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Libia: copti egiziani accusati di proselitismo, arrestati e torturati

Un gruppo di un centinaio circa di cittadini egiziani di fede cristiana copta sarebbe stato sequestrato in Libia e sottoposto a torture da parte di una brigata salafita di Bengasi, che ha accusato i cittadini stranieri di essere in territorio libico per fare “proselitismo”. Lo hanno riferito alcuni esponenti della comunità, che hanno postato su Facebook alcune foto che ritraggono i presunti ostaggi e hanno annunciato che le foto saranno inviate anche alle Nazioni Unite, all’ambasciata egiziana a Tripoli, al ministero egiziano degli Esteri, all’Osservatorio libico per i diritti umani e a Human Right Watch.
Secondo fonti copte in Libia, i salafiti hanno attaccato una chiesa di Bengasi all’inizio della settimana e hanno poi preso in ostaggio un centinaio di esponenti della comunità che lavorano nel paese. Le fonti hanno raccontato al quotidiano egiziano al-Ahram che, coma si vede in alcune foto, gli ostaggi sono stati rasati e le croci che alcuni di loro portavano tatuate sul corpo sono state cancellate con l’acido. “La Chiesa copta ha inviato una richiesta ufficiale di intervento al ministero egiziano degli Esteri – ha detto la fonte, a condizione di anonimato – che ha avviato negoziati con la controparte libica per risolvere la questione e ottenere il rilascio dei cristiani catturati”.
“E’ un fatto molto grave – ha commentato dall’Etiopia padre Pachomios, arcivescovo di Beheira, Matrouh e della Libia – cittadini egiziani sono stati arrestati sulla base di un semplice sospetto di proselitismo e sono stati torturati. Ma non é credibile che un centinaio di copti abbiano deciso tutto a un tratto di avviare attività di proselitismo in un altro paese”. Anche Naguib Gabriel, che guida l’Unione egiziana per i diritti umani, ha confermato la vicenda e ha accusato il governo egiziano di non fare abbastanza. “Se lo stato egiziano continuerà ad essere inattivo e non adempirà al suo dovere di garantire il rilascio dei copti catturati in Libia – ha detto – mi rivolgerò al Consiglio per i diritti umani dell’Onu affinché intervenga”.

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