I sei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) hanno deciso ieri sera di sospendere la loro mediazione per lo Yemen dopo l’ennesimo rifiuto del presidente Ali Abdullah Saleh di accettare il piano da loro proposto per una sua graduale uscita di scena, dopo essere rimasto per 33 anni a capo del governo, e dopo tre mesi di massicce manifestazioni e repressioni brutali, costate la vita ad almeno 180 persone. Il piano del Ccg, elaborato col supporto degli Stati Uniti e dell’Unione europea, prevede la formazione di un governo di riconciliazione nazionale con il concorso dell’opposizione, le dimissioni di Saleh entro un mese in cambio dell’immunità per se stesso e per i suoi familiari ed elezioni presidenziali entro sessanta giorni.
Il presidente 69nne, tuttavia, per firmare avrebbe posto nuove condizioni. Saleh ha ufficialmente ha motivato questo suo nuovo rifiuto (il terzo da aprile) con la mancata presenza dei rappresentanti dell’opposizione (che avevano firmato sabato), ai quali – in un discorso diffuso in tv – ha attribuito la responsabilità del rischio di una «guerra civile». Intanto suoi sostenitori armati si erano riversati nelle strade della capitale, già dal pomeriggio di ieri, bloccando le principali arterie e circondando l’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti, dove la diplomazia era al lavoro per mettere a punto gli ultimi passaggi dell’accordo. Una situazione difficile, a seguito della quale il segretario generale del CCG Abdellatif Zayane e l’ambasciatore degli Stati Uniti Gerald Feierstein avevano fatto ricorso all’uso di un elicottero per i loro spostamenti, mentre il capo della diplomazia degli Emirati, Cikh Abdallah Ben Zayed Al-Nahayane, si era sentito nelle condizioni di dover chiedere sicurezza per l’ambasciata e per i diplomatici.
Proprio sabato Saleh aveva definito l’accordo un «complotto», un colpo di mano condizionato «dalle pressioni e dell’agenda di paesi stranieri», accusando le monarchie del CCG di essere i finanziatori delle proteste e mettendo in guardia rispetto alla capacità di espansione di Al Qaida, in agguato per riempire il vuoto politico nel paese. E nei giorni scorsi aveva chiesto elezioni presidenziali anticipate, per evitare – aveva affermato – nuovi spargimenti di sangue. Ma alla luce di questo nuovo rifiuto dell’uomo forte dello Yemen, il Ccg ha deciso di sospendere la propria iniziativa per «la mancanza delle condizioni propizie per andare avanti», come si legge in un comunicato emesso al termine di una riunione che si è tenuta a Riad, in Arabia Saudita.
Ora Saleh potrebbe essere «cacciato dal potere» sotto la pressione delle manifestazioni di piazza, così come afferma il partito di opposizione. Tanto più che ieri sera un dirigente del partito del presidente, il Cpg, si è dimesso. Ahmed Soufane ha detto che intendeva protestare per la manifestazione tenuta ieri dai sostenitori di Saleh davanti all’ambasciata degli Emirati dove per discutere della criri erano riuniti vari ambasciatori.
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