Più di una volta singole compagnie o plotoni di truppe ucraine si sono avvicinati alla linea di demarcazione che li separa dalle milizie del Donbass e non hanno aperto il fuoco. Il loro obiettivo era un altro: fare un po’ di soldi vendendo le proprie armi ai miliziani e poi denunciarne la misteriosa scomparsa o la perdita in combattimento. E sicuramente le milizie non si facevano pregare per concludere l’affare, in barba a tutti gli spergiuri di Kiev ed ella “madrina” yankee Samantha Power, sulla presenza di armi russe nel Donbass.
Nei giorni scorsi l’Osce aveva segnalato la scomparsa dal luogo di dislocazione – secondo gli accordi di Minsk, le armi e i mezzi pesanti vengono, o dovrebbero, essere ritirati dalla linea del fronte e posizionati a oltre 50 km di distanza – addirittura di un carro armato ucraino T-72, ufficialmente portato in riparazione.
Ma ora i “volontari” ucraini, così come il gatto col proverbiale lardo, si sono fatti troppo arditi: sono andati fino a Mosca a cercare di vendere un po’ di armi; e ci sono rimasti. E questa volta non si tratta di truppe regolari in cerca di soldi per sé e le proprie famiglie. Dieci neonazisti del battaglione “Azov” (in maggioranza, nazionalisti russi) sono stati arrestati nella capitale russa per importazione illegale e vendita di armi. Sembra che il ricavato del commercio servisse a finanziarie le attività del battaglione, a quanto pare a corto dei soldi generosamente elargiti – a Azov, così come a Ajdar, Donbass, Dnepr-1 e Dnepr-2 – dall’oligarca ex governatore della regione di Dnepropetrovsk Igor Kolomojskij. Ovviamente, nel viaggio da Kiev a Mosca, le possibilità di trasporto erano limitate a pistole e mitragliatori, ma pare che il contrabbando andasse avanti già da qualche tempo, tanto che agenti russi erano riusciti ad avvicinare la banda fingendosi acquirenti delle armi.
Ora, poco male se a Kiev le armi cominceranno a scarseggiare: lo zio Sam è lì apposta per rifornirne sempre di nuove.
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