeliani in West-Bank.

Il termine sionismo è perciò da respingere in toto? Io dico di no, basta capirsi in cosa esso consista.

I primi “sionisti” oggi sono i profughi palestinesi che da quella terra sono stati cacciati con violenza; sono “sionisti” tutti quei migranti che attraversano il Mediterraneo in cerca di una nuova vita e così per tutti quei migranti che alla loro terra d’origine vorrebbero tornare.

Usare in maniera negativa il termine “sionisti” significa mettere nello stesso “cesto” tutti gli ebrei, sia i razzisti zeloti, sia chi non lo è: è l’aspirazione di ogni persona a un luogo del cuore.

Altra cosa è costituire uno Stato dei “puri” ebrei “sionisti” dove chi c’era prima è da scacciare con tutti i mezzi, e – come dice giustamente Moni Ovadia – assumere Israele a idolo assoluto. Una bestemmia per l’ebraismo.

Mi sono riservato alla fine la valutazione dei fatti del 7 ottobre e il supposto olocausto/pogrom rivendicato dagli zeloti.

Per capire questo fatto, sicuramente molto doloroso per chi lo ha subito, non si possono utilizzare categorie sentimentali che sviano dalla comprensione, ma analizzarlo in relazione di altri accadimenti.

La prima cosa da dire è che il 7 ottobre non c’è stato nessun olocausto, una forzatura narrativa che vorrebbe affermare che gli ebrei siano stati uccisi in quanto di quella religione.

La violenza c’è sicuramente stata, ma era contro quelli considerati coloni “bianchi”, oppressori violenti su cui scaricare tutta la rabbia repressa da molto tempo.

La propaganda ha cercato di convincere sulla natura “efferata” dei militanti di Hamas, ma le supposte morti di 40 bambini è stata svergognata quasi subito, anche se gli zeloti continuano a raccontare di due bambini ancora ostaggi mentre Hamas da tempo ha detto erano morti sotto un bombardamento dell’IDF; per le donne stuprate ancora non sono state rese note le prove (ma altrettanto rivendicano in opposizione i palestinesi) e i morti civili sono molti di meno di quelli dichiarati, 810 invece che 1139, e di questi è sempre più evidente molti morti a causa dell’intervento violento e disorganizzato dell’IDF.

Quello che hanno fatto i militanti di Hamas, per quanto esecrabile e non condivisibile, è la risposta militare a un potere militare occupante, oppressore e colonialista. E la violenza, come si sa, non distingue: uccide.

Il mio pensiero è che per trovare una soluzione alla questione palestinese è necessario azzerare tutto tornando all’accordo dell’ONU del 1947, ma qui vedo un problema enorme e duro come un macigno:  c’è bisogno di una classe politica diversa nello stato israeliano (nella dirigenza palestinese per fortuna c’è Marwan Barghuti), e che gli USA smettano di considerarsi il padrone del mondo e protettori degli zeloti.

Così non è, e la violenza continuerà a fare il suo triste compito a cui dobbiamo continuare a opporci fermamente.

 * Anpi Trullo-Magliana

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2 Commenti


  • almar

    Condivido tutto dell’analisi fatta, meno l’associazione benevola del sionismo, diciamo originale, all’idea “di potersi ritagliare una propria terra”, sfociato in altre situazioni nelle colonizzazioni citate (quella del Nord America la conosco bene). Le colonizzazioni sono avvenute con massacri, eccidi e pulizie etniche delle popolazioni native, per cui non si può certo assolverle facilmente assimilandole a fenomeni normali susseguenti a umane aspirazioni. Il sionismo originale aveva solo due possibilità, rimanere un puro desiderio, una nostalgia del “Paradiso perduto”, oppure rifare il percorso della pulizia etnica delle colonizzazioni; è quello che è successo in Palestina (a partire dal ’47). Perciò non mi sento di considerare benevolmente nemmeno il primo sionismo perché è il presupposto da cui nasce il secondo.


  • Marina

    Almar 👏🏽👏🏽👏🏽👏🏽

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