Con una mossa a sorpresa, l’autorità di controllo dipendente dal ministero per l’Ambiente di Pechino ha imposto alle due maggiori aziende petrolifere cinesi di fermare l’espansione della loro capacità di raffinazione. Un provvedimento motivato dal loro fallimento riguardo il contenimento dell’inquinamento nelle acque dentro e attorno agli impianti.
Una nuova tegola sull’industria petrolifera dopo che all’inizio della settimana era stato comunicata la messa sotto inchiesta, per reati non specificati, di quattro alti dirigenti del settore.
La penalità inflitta a PetroChina e Sinopec rappresenta un’anteprima, in un contesto come quello cinese dove proprio le grandi aziende statali sono sovente “graziate” dagli enti di controllo, nonostante le denunce degli ambientalisti per mancato rispetto delle norme ambientali. Tuttavia, lo “stop” ai due colossi petroliferi è anche consequenziale all’impegno governativo a cambiare drasticamente il volto del suo apparato produttivo, complessivamente il più inquinante del pianeta, con un grave rischio per la salute di acque, terreni e, di conseguenza, per la popolazione delle aree attorno ai megaimpianti.
Secondo il ministero per l’Ambiente, PetroChina e Sinopec avrebbero mancato gli obiettivi di ridurre entro i limiti di tollerabilità “la domanda di ossigeno chimico”, un parametro che riguarda gli elementi inquinanti riversati nei corsi e negli specchi d’acqua.
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