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I duellanti, le curve e le astuzie della storia

Capita a volte che la Storia si incarichi di generare formidabili astuzie. Il tornante in cui siamo, un po’ in tutto ciò che un tempo definivamo Occidente, mi sembra una di quelle volte.

Il Movimento Operaio storico, il soggetto sconfitto nel passaggio tra il secolo scorso e quello odierno, e oggi praticamente – almeno per il momento – uscito di scena.

Pesa, con la sua assenza, sullo squilibrio globale ogni giorno più evidente e scomposto. Quasi una sorta di sottile vendetta del vinto, la cui assenza dal campo – lungi dal migliorare il quadro delle relazioni sociali e geopolitiche come forse si illudevano alcuni – le peggiora e di molto.

Il panorama del mondo

Le comunità sociali e statuali più disgregate e smarrite. E con nuovi impulsi di guerra. I conflitti sociali, per loro natura insopprimibili, oggi spuri e slabbrati.

Non più alimentati da soggetti organizzati, capaci, pur nella radicalità più estrema, di indirizzi omogenei. Le paure ormai diffuse di grandi masse di popoli.

Di fronte ai grandi fenomeni della contemporaneità – innovazioni tecniche e scientifiche, migrazioni epocali, probemi ambientali e di risorse vitali – le nostre società rinculano su se stesse radicalizzando individualismi ed egoismi.

Il nuovo capitalismo

La grande funzione di regolazione sociale e civile svolta dal movimento operaio storico, e dalle forme politiche e istituzionali da esso prodotte, esaurendosi ha inciso anche sul profilo del suo antagonista.

Il campo vincente, quello del capitale, è in preda a conflitti intestini di gigantesca portata. Di questo ci parla lo scontro odierno, mai così acuto, tra l’America e l’Europa.

Con la Cina che osserva interessata e sorniona preparandosi a sua volta – con i Paesi ad essa collegati – alla contesa finale con la potenza imperiale degli Usa vincente.

E di questo ci parla – in chiave più provinciale e modesta – il conflitto cui assistiamo da noi. Da un lato la destra ruspante italiana, con il suo seguito di imprese piccole e medie, rete del lavoro pubblico e aree di disoccupazione meridionale.

Dall’altro il capitalismo italiano più classico, quello dei salotti buoni, che pur decaduto è incardinato su gruppi economico – finanziari e bocche di fuoco della comunicazione.

La sinistra residua, senza un vero blocco sociale di riferimento e risucchiata da tempo da semipopulismo e giustizialismo, non sembra avere l’energia per essere un protagonista reale.

Lo scontro in atto

Sta qui lo scontro tra poteri che attraversa queste ore anche l’Italia. Serve a poco soffermarsi sulle ragioni degli uni o degli altri.

Certo, i governanti attuali, per quanto nella sostanza in continuità con quelli di questi anni, sembrano portatori di un disegno in parte autoritario in parte di rivalsa sociale.

Quasi una rivolta degli esclusi di un tempo contro chi – più ricco e raffinato – li ritiene una sorta di plebe non degna di guidare il Paese. In fondo è questo il motivo per cui i ceti popolari istintivamente si orientano a destra.

Non credo sfuggano, a una certa saggezza di popolo, limiti ed errori, e anche una certa inaffidabilità democratica di chi governa. Ma degli altri – gli Elkann Agnelli, i Cairo, i De Benedetti e compagnia cantante, temo l’istinto popolare abbia orrore.

Come dargli torto. Quanto al braccio di ferro magistrati governo, eviterei troppo arzigogolare. Sbagliano entrambi. Dal governo lo slancio a riscrivere tratti di storia italiana e vittimismo rischiano di prendere fin troppo la mano.

Dal campo dei giudici – più propriamente dei pm – mi sembra si intreccino l’onda lunga di concezioni di paternalismo salvifico che arrivano dagli anni 90 e la delega ricevuta, ancor prima, nel contrasto al terrorismo e mai riconsegnata.

E poi c’è il corporativismo.

Ben esemplificato quest’ultimo dal recente voto dei giudici, che ha visto vincente la componente di magistrati di destra. Ciò nonostante oppositori delle ormai note riforme.

Altro che toghe rosse.

Per concludere

Tutto l’insieme di queste rissose tensioni espone il Paese ad uno sfarinamento democratico insidioso. Chiaro che – senza un alt anche parziale – si arriverà a un punto di scontro più estremo.

Peccato che non c’è quasi nulla a sinistra che legga in questo modo i processi politici in corso e che abbia forza sociale e autorevolezza politica per indirizzare le contraddizioni su una via democratica.

Gli attuali duellanti, chiunque vinca tra loro, non hanno nel DNA a sufficienza i tratti della democrazia. Il governo trae origine dalla cultura politica dalla cui sconfitta è rinato il regime democratico. E pero è riuscito a saltare sul carro del capitalismo globale vincente.

Il conglomerato di poteri che al governo si oppone, è l’espressione di un capitalismo neppure vincente, che non ha gli strumenti per interpretare i caratteri di quella frazione del capitalismo che oggi prevale.

Definiscono, con intenti sprezzanti, miliardari i Musk, il suo gruppo e gli altri, che arrivano tutti dal passato progressismo visionario della Silicon Valley.

Niente altro che il punto più alto cui è giunta l’intelligenza scientifica contemporanea, purtroppo oggi del tutto integrata al capitale. Per far fronte a questo nuovo capitalismo, insieme più innovativo e più predatorio e selvaggio, occorrerebbe un nuovo e forte movimento del lavoro.

I suoi nuovi soggetti, precarizzati e disaggregati nelle mille forme del lavoro odierno. Non più solo concentrati come un tempo in grandi insediamenti industriali e peraltro dislocati su scala transnazionale.

Questo nuovo movimento operaio oggettivo non è – non ancora – un movimento operaio con una nuova coscienza soggettiva. Questo può essere, se matura, il centro di un blocco sociale per stare a livello della sfida.

Per generare nuove e più ricche rappresentanze politiche. Tornare – da noi e sul panorama globale – baricentro democratico e soggetto con la forza di interloquire con l’intelligenza scientifica.

Piegandone le straordinarie innovazioni alla liberazione umana invece che al dominio e al profitto. Lavoro dunque lungo e difficile ma decisivo. Per applicarsi al quale, inutile perdere tempo e voce a tifare in curva per squadre che non sono le nostre.

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2 Commenti


  • Luciano Seller

    Un pessimismo forse realistico, ma insolito per Contropiano
    Contropiano é ad una svolta?


    • Redazione Contropiano

      E’ un “intervento”, non un nostro articolo. Il fatto che sia interessante da leggere non implica che sia anche condiviso…

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