Premessa
Nel titolo ritroviamo uno degli slogan più urlati nelle manifestazioni di piazza degli ultimi mesi contro il genocidio. Certo sarebbe a dir poco presuntuoso, se non folle, solo pensare di paragonarsi a un palestinese e non solo di oggi.
Eppure individui, gruppi, nazioni a diverse latitudini e in tempi diversi hanno vissuto e continuano a vivere esperienze molto simili: di abusi, di vessazione, di umiliazione e di sottomissione, in cui viene negata l’autodeterminazione a tutti i livelli.
Ed è per questo che mi figuro le seguenti parole lette a voce alta da ciascun individuo o popolo, che si è trovato e si trova ancora in tali condizioni.
1 Lo siamo quando aiutiamo colui che sarà il nostro carnefice
Come fecero i palestinesi, grandi coltivatori, quando insegnarono come prendersi cura della terra ai primi coloni sionisti, che sbarcarono a Giaffa nell’estate del 1882.
Ex studenti universitari, cresciuti nelle città dell’Europa orientale, che non ne sapevano niente e furono probabilmente salvati da morte certa.
2 Lo siamo quando ci sentiamo usati e venduti
E a farlo sono gli stessi che poi ci gettano in pasto ai carnefici, che loro stessi hanno generato e allevato.
Come il Regno Unito ha fatto lungo tutto il suo mandato nella regione: disattendendo le promesse (come sempre contraddittorie) fatte agli Hashemiti1; usando la religione contro una laicizzazione che emancipa e libera; trattando come sudditi i palestinesi, mentre agevolava i coloni sionisti permettendogli di mettere in piedi il loro sistema educativo, le proprie industrie, le proprie capacità militari (compresa una forza paramilitare Haganah) e tutti i servizi di competenza dello Stato; riclassificando gli abitanti palestinesi come fittavoli, così la loro presenza divenne subordinata alla volontà del proprietario terriero, che era sionista, foraggiato dalle lobby2 che erano state create di proposito nel Regno Unito e negli Usa; permettendo a quest’ultimo di sfruttare i contadini palestinesi, sfrattarli dalle loro fattorie dopo averle rese fruttuose e costringerli a trasferirsi in città per cercare un lavoro; avendo un atteggiamento ambivalente continuo, che ha aperto la strada alla pulizia etnica, che ebbe il suo primo culmine nella Nakba3.
3 Lo siamo quando siamo lasciati soli davanti ai carnefici
Circondati dal silenzio di chi minimizza, volta lo sguardo o apertamente li sostiene.
Come quando Israele interpretò il silenzio e l’inazione internazionale4 durante la Nakba come un via libera per utilizzare la pulizia etnica come mezzo per costruire il suo nuovo Stato etnico. Metodo tuttora utilizzato ed è per questo che dal 1948 si parla di al-Nakba al-Mustamirra “la catastrofe costante”.
4 Lo siamo quando siamo manipolati e schiacciati
Soffocati da ideologie identitarie, create a tavolino, al solo scopo della conquista.
Come la nuova identità etno-teo-nazionale ebraica, creata in tempo reale, insieme alla rinascita della lingua ebraica, a scapito dello yiddish e del ladino (lingue ebraiche europee), a fondazione dello stato a venire, che si accaparrava le terre palestinesi in nome di libri sacri e di profeti, e di primato tra i popoli eletti.
E che per ripopolare i territori illegalmente occupati, fece sì che gli ebrei arabi residenti da millenni negli stati confinanti, emigrassero in Israele a forza di attentati o accordi sottobanco coi propri governi e ad accoglierli all’arrivo c’era un rito in cui venivano spruzzati col DDT per essere de-arabizzati.
E che smembravano le famiglie allargate in piccoli nuclei per poter istruire i bambini nella sola lingua ebraica e indottrinarli a credere nel valore del neonato Stato israeliano, eppure mantenendoli sempre nelle città povere di confine e con impieghi non qualificati, al di là delle loro competenze. E questi, per poter essere riconosciuti come eguali agli ebrei europei, avrebbero dovuto rinegare il proprio passato arabo.
I sionisti riuscirono nel loro intento, tanto che gli ebrei arabi sono poi diventati i maggiori sostenitori della destra più reazionaria e delle peggiori violenze contro i palestinesi.
5 Lo siamo quando, nonostante forti iniquità, ce la facciamo comunque
Come quando durante il mandato, pur non avendo fondi stanziati dal Regno Unito per le università, i palestinesi nel 1925 riuscirono a trasformare il Collegio arabo di Gerusalemme in una istituzione eccellente, che permetteva agli studenti di intraprendere studi universitari fuori dalla Palestina: una classe dirigete che gli fu così negata.
O quando nel Negev i beduini ricostruiscono per quaranta volte il loro villaggio di Araqib, quaranta volte distrutto dagli israeliani.
O ancora oggi, quando nei campi profughi e a Gaza si nutrono le arti e la conoscenza, sotto una pioggia di proiettili e bombe.
6 Lo siamo quando siamo trattati come stranieri nella nostra terra
Resi invisibili insieme alla nostra storia, col solo fine di riuscire a cancellare completamente la nostra identità.
Come quando i coloni sionisti, con i loro colonialismo d’insediamento, fecero il vuoto dove non c’era, cancellando e storpiando5 tutto quello che trovavano di umano e non, considerando i palestinesi selvaggi, primitivi, nomadi non attaccati alla loro terra o “sfollati interni” (quando presenti in territorio israeliano dopo la Nakba, vicini alle macerie dei propri villaggi). E dalla Nakba resero impossibile la costruzione di una nazione palestinese.
Tra i vari progetti di “ebraizzazione” si ricorda quello della Galilea nel 1976, guidato dal partito laburista, che confiscò le terre arabe e costruì nuove basi militari e nuovi insediamenti. I palestinesi risposero con una giornata di sciopero e la reazione israeliana fu l’uccisione di sei cittadini palestinesi. Quella data (30 marzo) è diventata il “Giorno della Terra”, commemorato ogni anno dai palestinesi.
Sono decenni che i palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania non possono spostarsi, avere un lavoro, andare all’università o essere ricoverati in ospedali, senza prima ottenere dei permessi dall’amministrazione civile degli occupanti.
I posti di blocco, sede dei controlli, venivano e vengono usati dai militari israeliani per maltrattare, molestare e perseguitare i palestinesi, e fare pressioni affinché collaborino come informatori, magari in cambio dei permessi richiesti.
O si pensi all’assurdità di quando nella Conferenza di Madrid del 1991, il primo ministro Yitzhak Shamir, del Likud, costretto a partecipare dagli USA, disse di accettare solo se non avesse dovuto negoziare coi palestinesi.
Alla Legge sulla nazionalità e l’ingresso in Israele del 2003, che vieta agli abitanti della Cisgiordania e di Gaza di ottenere automaticamente la cittadinanza o il permesso di residenza, mediante il matrimonio con un cittadino israeliano.
Alla legge sulla Nakba del 2011, con cui si toglie i finanziamenti governativi e lo status protetto a qualsiasi istituzione ufficiale che commemori la Nakba.
Al Fondo nazionale ebraico, possessore diretto o in diretto del 97% della terra alla fine del Novecento, era precluso l’accesso ai palestinesi, che quindi non potendo acquistare terreni, non potevano e non possono allargare le città e i villaggi esistenti, né crearne di nuovi, mentre gli insediamenti ebraici sionisti si espandono senza limiti.
Al Piano Prawer del 2011 che avrebbe portato al trasferimento di quaranta-settanta mila beduini del Negev, dopo che con la Legge per la protezione della vegetazione (oltre al danno la beffa) del 1950 aveva decretato che l’agricoltura e il pascolo, cioè le loro principali occupazioni, erano reato.
7 Lo siamo perché continuiamo a lottare contro le ingiustizie
Come quando il Supremo comitato arabo nell’aprile del 1936 indisse uno sciopero nazionale di sei mesi, per chiedere la fine dell’immigrazione e dell’acquisto di terreni da parte ebraica e l’istituzione di un governo nazionale palestinese. E lo sciopero si trasformò in una rivolta, che gli inglesi impiegarono tre anni per sedare.
O in tutto il peregrinare del quartier generale dell’OLP, nei vari stati arabi vicini, per sfuggire alla repressione di Israele e dei suoi alleati; e nei continui attacchi all’Orient house di Gerusalemme, in cui si riunivano squadre di esperti palestinesi (i Tawaqim), che lavoravano per progettare le infrastrutture in uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
O nella prima Intifada, di cui parleremo in seguito, quando ai tank e alle pallottole si risponderà con le pietre, e in prima linea ci saranno ragazzi e bambini contro i robocop con la stella di David.
8 Lo siamo quando i nostri diritti sono negati da governi e stravolti dalla propaganda
Come quando la neonata ONU non considerò seriamente quanto i piani del movimento sionista di inizio Novecento fossero un serio ostacolo alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. E per i palestinesi non valevano e non si applicavano quindi i tanto decantati principi di “pari diritti e autodeterminazione dei popoli”, sanciti nella Carta ONU. O tutte le volte che le risoluzioni sono rimaste inevase, a meno che non coincidevano con la volontà sionista, o gli erano in gran parte di vantaggio. O come lo Stato e i coloni israeliani disattendano di continuo la IV Convenzione di Ginevra, che non consente agli Stati di trasferire i propri cittadini nell’area occupata né prendere con la forza le terre delle popolazioni occupate.
O quando la Corte suprema israeliana, contestata dalle organizzazioni per i diritti umani, autorizzò gli insediamenti, sostenendo che erano temporanei e a scopo difensivo, per poi trasformare questi avamposti “militari” in insediamenti civili.
9 Lo siamo perché abbiamo conservato l’empatia, pur avendo storie diverse e maggiori privilegi
Come quando si prende il mare per rompere un assedio, o si scende per strada per urlare contro un governo che non si può essere complici dell’ennesima pulizia etnica, che diventa genocidio, in diretta social, reso ancora più orribile, se si può, da tutte le restrizioni sadiche e paranoiche del COGAT (Coordinator of Government activities in the Territories)6, come lo stop ai letti perché contengono parti in metallo o a biscotti, miele e marmellata perché hanno un alto contenuto energetico, soprattutto per donne e bambini.
10 Lo siamo quando siamo animati dall’abnegazione
E riusciamo così a resistere alle condizioni più inumane.
Come i profughi, che fuori dalla Palestina, dagli inizi del Novecento, continuano a risiedere nei campi profughi (spazi che diverranno comunque vivi culturalmente e politicamente), rifiutandosi di costruire case e prendere la cittadinanza (quando concessa) negli stati arabi confinanti. Solo perché dovevano tornare nella terra da cui erano stati cacciati.
11 Lo siamo quando osiamo l’impossibile, nonostante la sproporzione di mezzi
Perché se da un lato c’è un’intelligence e un esercito, che sono tra i migliori del mondo, e delle lobby7, che nel tempo sono diventate potentissime e presenti nelle maggiori potenze mondiali, dall’altro abbiamo un popolo senza Stato, sfollato, imprigionato, torturato, che ha cercato di usare qualsiasi mezzo per autodeterminarsi, dagli scioperi, alla guerriglia fino agli attentati8.
Infatti ciò che si può facilmente rintracciare nella storia dell’ultimo secolo, e a conferma abbiamo il genocidio in corso, che è la risposta all’attentato del 7 ottobre 2023, è che, tra le due parti, non c’è proporzione né di mezzi, né di alleanze, né di azioni. Anzi possiamo dire di più e cioè che è quasi un marchio di fabbrica israeliano quello di preparare il terreno agli attentati palestinesi, con accordi trasversali e intrusioni nella politica degli stati confinanti e non, per poi rispondere con stragi9 e occupazioni e, a seconda delle fasi storiche, cercare di completare il disegno del Grande Israele10.
La stessa Prima Intifada che scoppia nel dicembre del 1987, inizialmente come movimento di protesta non armato e non violento, grazie al quale i palestinesi riuscirono, anche se per un breve periodo, a controllare e ad autogestire i loro villaggi e quartieri con autosostentamento e solidarietà, fu repressa dal governo israeliano con più di mille morti, demolizioni di case, coprifuoco, scuole chiuse ed espulsioni.
La scintilla per la Seconda Intifada (28 settembre 2000), molto militarizzata (con gli attentati suicidi dei gruppi islamisti) e che si estese anche dentro Israele, fu la visita provocatoria del leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon ad al-Haram al-sharif, il luogo sacro per i musulmani e le sue parole “Il Monte del Tempio è ancora nelle nostre mani”.
Per reprimerla, Israele usò direttamente l’aviazione e i bombardamenti aerei, e i massacri nelle diverse città si fermarono solo con la morte di Arafat nel 2004.
12 Lo siamo quando siamo fermati, denunciati e imprigionati per le nostre idee
E non solo in Palestina con le persecuzioni e le detenzioni senza processo, con torture e mutilazioni, ma dal 7 ottobre, molti manifestanti e attivisti hanno subìto una forte repressione da parte della polizia e dei governi “democratici” d’occidente, spesso solo per aver sventolato una bandiera palestinese, mostrato un cartello contro il genocidio o indossato una kefiah.
13 Lo siamo quando i compromessi aprono ai fondamentalismi
Compromessi che sono quasi sempre a svantaggio della maggioranza e nonostante le derive, noi restiamo solidi negli ideali di rivoluzione sociale e lotta di classe.
Si pensi alla grande trasformazione interna alle organizzazioni palestinesi, dopo gli accordi di Oslo (1993)11, che portarono a una spaccatura nel movimento di resistenza. E fu proprio quello lo spazio in cui consolidarono la loro posizione il Movimento per il Jihad islamico in Palestina e Hamas. Quest’ultimo nasce nel 1987 come braccio armato del movimento dei Fratelli Musulmani, fondato in Egitto nel 1928, come reazione alla troppa influenza culturale ed economica occidentale e all’incapacità dei movimenti laici di garantire un’autentica indipendenza e di risolvere la povertà, la disoccupazione e il problema degli alloggi. Le autorità israeliane, pensando che il movimento avrebbe creato una frattura tra i palestinesi, indebolendo il movimento laico Fatah, gli permise di acquisire influenza nella Striscia.
Con gli accordi di Oslo II (1995) Arafat accettando i compromessi delle aree A, B, C in cambio del riconoscimento della sua autorità e del ritorno in patria, pensava che potevano essere un punto di partenza per poter poi continuare la lotta di autodeterminazione dall’interno, ma avvenne il contrario e invece della pace, ne cavarono una più feroce occupazione israeliana e un aumento degli irrisolti12.
Lo stesso accadde dopo Camp David (2005) quando però Arafat rifiutò di firmare accordi, in cui Barak non offriva nulla, e dovette comunque essere etichettato come guerrafondaio.
In parallelo il Quartetto per il Medio Oriente, instituito nel 2002 da Stati Uniti, ONU, UE e Russia, individuando ancora una volta nella resistenza palestinese e non nell’espansionismo israeliano l’ostacolo alla pace, e facendo pressione sull’ANP, sperando si trasformasse sempre più in un fantoccio in cambio di qualche concessione, non ha fatto altro che radicalizzare le posizioni.
Si pensi infatti alle elezioni del 2006, in cui dopo il ritiro degli israeliani dalla Striscia di Gaza, Hamas ottenne oltre il 44% dei voti, ma gli altri partiti, pressati da USA e Israele, rifiutarono di riconoscere il nuovo governo. A quel punto, Hamas decise di prendere la Striscia di Gaza con la forza, innescando una guerra contro Fatah.
Anche questo contrasto interno, con conseguente polarizzazione, viene usato da Israele che comincia l’assedio della Striscia di Gaza, privando i suoi abitanti dei beni essenziali e spesso limitando l’accesso all’acqua e all’elettricità.
Ebbene tra le macerie di corpi, di abitazioni, di partiti e di ideologie si nascondono già oggi i semi per le nuove resistenze, i cui germogli sono già visibili.
14 Lo siamo quando non dimentichiamo e coltiviamo la memoria
E ricordiamo che l’assedio di Gaza, l’occupazione della Cisgiordania e l’apartheid all’interno di Israele vanno avanti da decenni.
E che nel maggio del 2011 i palestinesi di tutta la Palestina storica hanno fatto fronte comune per arginarli in qualche modo, ma come spesso in passato, hanno dovuto pagare col sangue (260 morti, che si sommano alle altre centinaia di migliaia dell’ultimo secolo) e senza risultati.
Così come il dilagare del fondamentalismo islamico non può non essere connesso ai continui fallimenti laici per l’autodeterminazione, che si sono susseguiti per un intero secolo.
E tra le cause per le azioni drastiche da parte palestinese non possiamo non considerare la detenzione prolungata di migliaia di prigionieri politici e le provocazioni in merito ad al-Haram al-sharif, oltre a tutto ciò di cui si è ha lungo discusso e che va a connotare l’intera storia di una regione e di due popoli. Ed uno in particolare è quello che sconta traumi transgenerazionali, che si sommano a quelli di una vita violata e negata.
Ritornano ad oggi: con 700.000 e più coloni sionisti in Cisgiordania e col genocidio a Gaza, dopo un secolo di colonialismo insediativo, dove si pensa di fondare lo stato palestinese e con quale popolo?
Molte nazioni portano le colpe di quanto accaduto e di non aver aperto la strada alla decolonizzazione, così come avvenuto in altri casi all’inizio del secolo scorso e tra questi c’è chi continua ad approfittare di questo orrore. E di aver invece fatto in modo che all’interno dello Stato colonialista israeliano, che si spaccia per laico, democratico e come “l’unica democrazia del Medio Oriente”, si ingrandisse sempre di più uno Stato di Giudea, che è quello dei coloni, formatosi negli insediamenti ebraici in Cisgiordania, che acquista sempre più potere e che mira a trasformare Israele in uno stato sempre più razzista, fascista e teocratico (si pensi tra gli altri a I. Ben-Gvir e e B. Smotrich dell’attuale governo Netanyahu).
15 Lo siamo quando, come diceva Arrigoni, restiamo umani.
Eppure prima bisogna diventare umani.
Cioè avere dignità, uno stato, una terra, una casa, un lavoro e la possibilità di autodeterminarsi come popolo e come individuo. E finché tali diritti non ci verranno garantiti, non si può che lottare con ogni mezzo a disposizione.
Ed è per questo che nella questione palestinese, confluiscono tutte le istanze che sono alla base per una rivoluzione sociale, che miri all’uguaglianza contro lo sfruttamento, e che è osteggiata di continuo da nuove e vecchie organizzazioni nazionali e sovranazionali, da dogmi ed estremismi religiosi e non, dal capitalismo e da tutto ciò che ne consegue, che, mai come oggi, si manifestano in modi tecnologicamente sempre più insidiosi e subdoli.
*Tra le principali fonti fondamentali dell’articolo vanno annoverate le opere di I. Pappé (di cui compaiono diversi estratti), N. Erakat, G. Karmi, R. Khalidi, E.W. Said.
1 La Transgiordania fu istituita come protettorato britannico nel 1921; anticamente, come la Palestina, faceva parte dell’Impero ottomano. Quando la Transgiordania fu occupata dagli inglesi nel 1918, il piano iniziale era di incorporarla nella Palestina mandataria. Ma poi gli sviluppi nell’Hegiaz, la regione che contiene le città più sante dell’islam, La Mecca e Medina, complicarono la situazione in Transgiordania. Durante la prima guerra mondiale, una dinastia locale, quella degli Hashemiti, dichiarò l’Hegiaz un regno indipendente sotto il suo dominio. Gli inglesi strinsero un’alleanza con loro: in cambio della lotta degli Hashemiti contro gli ottomani, gli inglesi li avrebbero riconosciuti come Stato indipendente. Inoltre, gli inglesi promisero che gli Hashemiti avrebbero potuto fondare nuove case reali nei territori che sarebbero diventati la Siria e l’Iraq, guidate dagli eredi di al-Husayn ibn Ali, che era sceriffo della Mecca e re dell’Hegiaz. Non era facile mantenere quelle promesse, però. Nella penisola arabica gli inglesi avevano sostenuto anche gli acerrimi rivali degli Hashemiti, la casata dei Saud. Quindi il Regno Unito non intervenne quando i Sauditi mossero guerra contro gli Hashemiti, occupando l’Hegiaz nel 1924 e annettendolo all’Arabia Saudita.
2 Tra il 1921 e il 1925, l’American Zion Commonwealth acquistò 80.000 acri in quella che allora era Marj Ibn Amir (oggi piana di Esdrae-lon) dalla famiglia Sursock di Beirut. Nel 1929, il Fondo nazionale ebraico acquistò circa 7500 acri nell’allora Wadi al-Hawarith, tra Haifa e Tel Aviv, dal momento che gli eredi del vecchio proprietario libanese non riuscirono a pagare i suoi debiti.
3 Al di là della famosa Dichiarazione Balfour, ricordiamo le commissioni Shaw, Simpson, Woodhead, e il Libro bianco, che più che risolvere non hanno fatto altro che aumentare malcontento e abusi.
4 Le risoluzioni ONU 181, 194, 242, 338 (tra le tante); Il conte Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU, nominato nel maggio del 1948 che voleva adattare la ripartizione della regione alla demografia, fu assassinato dalla Banda Stern, e alcuni storici sospettano che la leadership sionista fosse complice; il Protocollo di Losanna, così come molti altri successivi sono tentativi di riconciliazioni che, o sono a totale vantaggio sionista, oppure quando cercano una maggiore equità vengono stravolti e disattesi.
5 I primi pittori sionisti raffiguravano il paesaggio della loro futura patria senza alcun villaggio palestinese al suo interno.
I villaggi rovinavano la fantasia, e così dovevano scomparire.
6 https://www.rainews.it/articoli/2025/03/medio-oriente-la-gestione-degli-aiuti-umanitari-a-gaza-e-il-ruolo-del-cogat-e684c5f1-8083-4169-acfc-bba998f35895.html
7 Tra tutte è interessante notare quanto l’AIPAC (American Israel Affairs Commettee), fondata nel 1963 abbia segnato un momento di svolta, visto che prima di quella data gli USA appoggiavano ancora il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, non erano entusiasti della deviazione israeliana del fiume Giordano e occasionalmente condannavano le eccessive operazioni di rappresaglia israeliane in territorio sovrano giordano e siriano contro il movimento di guerriglia palestinese. Rifiutarono anche di aiutare Israele a costruire una propria potenza nucleare: gli israeliani dovettero rivolgersi alla Francia per ottenere questo favore. Questa lobby fece in modo che, anche nel caso in cui l’amministrazione USA fosse stata a disagio con le politiche israeliane, ciò non si sarebbe mai tradotto in un’azione significativa.
8 Lo scopo israeliano è da sempre quello distruggere sul nascere qualsiasi organizzazione intellettuale, sociale, politica, paramilitare ecc, che possa aprire la strada all’autodeterminazione palestinese. A seguito di rivolte, scioperi o istituzioni di nuovi consigli, federazioni e commissioni, andavano e vanno eliminati i capi e le organizzazioni stesse. Un esempio tra tutti, il comitato nazionale Lajnat al-Tawjih (“comitato di orientamento” in arabo), creato nel 1978, che ricercava dei mezzi non violenti per porre fine all’occupazione, ma i suoi leader furono arrestati dall’esercito israeliano e attaccati dai coloni ebrei.
9 Tra le più conosciute, ma solo una delle tantissime, ricordiamo il massacro di Sabra e Shatila (3.500 palestinesi morti nei campi profughi) nel settembre del 1982
10 Tra i tanti esempi, possiamo ricordare (oltre al già citato 7 settembre 2023), il tentativo di assassinare l’ambasciatore israeliano a Londra Shlomo Argov il 4 giugno 1982 da parte del gruppo Abu Nidal, non affiliato all’OLP. Due giorni dopo Israele avviò la cosiddetta “Operazione Pace per la Galilea”, altrimenti nota come prima guerra del Libano.
11 Gli israeliani erano disposti a rinunciare al controllo diretto su circa il 40 per cento della Cisgiordania e ad accettare che un nuovo organismo creato dagli accordi di Oslo, l’Autorità Nazionale Palestinese, gestisse gli affari interni per i palestinesi. Ma questo organismo avrebbe dovuto accettare di collaborare con l’esercito israeliano e i servizi segreti nel monitorare e reprimere qualsiasi resistenza all’occupazione. La vecchia OLP si trasformò nella nuova Autorità Nazionale Palestinese (ANP), e il leader dell’OLP, ancora Yasser Arafat, divenne il presidente dell’ANP. Gli accordi prevedevano anche la nascita di una nuova istituzione, il Consiglio legislativo palestinese, quale parlamento dell’ANP. Questo avrebbe operato parallelamente al Consiglio nazionale palestinese – il principale organo decisionale dell’OLP. La doppiezza di quest’ultima, che agì alle spalle della resistenza, ostacolò lo sviluppo di una strategia palestinese chiara e unitaria.
Già col primo governo Netanyahu (1996) furono costruiti centinaia di posti di blocco tra le aree A, B e C e tra il nord e il sud della Striscia di Gaza e tra i Territori Occupati e Israele. I famosi checkpoint in cui si violano quotidianamente i diritti fondamentali dei palestinesi, fino al punto da trasformarli in sale parto all’aperto o obitori, per aver impedito l’accesso agli ospedali. Dallo stesso governo fu poi costruita una recinzione di filo spinato attorno alla Striscia di Gaza, così da renderla a tutti gli effetti una prigione.
12 L’area A comprendeva le parti più popolose della Cisgiordania, benché non coprisse più del 18 per cento della regione. Altre due aree furono definite: l’Area B, dove Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese condividevano formalmente il potere, anche se ovviamente a governare effettivamente era Israele, e l’Area c, in cui si trovava la maggior parte degli insediamenti ebraici israeliani. L’accesso palestinese all’Area C era limitato. La Striscia di Gaza rimase indefinita, ma sarebbe stata gestita in base a principi simili a quelli dell’Area B.
Ai palestinesi fu offerta Ramallah come capitale, mentre non vi fu alcuna vera discussione sul problema dei rifugiati palestinesi. Israele accettò a parole di discutere di Gerusalemme e degli insediamenti in futuro, come ricompensa per la «buona condotta» dei palestinesi. Ma gli sviluppi sul campo fecero sì che ulteriori concessioni ai palestinesi fossero fuori discussione. Le questioni irrisolte in merito agli insediamenti provocarono violenze senza precedenti da parte dei coloni ebrei. Le fazioni della resistenza palestinese, totalmente contrarie a Oslo, risposero colpendo obiettivi civili, tra cui autobus e centri commerciali israeliani. A sua volta, l’esercito israeliano punì collettivamente la popolazione palestinese.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
