Accolta da polemiche e proteste dell’opinione pubblica, è entrata ieri in vigore la legge sul segreto di stato. Un provvedimento controverso per gli aspetti discrezionali ma anche per la sua severità. La punizione massima prevista prevede infatti dieci anni di carcere per coloro che dovessero diffondere senza autorizzazione informazioni considerate confidenziali diramate dall’ufficio del primo ministro a strutture amministrative nei settori della difesa, degli affari esteri, dei servizi segreti e della lotta al terrorismo.
Nonostante l’impegno a rivedere punti deboli che dovessero emergere nella legge, in particolare riguardo a quali informazioni debbano ricadere nel provvedimento, proteste per chiedere il ritiro della legge sono in programma a Tokyo e in altre città del Giappone.
Intellettuali, artisti, mass media e premi Nobel si sono posti a capo del movimento che ritiene che la legge possa ora impedire la diffusione di informazioni di interesse pubblico e che il suo utilizzo arrivi a ledere diritti fondamentali dei cittadini.
Il provvedimento è stato introdotto ora, in piena campagna elettorale e nonostante le previste resistenze, perché il favore degli elettori verso il Partito liberal-democratico, sottolineato dai sondaggi, difficilmente potrà essere intaccato significativamente dalle proteste.
Perplessità anche all’estero, dove per prima era stata sottolineata la necessità di un maggiore controllo sulle informazioni riservate davanti alle molte fughe di notizie e dati sensibili senza apparentemente un contrasto efficace da parte ufficiale. La legge in vigore pone però problematiche di senso inverso con il rischio di un utilizzo parziale e di abusi. Una minaccia alla libertà di informazione per i cittadini che si affianca alle pressioni sui mass media di tendenze liberali da parte dell’estrema destra giapponese.
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