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17 agosto 1970. Un giorno nella storia italiana

Premettiamo subito uno statement netto e che non ammette repliche. Lo scrivente è anarco-comunista, ma è anche nonviolento, ripudia con fermezza la lotta armata. È umanamente amico di compagni come lui – più “grandi” in età – che hanno fatto scelte differenti, e che le hanno pagate duramente.

Il sottoscritto è stato anche salvato dall’anagrafe; a quei tempi il massimo del mio rivoluzionarismo era scrivere un temino al liceo in apprezzamento di Gaetano Bresci.

Ma mi appassiona la storia degli anni 70, perché è storia vicina; il bibliotecario nel mio Liceo Scientifico Galileo Ferraris era Marco Donat Cattin, mentre qualche anno avanti, in un’altra sezione, c’erano di quelli ai quali “della quinta I” ai quali chiedemmo aiuto quando ci fu da fare “la rivoluzione” al nostro liceo.

Uno è diventato il politico Gianni Vernetti, l’altro non lo nomino perché è condannato alla Damnatio Memoriae – Roberto “calzatura aperta estiva” – ecco.

Ribadisco, perciò, per chi volesse comunque scavare nella mia bacheca: sono contro la violenza e la lotta armata, che non supporto e non approvo, non ho mai fatto parte di organizzazioni classificabili come “terroriste”. Ma sono stato in contatto con Prospero, amico di Barbara e Maurizio (Ferrari), di Adriana e di Francesco cui dedico questo pezzo, di Valerio M., e di altri compagni.

Tutti, ripeto, hanno pagato caro e han pagato tutto, mentre quelli che han ridotto l’Italia a una ridicola colonia statunitense o della mafia, tradendo la lotta partigiana e allevando il neofascismo, non hanno pagato nulla, o quasi nulla.

Tutto chiaro? OK.

Io sono solo uno storico dilettante di quel periodo. Punto. Ma mentre quelli della mia generazione erano ancora alle elementari, quelli della generazione prima hanno avuto il loro bel daffare.

Costa Ferrata è in provincia di Reggio Emilia. Una settantina-centinaio di persone si riuniscono in un albergo per decidere come sviluppare un processo rivoluzionario nel nostro paese. Viene ricordato come il “convegno di Pecorile”, perché la più vicina insegna stradale riporta quel nome.

Il convegno si svolge al ristorante Da Gianni a Costaferrata di Casina (Reggio Emilia), di fronte al castello di Matilde di Canossa. Le persone provengono dal CPM (Collettivo Politico Metropolitano, per il quale lo scrivente ha scritto la voce Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Sinistra_Proletaria), dal Gruppo dell’Appartamento e dalla Facoltà di Sociologia di Trento.

Si discute in maniera chiara e precisa la necessità della scelta della lotta armata. Le persone che partecipano, in un albergo proprietà di un parente di uno dei partecipanti (Tonino Paroli). Non sono tutti gli appartenenti al CPM, ma sono persone scelte da Curcio e Simioni.

Partecipano Renato Curcio, Margherita Cagol, Corrado Simioni, Sandro D’Alessandro, Gaio Di Silvestro, Marco Fronza, Alberto Pinotti, Innocente Salvoni, Frantoise Tuscher, Annamaria Bianchi, Elvira Schiavi, Claudio Aguilar, Raffaello De Mori, Maurizio Ferrari, Antonio Mottironi, Ivano Prati, Umberto Farioli, Roberto Lussi, Dario Angelini, Marco Bazzani, Pietro Sacchi, Franco Troiano, Orietta Tunesi, Oscar Tagliaferri, Ezio Tabacco, Enrico Levati, Ravizza Garibaldi, Fabrizio Pelli, Roberto Ognibene, Prospero Gallinari, Attilio Casaletti, Ivan Maletti, Gino Simonazzi, Tonino Paroli, Alberto Franceschini, Vanni Mulinaris, Duccio Berio, Piero Elefantino. Ed altri.

Il convegno di Pecorile venne materialmente organizzato da noi del Collettivo di Reggio Emilia su richiesta di Simioni e Curcio. […] Noi del Collettivo eravamo stati iscritti al PCI o alla FGCI. Simioni era venuto più volte a Reggio Emilia per coinvolgerci nei suoi progetti, ci teneva molto ad avere la nostra partecipazione nel costruire l’organizzazione clandestina: sembrava che senza l’impronta di noi ex iscritti al PCI o alla FGCI il progetto della lotta armata non avrebbe avuto senso politico”. (Alberto Franceschini).

Lo scopo del convegno appare chiaro fin dall’intervento introduttivo di Renato Curcio: “il movimento operaio che si sta sviluppando nelle grandi fabbriche manifesta un bisogno tutto politico di potere: la lotta contro l’organizzazione del lavoro, il cottimo, i ritmi, i “capi”. Per questo si muove al di fuori delle strutture tradizionali del movimento operaio, come sono il PCI e i sindacati. Il bisogno di potere lo porterà inevitabilmente a uno scontro violento con le istituzioni, anche con il PCI e il sindacato.

È indispensabile quindi formare una avanguardia interna a questo movimento che possa rappresentare e costruire questa prospettiva di potere. Ma questa avanguardia deve sapere unire la “politica” con la “guerra” perché lo Stato moderno, per affermare il suo potere, usa contemporaneamente la “politica” e la “guerra”.

Diventa quindi inattuale e non proponibile la strategia leninista dell’insurrezione che presuppone una fase politica di agitazione e propaganda sostanzialmente pacifica, seguita poi dalla “spallata finale”, dell’“ora X”, cioè dalla fase propriamente militare. Occorre invece preparare la “guerra civile di lunga durata” in cui il “politico” è, da subito, strettamente unito al “militare”.

È Milano, la grande metropoli, vetrina dell’impero, centro dei movimenti più maturi, la nostra giungla. Da lì e da ora bisogna partire»

A Pecorile non c’è Mario Moretti, arriverà poco dopo. Non c’è Lauro Azzolini, contrariamente a quanto riportato da alcune fonti: “Io non ne feci parte nè presenza là, perchè non ero un militante a Reggio E. di Sinistra Proletaria e del “gruppo dello appartamento”. Allora ero responsabile a Reggio di Italia Cina e Albania e militante del PCML, poi del circolo culturale “La Comune” e Gruppo Operai di Reggio, fuoriuscito anch’io dal PCI già FGCI.

Comunque ci conoscevamo tutti […], io “mi arruolai” nelle BR dopo la liberazione di Renato, in aprile, il 25, del 1975. Salutai la famiglia e la morosa e passai in clandestinità”.

Tonino Paroli ricorda così il convegno di Pecorile: «Fu un vero congresso, e durò dal lunedì al sabato. Parteciparono una settantina di compagni che avevano preso alloggio nelle case del paese e chiesto aiuto anche al parroco, don Emilio Manfredi. Il maresciallo dei carabinieri, avvertito della riunione, si informò se disturbassero, e poi non si occupò più della faccenda. E pensare che fra i partecipanti molti sarebbero stati dei protagonisti negli anni successivi.

Come i duri di Reggio, quelli “dell’appartamento” quasi al completo, Sinistra Proletaria, i compagni di Milano, di Torino, di Genova, due di Trento. Tutti ragazzi seri, anche troppo, taciturni. A volte stavano insieme, altre volte si dividevano in gruppetti per boschi e campi.

Discussioni roventi, ma quando parlava Curcio piombava il silenzio. Al contrario Mara, sua moglie, non era un’oratrice: fece soltanto un mezzo intervento.

E verso l’una, tutti da Gianni a mangiare dopo lunghe camminate fra i boschi come se fossero marce sulla Sierra Maestra. Soprattutto venivano letti Il diario del Che in Bolivia e il Piccolo manuale della guerriglia urbana del brasiliano Carlos Marighella.

Ci dicevano che la nostra giungla sarebbe stata la strada della città, Roma, Milano, Torino, Genova e non le selve del Vietnam, o della Bolivia»…..

Dagli interventi pubblici e meno pubblici emergono tre anime all’interno del convegno. La prima, più «movimentista», privilegia lo scontro di massa su larga scala, tutto interno al movimento e senza una guida organizzata; la seconda, sponsorizzata da Curcio, ipotizza un graduale passaggio alla resistenza armata a partire dalle fabbriche, attraverso nuclei ristretti ma sempre collegati con la massa e le «realtà di base»; la terza prevede un’ulteriore, immediata militarizzazione dei gruppi che prelude alla clandestinità, anche rompendo i rapporti col movimento.

A Pecorile risulterà vincente la linea di Curcio: Simioni e il suo gruppo (Berio, Mulinaris) verranno isolati e tenuti fuori dalla discussione perché accusati di volere conquistare l’egemonia all’interno dell’organizzazione.

Per la prima volta tra quei monti, in tanti, fra i quali Mara e Renato, proveranno le armi: Curcio denuncia subito la sua inadeguatezza, ma non desisté. Qualche giorno dopo arrivarono alla locanda carabinieri e questura, per raccogliere informazioni e nomi dei partecipanti: erano già tutti monitorati prima di iniziare

Si chiede un compagno, anonimo per tutelarlo, ma che riassumo qui perché scrive cose che condivido: “Se si fossero sapute, con questa dovizia di paticolari (per chiarezza senza giustificare nessuno, capiamoci subito) se si fossero conosciute cosi bene in questo Paese, le dinamiche che hanno portato alla formazione di Gladio, della P2, di tutte le Stragi di matrice fasciopiduistamassoniche, del Golpe Borghese del 70, dell’omicidio di Pierpaolo Pasolini nel 75, potrei continuare con Ustica, etc. etc., quale sarebbe stata la reazione dei compagni?

Ognuno faccia le sue riflessioni, i suoi raffronti e soppesi le contraddizioni di questo nostro Paese; un caro Compagno Partigiano mi diceva che, finita la “Fase della Resistenza” fummo convinti a riconsegnare le armi, tra mille perplessità, dubbi e tormenti.

Io lo feci riconsegnando il mio fucile, nelle mani di Terracini! Ma avremmo voluto proseguire: naturalmente americani e inglesi facevano enormi pressioni!”

Il Popolo Italiano è stato considerato negli anni, carne da macello (1915-18), un branco di pecore (fascismo e seconda guerra Mondiale), poco maturo per conoscere la Verità (stragi di Stato, Gladio, P2, Delitti di mafia), ogni “stagione” un mistero. Creato ad arte.

Anche sulla lotta armata di sinistra li hanno creati, ma con difficoltà perché i racconti dei protagonisti sono chiarissimi (massime l’intervista di Moretti a Rossanda, ma anche molti altri, incluso lo storico del Movimento più osteggiato dal Sistema – Paolo Persichetti – fondamentale il suo primo volume che copre il periodo grosso modo fino ai grandi arresti inizio anni ‘80).

Per i terroristi neofascisti, invece, cocchi della questura, servi dei padroni, la storia si fece in una frase: “Bravi ragazzi un po’ esuberanti”, o camerati che sbagliarono”.

NOTA: questo pezzo, tranne il pistolotto iniziale, non è mio, ma contiene materiale da Infoaut, da un post di Grazia Medri con la quale mi scuso per il latrocinio di frasi, e di altri compagni che riconosceranno nel testo le loro frasi, ma dei quali – pensa che strano – non riesco più a ricordare i nomi.

Grazie a tutte e tutti.

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