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Bravi curdi, pessimi palestinesi. A proposito di un articolo di Piero Bernocchi

Se c’è una cosa che mi ha sempre colpito di Piero Bernocchi (e a suo tempo non mancai di dirglielo) è la sua capacità, nei momenti topici della vita politica, di scegliere comunque di fare la cosa più opportuna piuttosto che la cosa giusta.

Stavolta però, con l’articolo “I nostri fratelli e sorelle curdi/e, figli/e di un dio minore?” (http://utopiarossa.blogspot.com/) è riuscito a superare se stesso scrivendo, non le cose giuste, ma quelle più inopportune che si potessero concepire.

Se lo scopo del suo intervento era quello di richiamare l’attenzione sulla situazione dei curdi, non solo ne aveva tutte le ragioni politiche, ma disponeva di ineccepibili argomenti per farlo, senza dover ricorrere a raccapriccianti paralleli con la situazione dei palestinesi.

Quello che vien fuori dal suo scritto è una elegia del popolo curdo a cui fa da contrappunto una tale denigrazione del popolo palestinese che se per un verso fa pensare essere dettata da un malcelato pregiudizio verso quest’ultimo, dall’altro è così concepita che ogni lode al popolo curdo suona come un rimprovero al popolo palestinese e, viceversa, ogni appunto fatto ai palestinesi è un punto di merito per i curdi.

E’ come se Bernocchi – magari inconsapevolmente – avesse raggruppato in una classe curdi e palestinesi e gli stesse assegnando i voti, avendo l’accortezza – da buon insegnante – di illustrargli i motivi del suo giudizio che però, alla fine della fiera, vede tutti i pregi nei curdi e tutti i difetti nei palestinesi.

Cosa questa che risulta oltremodo sconcertante per chi, in tutti questi anni trascorsi, non ha mai mancato di dare appoggio senza preclusioni, all’una e all’altra causa.

E’ penoso che il portavoce dei Cobas si lasci prendere dalla stizza verso un “movimento” colpevole di non tener conto di questi suoi giudizi al punto di ritenere i curdi e le curde figli/e di un dio minore, peraltro utilizzando informazioni false o distorte perché nei cortei pro Palestina non si inneggia ad Hamas, ma a tutta la resistenza palestinese e non si è mai rivendicata la soluzione dei due stati, ipotesi definitivamente affossata dall’ultimo pronunciamento della Knesset.

E’ decisamente vile però, sostenere che senza i “mostruosi crimini di Hamas”, Nethanyau e la destra israeliana sarebbero stati messi in condizione di non nuocere per via democratica.

Ma in quale universo parallelo vive Bernocchi? Se non lo si conoscesse verrebbe da paragonarlo al principe Myskin, ma lui è tutt’altro dal benevolo e innocente idiota di Dostoevskij!

No, al di là della stizzosità e dell’arroganza proprie del personaggio, l’articolo di Bernocchi mette in luce questioni di fondo che è difficile accantonare perché rimandano alla nuova-vecchia visione del mondo in cui la questione palestinese rappresenta una delle principali contraddizioni.

La metafora della classe usata per Bernocchi, va molto al di là della sua persona perché è la metafora di un modo di pensare il mondo e le relazioni fra popoli tipico di chi, non essendo mai sceso dalla cattedra su cui era salito o su cui era stato sospinto dalle circostanze, ritiene di rappresentare una iper coscienza del mondo, magari di sinistra, sicuramente di formazione occidentale.

Costoro, invece di interrogarsi sul perché questa weltanschauung non abbia funzionato, nonostante fosse portatrice di valori universali così elevati e così ben concepiti da ritenersi il meglio che l’umanità potesse esprimere, trovano sempre il modo di scaricare su altri (Hamas, l’Iran, Putin, la Cina e domani chissà) le responsabilità che ci hanno condotto a questo stato di cose.

E’ sintomatico che Bernocchi, riguardo alla questione palestinese, superi d’un balzo lo iato che c’è tra le presunte aspirazioni di un intero popolo ad avere una patria (nessuno ricorda mai quanti e quali ebrei rigettarono a suo tempo questa idea) e la sua formalizzazione sotto forma di impresa coloniale avallata dalle potenze occidentali e successivamente dall’Urss.

Perchè di questo si trattò, di consentire duecento anni dopo la colonizzazione dell’America, che un popolo ne sostituisse un altro e si impadronisse della sua terra. O forse vogliamo negarlo?

Vogliamo stracciare tutte le risoluzioni Onu e la sentenza della corte di giustizia sui confini di Israele? Ma soprattutto vogliamo negare l’evidenza che possano esistere dei coloni israeliani (così sono universalmente definiti) che occupano terre non loro manu militari senza il beneplacito dello stato di Israele?

Non eri proprio tu Bernocchi a denunciare il fatto che la storia del popolo americano è una storia di rapina e di violenza sanguinaria a cominciare dallo sterminio dei nativi americani che avevano quindi tutte le ragioni di opporvisi con ogni mezzo a loro disposizione? E allora perché non riconosci lo stesso diritto ai palestinesi?

Forse perché la strage dei nativi americani è lontana nel tempo, ormai storicizzata, mentre quella dei palestinesi rappresenta l’attualità? Se questa è la logica che supporta le tue argomentazioni, allora dovremmo aspettare che la strage dei palestinesi si compia e dopo cinquanta o cento anni – forse – riconosceremo che Israele commise un crimine.

Ma forse la ragione è un altra ed è tutta interna a quella costruzione ideologica delle comuni radici giudaico-cristiane dell’Europa (secondo me un crogiolo di ipocrisie e nefandezze) per cui non si può prescindere dall’immarcescibile ricatto che vede nella creazione di Israele, da un lato l’espiazione di una colpa tutta europea (che però è stata fatta assurgere a colpa di tutta l’umanità) e dall’altro la difesa estrema di quei valori universali (le comuni radici) in nome dei quali però non si ricorda mai quanti crimini siano stati commessi.

Di qui la difesa, quando non la legittimazione, del sionismo che tu definisci “espressione della volontà ebraica di avere una patria” e non ti sfiora nemmeno il dubbio che il sionismo – che anticipa di decenni fascismo e nazismo – possa essere altrettanto pernicioso per l’umanità.

Come è possibile che a distanza di tanti anni non si riesca a liberarci dall’idea che il sionismo è qualcosa da combattere e basta. Che non esiste un sionismo buono (o di sinistra come qualcuno azzarda) e che lo stato di Israele, anche quando non è stato governato dalla destra, non ha mai ripudiato il disegno sionista del Grande Israele.

Basterebbe chiedersi perché a distanza di 76 anni dalla sua creazione lo Stato di Israele non abbia ancora definito i suoi confini e non abbia nemmeno una costituzione, nonostante fosse espressamente prevista nell’atto di fondazione, mentre l’unica legge che regola il diritto di cittadinanza, stabilisce che per essere cittadini israeliani – fatti salvi coloro che all’atto della fondazione risiedevano in Israele (gli arabi palestinesi) -, bisogna essere di religione ebraica.

Nonostante queste anacronistiche mostruosità, Israele è considerata una democrazia e formalmente lo è, se per democrazia intendiamo il disporre di un parlamento, di un sistema elettorale, di libertà di associazione (partiti e sindacati) e di espressione (la stampa, etc).

Ma queste cose ce le ha anche la vituperata Turchia e se questa arresta giornalisti e sindacalisti, che dire di Israele che i giornalisti palestinesi li ammazza direttamente, mentre incarcera a vita e senza processo i militanti palestinesi.

Non è una gara per stabilire qual è il peggio del peggio, Bernocchi, ma un gioco al massacro in cui tu ti sforzi di demonizzare la Turchia (iper nazionalismo, bellicismo atavico, come dire “mamma li turchi!”) per far apparire meno grave la minaccia del sionismo così che si possa svalutare la lotta dei palestinesi.

Meglio perciò sgomberare il campo da ipocrisie e pregiudizi: a parole siamo tutti/e per l’autodeterminazione dei popoli, ma all’atto pratico se un popolo sceglie di darsi una linea di condotta che non rispecchia i nostri canoni di valutazione, allora quel popolo non merita considerazione o peggio lo si denigra.

Questa supposta superiorità di giudizio che tu non manchi di far valere nei confronti del popolo palestinese, altro non è che il frutto di una secolare costruzione del mito dell’occidente che ormai ha fatto il suo tempo e ciò che avanza dal sud del mondo – Palestina in testa – lo sta a testimoniare.

Caro Bernocchi, fatta salva la tua predilezione per i curdi (bravi, bravissimi) sono sicuro che saresti in grado di rivedere il tuo giudizio sui palestinesi a patto che tu riesca a scendere da quella cattedra a cui sembri legato come Vittorio Alfieri lo era alla sua amata sedia.

Vedrai che non è così difficile come sembra: basta che tu decida dove sederti – alla maniera indicata da Brecht – se dalla parte della ragione o da quella del torto, essendo inteso che dalla parte del torto ci sono i palestinesi, mentre la ragione è tutta dalla parte di Israele.

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1 Commento


  • Gabriella Grasso

    Bernocchi sono lontani gli anni in cui sfilavamo a Genova. Molte cose sono cambiate. I tuoi capelli sono sempre neri? Forse i tuoi pensieri invece sono cambiati. La lente dell’età ha deformato i tuoi pensieri. Peccato…

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