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Referendum. Servirà la lezione?

Siamo andati al voto, anche i non pochi che avevano più di un dubbio.

Dubbi non tanto sui quesiti ma sull’azzardo di lanciare la sfida non tenendo conto delle condizioni reali dei rapporti di forza sul campo.

Siamo andati alle urne quasi per carità di patria, di una “patria” che però ormai forse non c’è più da tempo.

Ho scarso interesse a mettere sotto accusa questo o il tal altro, questo classico esercizio – in cui parte del nostro mondo è maestro – è da anni solo la scorciatoia che impedisce di capire i veri nodi.

E poi la fragilità di chi mena la danza delle opposizioni è fin troppo evidente.

Quel che invece credo oggi vada fatto è finalmente aprire una riflessione a tutto campo.

Spero che l’era in cui, più che il conflitto sociale, basta riunirsi davanti a un gazebo e poi pubblicare foto in rete sia conclusa per sempre.

Cosa deve succedere ancora per vedere che chi mima l’opposizione oggi non ha un corpo sociale?

Immagino già l’obiezione.

Hanno votato comunque un po’ di milioni di persone, ripartiamo da qui, eccetera eccetera.

Quante volte ho sentito questo ritornello dopo un referendum perso.

L’ illusione di quei voti dura come l’ultima pallida traccia della luna al mattino presto.

Qualche minuto e col dispiegarsi del giorno si dilegua.

Certo, ci sarebbe la bella prova della manifestazione per Gaza.

Importante e speriamo utile a mettere pressione ai governi.

Al nostro, a quelli di Usa e Europa, a quello di Tel Aviv.

Non giurerei però che basti a ricostruire qui rapporti sociali più favorevoli.

Siamo al dunque del nodo vero.

Le cose che si fanno riguardano temi, non soggetti.

E’ invece dai soggetti che occorre ripartire.

In particolare da chi incarna le nuove forme del lavoro di oggi.

Chi interloquisce spesso con questi miei scritti sa che insisto da tempo.

Senza il lavoro vivo, cioé i nuovi lavoratori in carne e ossa.

Senza la loro funzione nella produzione e la riproduzione sociale del capitalismo contemporaneo.

Non c’è troppa speranza di invertire la tendenza.

E’ un nuovo movimento del lavoro che deve rientrare in campo, con i suoi soggetti e i suoi conflitti.

Anche per stringere gli avversari (quelli che soprattutto incarnano il capitale) a un nuovo compromesso sociale.

Senza questa nuova e inedita irruzione operaia a competere a modo loro con il capitale, per paradosso, continueranno ad essere le destre ‘sovraniste’.

Che non a caso – piaccia o no – ci hanno sottratto di fatto il consenso dei ceti popolari.

Mi sembrano nell’essenziale questi i nodi dai quali ripartire.

I fili da districare.

E a questa grande inchiesta sul lavoro vanno dedicati tutti gli sforzi.

E’ stata la classe operaia degli anni 60 – 70, che divenne protagonista sociale di massa trascinando studenti e intellettuali, a dare forza e nerbo a sindacati e sinistre.

Quella stagione è ormai lontana, tramontata da tempo.

Le grandi trasformazioni del capitalismo, le formidabili innovazioni scientifiche, fino alla odierna intelligenza artificiale, hanno definitivamente spiazzato la forza di un tempo.

Non c’è rendita di posizione che tenga.

O si riorganizza, insieme al residuo fordista, il nuovo proletariato, quello di chi lavora nei mille mestieri dell’economia attuale, o la sinistra è finita.

So bene che è difficile.

Il corriere che ti porta la merce a casa, o il rider della pizza, il giovane che viene a riparararti il PC a domicilio o gli addetti ai grandi depositi della logistica, non sono gli operai di un tempo.

Spezzettati, spesso precari e senza organizzazione, neppure sappiamo cosa pensano, se davvero intendono organizzarsi o se a loro va bene così.

Chi si preoccupa di interrogarli, avvicinarli, capire come vivono il proprio lavoro e che bisogni hanno?

Il loro spesso è un lavoro super sfruttato, faticosissimo, governato da lontano dalle grandi piattaforme tecnologiche del nuovo capitalismo transnazionale.

Per provare a intercettarne gli umori ci vogliono cose serie, impegnative, lavoro paziente.

Cosa vuoi che gli interessi a questi soggetti qui dell’ansia propagandistica dell’allegra brigata delle nostre opposizioni politiche e sindacali?

In fondo, ridotto all’osso, questo ci dice l’esito – già scritto – di questo referendum.

Altro che le cose che si leggono sul popolo che non comprende e così via.

O peggio, chi legge la sconfitta tutta in chiave politicista. Dando responsabilità a chi nel PD avrebbe tradito la Schlein.

Lo stesso schema con cui si interpretò la sconfitta di Berlinguer ai cancelli della Fiat nel 1980 e poi nel referendum sulla scala mobile.

Anche lì, certo che gli avversari interni ebbero un peso.

Se però si fosse provato a dialogare con il ’77, quel movimento di giovani scolarizzati pur – lo riconosco – molto radicalizzato.

A prendere atto della nuova composizione di classe da lì emersa – invece di bollarli di “diciannovismo” – forse gli operai Fiat e Berlinguer in quella loro resistenza ai cancelli non si sarebbero poi ritrovati isolati.

Insomma, altro che prendersela con il popolo che non ha votato.

Qui a continuare a non capirci niente siamo noi. E dico “noi” ancora per carità di patria.

Ma continuare ad essere sordi e ciechi ormai non è più consentito.

Cosi come non si può continuare con una opposizione solo mimata in favore di telecamere, né andare dietro a talk ossessionati da Meloni, che invece tacciono chirurgicamente sui veri nodi di classe.

E basta con la delega a rappresentare la sinistra concessa a buon mercato ai gruppi economico-finanziari del capitalismo nostrano ed europeo.

E’ il momento di andare al dunque della materialità delle questioni.

Di provare a riorganizzare un nuovo blocco sociale.

Se ci riesci torni in campo.

Altrimenti perdi.

E non è colpa del popolo.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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5 Commenti


  • Luca

    dicono che non ce la si deve prendere con il popolo … va bene, ma visto che, secondo il buon vecchio motto di certi compagni che appaiono ad altri “radicalizzati” (termine partorito nelle procure giudiziarie), “i soldi non ce li dobbiamo fare e i voti non li dobbiamo prendere”, possiamo pure dire che parte di sto popolo lavoratore è una zavorra inerte ai suoi stessi bisogni.

    Che cosa cazzo gli vuoi chiedere a certi “lavoratori” riguardo ai propri bisogni se rispondono a un assetto mentale giá programmato di desideri di consumi e valori farlocchi?


  • Pino Bertoldo

    Condivido, Elencati molto schematicamente ma con sistematicità ( bravo! occorre anche sul terreno dela “comunicazione” un’innovazione profonda) i veri nodi reali che abbiamo di fronte. Che sono enormemente più grandi delle poche soggettività che ne hanno coscienza.


  • Giorgio

    sono d’accordo, anche se rimane una grande domanda da responderé. Supponiamo che per un qualche miracolo riuscissimo a sintonizzarci con la attuale classe lavoratrice frammentata e disillusa.
    Se una volta pronti ad ascoltarci ci chiedessero semplicemente che tipo di societá alternativa proponiamo? Se ci chiedessero di indicare un esempio concreto in cui dopo una dura e sanguinisa rivoluzione si é arrivati ad una societa comunista
    migliore della capitalista,in cui vivono cosa responderemos? Non é una domanda retorica, e la ragione per cui tutti i nostri sforzi non vengono presi sul serio. Bisognerebbe ammettere che TUTTE le volte che si é arrivati a cistruire un Comunismo reale in occidente come in Oriente o nei Caraibi il rusultato non é certo come per sventolarlo ai 4 venti…Dunque quesra societá Comunisra non segúe necesariamente una rivoluzione nonostante tutte le buone intenzioni dei migliori militanti che la hanno organizzata e che generalmente sono i primi ad essere eliminati dai nuovi dirigenti. Se la storia serve e per capire come fare a non ripetere gli stessi errori…


    • Redazione Contropiano

      da molte parti è stata fatta molta strada… il comunismo non c’è da nessuna parte, ma neanche può esserci in qualche paese qua e là… il mondo va cambiato per intero, per poterci provare sul serio.. ma intanto proviamo a cambiare il pezzo in cui viviamo. ci arriveranno prima (i nostri nipoti)


  • Oigroig

    Il movimento del ’77 “molto radicalizzato”, Berlinguer “diciannovista”… Allucinazioni storiche a parte, la questione che questo intervento mi fa venire in mente è il fondamentale limite del movimento rivoluzionario italiano dal dopoguerra fino ad oggi: la volontà, o meglio la velleità di spostare il PCI “a sinistra” ponendosi in posizione extraparlamentare, “eretica” o sovversiva o combattente. Non si è riuscito a sedimentare una teoria (né quindi un senso comune) di come si cambia l’organizzazione sociale. Non siamo riusciti a diventare persone adulte capaci di pensare e agire, e non solo di reagire alla cieca sperando di produrre un effetto purchessia. Il referendum non cambia il sistema sociale, e infatti basta che il giorno dopo si faccia una qualche legge e il gioco è fatto. Pensate al referendum sull’acqua pubblica, vanificato nonostante avesse raggiunto il quorum… Insomma, votare è stato un minimo gesto di resistenza, ma lo strumento è spuntato e l’enfasi sul “vincere” o “perdere” (condita qui sopra con brevi cenni sulla storia d’Italia) mi pare un indice di annebbiamento… In Italia il 60% degli italiani evade ampiamente le tasse, e solo il 17% paga tutte le tasse, e con queste stanno in piedi scuola, sanità, ecc. (favorire l’evasione fiscale del proprio elettorato era già una vecchia strategia della DC). Gli affiliati o impiegati dalle 5 mafie attive in Italia pare siano un milione… L’Italia è un paese sempre più ladro, sempre più soffocante e più delinquenziale, da cui tanti se ne vanno. Non c’è da sorprendersi se le persone sono sfiduciate… Non ci si può meravigliare se anche la piccola borghesia “di sinistra” difende il proprio feticcio di privilegio (vedi i risultati del referendum sulla cittadinanza). Inoltre, che sia elevato a obiettivo polemico chi ha pensato il conflitto sociale come uno svago tra amici («basta riunirsi davanti a un gazebo e poi pubblicare foto in rete»), e cioè come movimento di opinione, la dice lunga sulla mancanza di obiettivi che andrebbe superata, e cominciando col non prendere sempre le misure a partire dal meridiano di Greenwich del PCI-PD-CGIL da ”spostare” a sinistra.

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