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Giù le mani dalla Siria. Fuori i fascisti dalle mobilitazioni antimperialiste

L’internazionalismo e la solidarietà fra i popoli sono la nostra arma contro le guerre imperialiste

Giù le mani dalla Siria!

Fuori i fascisti comunque camuffati dalle mobilitazioni antimperialiste!

Denunciamo la complicità e la subalternità della sinistra con l’elmetto !

La Rete dei Comunisti aderisce alla manifestazione “Giù le mani dalla Siria” indetta dal Comitato Contro la Guerra di Milano per il 20 settembre alle ore 18 in piazza San Babila.

Al tempo stesso mettiamo in guardia quanti si oppongono all’aggressione imperialista contro i popoli del Medio Oriente sull’opera d’infiltrazione delle forze neofasciste.

Forza Nuova, Eurasia, Fronte Sociale Nazionale hanno dato il loro strumentale contributo alla realizzazione della manifestazione sulla Siria il 20 settembre a Roma in piazza Montecitorio, insieme a parti della Comunità Siriana che vogliamo credere all’oscuro dell’appartenenza neofascista di alcuni oratori.

Quella dei neofascisti è un’operazione che distorce la realtà siriana e fornisce ulteriori elementi ai detrattori della mobilitazione contro l’aggressione al popolo siriano e del fronte di resistenza antimperialista.

Sosteniamo l’impegno del Comitato Contro la Guerra di Milano, che risponde all’appello “Giù le mani dalla Siria”, firmato da oltre 40 strutture e organizzazioni della sinistra di classe e del pacifismo più coerentemente indipendente dal centro sinistra.

Come Rete dei Comunisti rilanciamo l’invito a partecipare alla riunione nazionale del 30 settembre a Roma in via Giolitti 231 alle ore 10, riunione che vuole essere un momento di confronto tra le diverse strutture che condividono l’appello “Giù le mani dalla Siria” rispetto allo scenario di guerra del Mediterraneo.

E’ ormai evidente che la crisi economica sta incrementando la competizione all’interno e all’esterno delle aree valutarie europea e statunitense, delocalizzando la guerra e lo scontro nelle periferie produttive.

Il Mediterraneo, così strategico, è oggi uno dei teatri di questa lotta per l’accaparramento e il pieno sfruttamento delle risorse. In questo scenario si sono inserite le monarchie del Gulf Cooperation Council, Qatar, Oman e Arabia Saudita, che hanno investito i frutti del surplus petrolifero proprio nelle economie dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

Questo ha dato vita ad un processo che nel corso degli anni ha visto crescere e consolidarsi interessi economici e politici, tra le borghesie islamiche locali e i finanziatori di Riad, del Qatar, di Londra, di Roma e di Washington.

L’Islam politico rappresenta, in Tunisia, in Egitto e in Turchia, l’egemonia politica della borghesia locale, ognuna con un suo specifico modello di apertura al capitalismo. A entrare nella globalizzazione capitalista è il modello corporativo ed interclassista “islamico”, che nega e sopprime le differenze di classe.

Con il discorso tenuto al Cairo il 4 giugno 2009, Obama ha avviato il processo di sdoganamento dell’Islam politico, riconoscendo in primo luogo la Fratellanza Musulmana e segnando la riapertura della storica alleanza con i network islamici che era entrata in crisi con l’invasione NATO dell’Afghanistan e con l’11 settembre.

Ma l’alleanza tra i diversi network islamici sostenuti dalle petromonarchie e gli imperialismi UE e USA è una coalizione conflittuale proprio perché al suo interno convivono interessi coincidenti e divergenze.

Tuttavia questa coalizione in una prima fase è riuscita a raccogliere una serie di significativi successi.

Grazie alla vittoria elettorale islamico sunnita, ha capitalizzato le proteste sociali e politiche delle rivolte arabe in Egitto e Tunisia, ha represso la rivolta popolare nel Bahrein, ha preso il potere a Tripoli, ha espulso dall’agenda politica la Palestina (cosa molto gradita agli USA e a Israele) e ora punta alla destabilizzazione della Siria e dell’Iran.

Questa fase sembrava rilanciare un Islam politico in grado di garantire un quadro politico stabile, utile alle relazioni commerciali e allo sfruttamento di risorse da parte delle imprese straniere.

Ma le proteste sociali e politiche non si sono mai fermate.

Da giugno a settembre di quest’anno, le città tunisine di Sfax, Sidi Buoazid e Monastir sono state percorse da scioperi e manifestazioni in difesa della laicità e contro le politiche economiche del FMI e del governo dell’islamica Al Ennahda. Lo stesso anche in Egitto, dove il governo Morsi si sta scontrando con una serie di scioperi e di proteste da parte di una popolazione che sente drammaticamente il peso della crisi economica.

Sono stati i recenti assalti alle ambasciate occidentali, con l’uccisione dell’ambasciatore statunitense a Bengasi, a rendere più evidente che innanzitutto la situazione è tutt’altro che pacificata; in secondo luogo, c’è un pezzo del network islamico, fortemente radicato nella società, in conflitto aperto con l’imperialismo occidentale; terzo, questo filone islamico “salafita” è in competizione violenta anche con la Fratellanza Musulmana e l’Islam politico moderato.

Lo scontro all’interno dell’alleanza tra imperialismi e Islam politico reazionario non nega la natura neocoloniale delle politiche dell’Unione Europea e degli USA, nè rende meno reazionario il progetto dell’Islam politico sunnita e wahabita.

Sul processo che sta ridisegnando in senso neocoloniale e reazionario l’area del Mediterraneo c’è il silenzio colpevole e complice della sinistra del primo mondo. La sinistra eurocentrica è talmente vile e collusa con le compatibilità del suo imperialismo che o giustifica apertamente gli interventi neocoloniali o lavora alla smobilitazione delle iniziative contro la guerra, dichiarando che non si possono difendere le dittature….. scomode all’occidente.

Questa complicità, o nel migliore dei casi subalternità, consente al governo Monti, attraverso il suo Ministro degli Esteri Terzi, di avere una politica aggressiva non solo contro la Siria e l’Iran ma contro i paesi che confliggono con gli interessi dell’UE.

Nel momento in cui la competizione internazionale cresce, e le tensioni nel Mediterraneo sono una drammatica conferma, la classe dirigente italiana spinge per inserire sempre di più l’Italia nei meccanismi della NATO e del nascente esercito europeo, per giocare un ruolo da protagonista nella competizione internazionale; rilanciare la lotta contro la NATO e contro le aggressioni imperialiste è sempre più necessario.

La Rete dei Comunisti

 

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