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Sciovinisti europeisti

È proprio vera quell’affermazione del giovane Karl Marx secondo cui la Storia si ripete solo come farsa.

Oggi, come un secolo fa, c’è un partito della guerra in Italia e non è un partito tipicamente di destra. Difatti, come già successo nel 1915, c’è una fronda di intellettuali della “sinistra” che freme per muovere guerra all’autocrazia straniera.

Questa nicchia rappresenta una fetta della classe dirigente di questo paese, ed è sia ambiziosa che rumorosa, finanziata da chi con le guerre si arricchisce: la lobby di armi, armamenti e media. Questi intellettuali, giornalisti, politici credono veramente che dalla vittoria nello scontro tra imperialismi possa scaturire un destino positivo.

Sono convinti, come erano convinti molti politici degli Anni Dieci del Novecento, che la guerra contro un impero possa avere una funzione progressiva. In sostanza, parafrasando il ben più avveduto Garibaldi, “qui si fa l’Europa o si muore”.

La guerra è difatti il momento di accelerazione di quell’integrazione europea che hanno sognato per anni. Un’occasione di sviluppo politico come era stata per altri, sempre un secolo fa, la guerra all’oppressore austriaco. E ci sarebbe anche da sottolineare come per questo fine siano pronti a derogare a quei dogmi per loro irrinunciabili, come il patto di stabilità, con cui hanno distrutto interi paesi.

Questo cambiamento non ci segnala solo quanto avevamo ragione e quanto ogni politica è strumentale agli interessi della classe dirigente, ma soprattutto come è cambiato lo scenario. L’Europa dell’austerity neoliberista non esiste più negli stessi termini, mangiata dal populismo di destra e digerita dalla crisi dell’impero occidentale. La guerra è pertanto un’occasione di rilancio dell’industria europea ma anche la risposta a una una crisi di senso provocata dal ‘tradimento’ e dalle follie degli Stati Uniti trumpiani.

Per ri-legittimare questo progetto europeo in crisi è necessario creare un nemico minaccioso, autoritario e immorale, e così ricostruire un’identità forte con la contrapposizione politica, etica e militare. Da qualsiasi lato si guardi la faccenda, risolvere la stagnazione dei profitti, o superare la crisi di legittimazione e identità, l’élite europea ha bisogno di integrazione politica e quindi di politica, di Stato.

Si ri-presenta, anche per loro, la necessità di un certo tipo di politica ambiziosa, sovrana e identitaria che la tecnocrazia europea aveva sottomesso e la sudditanza all’Impero americano aveva tacitato. Quindi ci avvisano, ci pregano, e ci convincono che bisogna armarci, che bisogna unirci alla corte di questa Europa, governata irrimediabilmente dalle lobby, ma che loro difendono come un grande esempio di democrazia moderna.

Sono necessari grandi sacrifici per fermare l’invasore russo, e infatti ci avvisano che dobbiamo immolare il nostro precario stato sociale – perché è quello che verrà per primo sacrificato – per armare un nuovo esercito europeo, visto che il padrone americano che ci difendeva, ci ha lasciato soli ad affrontare il nemico da lui costruito. Sono più realisti del Re.

Per loro siamo difronte a un pericolo paragonabile politicamente, militarmente e moralmente a quello della Wehrmacht nel 1939. Una follia sotto tanti punti di vista, ma che per loro giustifica ogni tipo di delirio propagandistico e occultamento storico.

Ci dicono che 80 anni di pace in Europa sono in pericolo, dimenticandosi di quando i paesi occidentali bombardavano la Jugoslavia, solo 30 anni fa. Ci dicono che un’invasione di uno Stato sovrano è un crimine che non può restare impunito, ma loro applaudivano quando in Iraq e Afghanistan morivano milioni di persone perché il petrolio costava troppo.

Ci dicono in sostanza che Vladimir Putin ricorda Adolf Hitler, ma per convincerci usano tutto l’armamentario retorico e politico del Nazismo. Nella loro corsa opportunistica alle armi, falsa o ottusa che sia, la classe dirigente di questo paese e di questa Europa, che millanta di combattere l’autoritarismo, si sta nazificando.

Non dobbiamo dimenticare che sono dei criminali macchiati di sangue, vale a dire avere a che fare con la feccia dell’umanità, e che, favoriti dalle circostanze in un’ora tragica, essi invasero un grande stato e nella furia del massacro spazzarono via milioni dei loro più intelligenti compatrioti”. Questo passo del Mein Kampf non è distinguibile dalle parole degli intellettuali italiani ed europei che ci invitano alla guerra.

E ancora: “Per la Germania la condotta da adottare è chiara. Non deve mai permettere a due Poteri Continentali di ergersi in Europa. […] deve considerare non solo un diritto, ma un dovere, evitarlo con ogni mezzo, anche al punto di imbracciare le armi.” Sostituiamo qualche nome qua è là e il delirio di Hitler è perfettamente pubblicabile come editoriale di Repubblica.

La convinzione della necessità politica ed economica di combattere la Russia di Putin fomenta la caccia al nemico interno filo-russo e al disfattista, e riecheggia la retorica guerrafondaia che ha anticipato entrambi le guerre mondiali. Si diffonde, in quasi tutti i media italiani, la frase: difendere l’Europa. Ovvero Defend Europe, lo slogan post-Bataclan dei fascisti europei contro l’islamismo radicale, che oggi è diventato lo slogan dell’intera élite europeista.

Oggi gli intellettuali italiani si appellano alla Costituzione e all’articolo sulla difesa della patria, e lo fanno proprio mentre gruppetti di fascisti danno la caccia ai migranti nelle strade di Milano, gruppetti riuniti sotto il nome del medesimo articolo degli europeisti, “Articolo 52”: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge.

Il “sacro dovere” per entrambi i contendenti, trumpiani assuefatti dall’idea del pericolo migratorio ed europeisti suprematisti e guerrafondai, è difendere la patria dal presunto nemico di ordine e stabilità. Ambedue le fazioni non accettano il cambiamento, non sanno affrontare la crisi: il disfacimento, vero o presunto, di un modello bianco, suprematista, liberista e liberale di controllo e privilegio.

Il mondo occidentale si sta inabissando e ognuno risponde come può, ma che siano “progressisti” o reazionari sono comunque uniti da una retorica e una pratica autoritaria, guerrafondaia e suprematista.

Nel 1915 il caos regnava sovrano, l’Europa immatura fu trascinata in un massacro senza precedenti, e le organizzazioni proletarie si lanciarono spesso con vigore nel sostenere la loro patria. La socialdemocrazia fu spaccata sulle linee delle frontiere, solo una minoranza internazionale guidata da previdenti bolscevichi si sottrasse al cieco aut aut tra pacifismo e interventismo.

Tra queste due Lenin scelse la rivoluzione, e la cosa, per capacità, organizzazione e caso funzionò molto bene. Nel resto d’Europa ci fu però una precipitazione di eventi che, data la suddetta incapacità politica della classe dirigente proletaria, portò a tutt’altro: guerra, fascismo e reazione.

Oggi non esistono i partiti di massa né nessuna forma di organizzazione politica con un simile livello di capillarità. Quei lavoratori che subiscono le decisioni e che verranno chiamati ad indossare l’elmetto, non hanno possibilità di rappresentanza. Non esiste più la socialdemocrazia tedesca che invitava i lavoratori a difendere il Reich, come non esistono le possibilità per una minoranza bolscevica.

Nel 1915 in Italia Filippo Corridoni, Cesare Battisti, Benito Mussolini, Filippo Tommaso Marinetti furono tra i primi e più convinti interventisti della sinistra italiana, e spostarono ottusamente il loro socialismo su bieche posizioni scioviniste. Fecero una scelta di campo e in quanto figli di una politica che guardava alle masse andarono al fronte, si arruolarono volontari e qualcuno non tornò a casa. Oggi la chiamata alle armi è un diktat che non necessita nemmeno della credibilità dei suoi propagandisti.

Voi vi immaginate Scurati che guida un battaglione sul suolo russo?

Una farsa, appunto.

* da Facebook

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