La guerra in Libia forse è finita. I problemi non. E le divisioni tribali e religiose rischiano di provocarne, non troppo lontano nel tempo, un’altra.
Alla vigilia dell’annuncio del nuovo governo libico da parte del premier incaricato Abdel Rahim al-Kib, le fazioni islamiche dei ribelli “chiedono il conto” per il ruolo svolto nella caduta del regime di Muammar Gheddafi, nelle stesse ore in cui, dopo 25 anni, i Fratelli musulmani libici, hanno celebrato il loro primo Congresso pubblico dopo quasi 25 anni.
Il Cnt, dal canto suo, accusa il Qatar di ingerenze e di sostenere i partiti islamici nel Paese. «È pericoloso dire che il lavoro dei rivoluzionari + finito» con la caduta del regime ha detto oggi Abdelhakim Belhaj, capo del consiglio militare di Tripoli, ex leader del fronte islamico combattente ed ex detenuto di Guantanamo. «Abbiamo vinto la battaglia sul campo e ora siamo pronti per unirci alla battaglia per lo Stato, uno Stato che sia civile e moderno», ha aggiunto Belhaj, considerato uno degli uomini pi— legati al Qatar, e indicato dai media come prossimo ministro della Difesa.
Il terreno di confronto con le altre fazioni libiche è alle stelle: sul tavolo anche chi debba essere il prossimo capo di Stato Maggiore.
La “designazione” da parte di oltre 150 tra ufficiali e sottufficiali di Khalifa Haftar incontra l’opposizione del principale rivale di Belhaj, Abdallah Naker, che guida il consiglio rivoluzionario nella capitale libica, una fazione con oltre «22.000 uomini armati». «Non siamo stati consultati», denuncia Naker. Il ruolo di capo dell’esercito è una “patata bollente” per il Cnt, dopo l’assassinio a luglio di Abdel Fattah Younes, omicidio ancora “misterioso” che per alcuni sarebbe il frutto delle frizioni tra le fazioni ribelli.
Gli uomini di Balhaj puntano a svolgere un ruolo militare oltre che politico: «Abbiamo bisogno di costruire il nuovo esercito», ha detto ancora l’ex jihadista, che oggi ha officiato una parata militare a Tripoli. Continua intanto l’offensiva dei responsabili del Cnt contro il Qatar, accusata di foraggiare con soldi e armi proprio le fazioni islamiche e “sospettata” tempo fa di aver voluto catturare Gheddafi e consegnarlo nelle mani di «gruppi amici»: la notizia della morte del rais venne poi effettivamente confermata proprio da Belhaj, il 20 ottobre.
«Cercano di intromettersi in affari che non li riguardano e questo non lo accettiamo», ha tuonato oggi l’ambasciatore libico all’Onu, Abdurrahman M. Shalgam. Il diplomatico ha accusato Doha nelle scorse settimane di «voler dominare la Libia» e di essere affetta da una «sindrome stile Gheddafi» che la spinge a voler controllare l’intera regione. In questo quadro, forse non casualmente, i Fratelli musulmani libici hanno celebrato pubblicamente per la prima volta in 25 anni il proprio congresso. «È un giorno storico per noi e per il popolo libico», ha detto Suleiman Abdel Kader, il capo della confraternita. Presenti anche alcuni responsabili del Cnt. Il consiglio studia ancora se inserire nella Costituzione un richiamo alla legge islamica, forse proprio per contenere le aspirazioni delle fazioni islamiche ribelli.
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