Tralasciando ogni considerazione sulla natura teocratica dei due regimi – quello sionista e quello iraniano – segnalo una differenza sostanziale nel conflitto in atto in queste ore tra Iran ed Israele: mentre Israele bombarda (come fa ininterrottamente da 11 mesi ) quasi esclusivamente civili inermi in case, scuole , ospedali, tendopoli ed ovunque porti i suoi attacchi, l’Iran colpisce, come ha fatto ieri, soltanto basi ed obiettivi militari da cui partono gli immani massacri di povera gente in Gaza ed ora in Libano.
Non a caso, subito dopo il lancio di missili su Israele, il Ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha dichiarato “Stasera abbiamo esercitato l’autodifesa ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, prendendo di mira esclusivamente i siti militari e di sicurezza responsabili del genocidio a Gaza e in Libano”.
Come potremmo mai dimenticare i reiterati bombardamenti dei caccia israeliani sulle code di civili palestinesi sfollati in coda per una ciotola di cibo? E i bombardamenti sugli ospedali? Come potremo dimenticare i bimbi palestinesi uccisi dai cecchini israeliani con colpi di precisione in testa? E i bombardamenti israeliani sulle tendopoli degli sfollati? Quelli sui civili in fuga dalle bombe in seguito all’ennesimo ordine di evacuazione lanciato delle forze di occupazione? Come potremo mai dimenticare le immagini dei corpi delle bambine e dei bambini palestinesi smembrate/i dalle bombe israeliane?
L’elenco dei crimini contro l’umanità compiuti dall’esercito Israeliano compiuti a Gaza negli 11 mesi sarebbe lunghissimo, ma tutti questi atti di pura ferocia vengono puntualmente derubricati a trascurabili dettagli da tutta la stampa occidentale e dai commentatori embedded, presi come sono dal cieco furore bellicista ed inchiodati al solito doppio standard funzionale alla propaganda di guerra dei loro committenti, ovvero i complessi militari industriali che agiscono di concerto ed in favore di quei grandi fondi di investimento (statunitensi saldamente in testa) che con le guerre in corso stanno accumulando profitti stellari.
Ora, saltando millenni di epica ed etica guerresca (epoche in cui gli eserciti si affrontavano, prevalentemente, in modo frontale sui campi di battaglia), nonché le pratiche e le convenzioni militari premoderne, si pensi, in proposito, che proprio l’Italia, nella seconda metà del Novecento – dopo la buia parentesi del fascismo e delle sue guerre coloniali – ha inteso riaffermare e raccogliere i principi dell’Etica militare nella Costituzione repubblicana e nei regolamenti della disciplina militare del 1964, del 1978, del 1986 e del 2010, attualmente vigente.
E tra questi principi invalicabili ce ne sono alcuni che marcano una distanza siderale con il comportamento della forze di occupazione israeliane, in ciò molto simili ai nazisti della seconda guerra mondiale a causa delle atrocità sistematiche che l’IDF compie ai danni della popolazione palestinese e non solo.
E quali sono questi principi etici invalicabili totalmente disattesi da Israele?
1. Non creare sofferenze inutili che, lungi dall’attenuare la volontà di battersi del nemico, lo spingono alla vendetta;
2. Combatti solo i tuoi nemici e gli obiettivi militari;
3. Non provocare distruzioni superiori di quelle che richiede l’assolvimento del tuo compito;
4. Non combattere il nemico che si arrende o che è fuori combattimento. Raccoglilo, disarmalo e consegnalo al tuo superiore. Rispetta e proteggi i naufraghi del mare e dell’aria;
5. Tratta con umanità tutti i civili ed i nemici che si trovano in tuo potere.;
6. accogli e cura i feriti ed i malati amici, nemici e civili al termine dell’azione o, durante l’azione, solo se te lo ordina il tuo comandante;
7. Non prendere ostaggi e non fare mai atti di vendetta;
8. Rispetta le persone ed i beni muniti dei simboli della Croce Rossa, della protezione dei beni culturali, della protezione civile e la bandiera bianca del parlamentare;
9. Non rubare né saccheggiare le proprietà ed i beni di tutti.
Ora mi rendo conto del paradosso che sembra suggerire la definizione “etica della guerra” e che già, durante la seconda mondiale, sia le forze dell’asse che quelle “alleate”, calpestando i suddetti principi, rasero al suolo intere città. Una trasformazione che è giunta al suo culmine con lo sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (a guerra già persa dal Giappone).
Ma basterebbe ricordare che il grande Gino Strada, nei suoi lunghi anni di attività da medico sui teatri di guerra di tutto il mondo, non perdeva occasione per sottolineare (seppure inascoltato) che le guerre degli ultimi 80 anni circa (Vietnam, Iraq, Afghanistan su tutte ) hanno completamente stravolto il paradigma dell’etica della guerra facendo, quasi sempre ed ovunque, orrende, immani stragi di civili.
Una pratica bellica efferata e criminale che da “eccezionale” è, via via, diventata ordinaria e che è stata accompagnata, a partire dalla prima Guerra del Golfo (1991), dall’odiosa e manifestamente capziosa espressione “vittime collaterali”, non a caso inaugurata dagli Stati Uniti durante quella guerra di aggressione e che gli USA hanno impunemente continuato ad usare anche durante la seconda guerra contro l’Iraq (e poi per tutte le altre). E che – andrebbe sempre ricordato – ha causato un milione e mezzo di morti, in grandissima parte, civili. Uno dei tanti crimini contro l’umanità rimasto impunito.
Ma è proprio questa sistematica impunità associata ad una assuefazione delle opinioni pubbliche a queste atrocità, indotta dalla manipolazione di massa ad opera del sistema mediatico occidentale (sempre più organico alla guerra ancorché “ibrida”), che certifica il cambio di paradigma avvenuto negli ultimi decenni. C’è una cesura netta tra il modo di concepire e di combattere le guerre del passato e quelle che continuiamo ostinatamente a chiamare “guerre”, ma che si sono trasformate in massacri indiscriminati di civili che sfociano in veri e propri genocidi come quello che sta compiendo Israele nei confronti del popolo palestinese.
La guerra non è più quella di una volta. Le guerre contemporanee sono “asimmetriche”, “a bassa intensità”, “globali”, “infinite”, “ibride”, ” al terrorismo” ed ora anche combattute mediante l’uso dell’intelligenza artificiale. Ma sono diventate guerre soprattutto “tra la gente” e contro la gente.
Le guerre degli ultimi 80 anni sono apparse sempre più irriducibili all’esperienza e al paradigma militare della guerra novecentesca come l’hanno conosciuta e praticata i nostri bisnonni nelle trincee della Prima guerra mondiale. Ed, in questo senso, è del tutto sviante continuare a credere che, per comprendere le guerre contemporanee, ci basterebbe risalire ai miti che ne sono all’origine, ovvero, concepirle soltanto come un accadimento mitico, come presenza costante e fondamentale nella vita umana e nella percezione del mondo.
Così sosteneva in un suo noto saggio lo psicoanalista e filosofo statunitense scomparso nel 2011, James Hilmann, che svolse, con quel testo, un’analisi senza dubbio interessante sotto il profilo etologico ed antropologico e, tuttavia, basata unicamente sulla psicopatologia degli archetipi, non-agnostica e mitopoietica di derivazione Junghiana.[1]
C’è una stretta simmetria tra il modo di condurre le guerre imperialiste da parte degli Stati Uniti nel mondo, dal dopoguerra in poi, e quello israeliano degli ultimi decenni. Una pratica che è scivolata sempre più nella barbarie pura e che ha toccato il suo apice estremo proprio con il genocidio in corso a Gaza e con i bombardamenti in Libano degli ultimi giorni.
[1] James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2005.
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Fabio
Riflessioni che definiscono una sintesi mirabile di fatti e di principi che dovrebbero essere universalmente riconosciuti e condivisi. A mio giudizio meriterebbe di stare sempre in evidenza sulla testata.