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Israele reintroduce la pena di morte, ma solo per i palestinesi

La Palestina sta vedendo un riaccendersi della violenza sionista contro il popolo palestinese, in varie forme. Domenica 26 febbraio 500 coloni armati e scortati dalle forze israeliane hanno invaso alcuni villaggi a sud di Nablus, in un’azione che loro stessi hanno definito «marcia della vendetta». Il risultato è stato un altro palestinese morto, oltre 60 dall’inizio dell’anno.

Lo stesso giorno Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza nazionale del nuovo governo Netanyahu da qualche mese alla guida di Israele, ha ottenuto il via libera per una delle sue promesse elettorali, ovvero l’introduzione della pena di morte per i palestinesi definiti “terroristi”.

Il 1 marzo, il parlamento israeliano ha approvato in prima lettura e a larga maggioranza questo disegno di legge fortemente voluto da Otzma Yehudit, partito di ultradestra a cui appartiene Ben Gvir. Addirittura il partito di opposizione Yisrael Beytenu ha votato favorevole, nonostante persino la procuratrice generale Gali Baharav-Miara abbia dichiarato la norma “incostituzionale”, tanto più nel riferimento ai territori occupati.

La definizione di terrorista data è questa: chi “intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano quando l’atto è compiuto per motivi razzisti o di odio e con l’obiettivo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella propria patria”. Una dicitura con una forte connotazione nazionalistica e apertamente razzista.

Il dettato porta con sé delle pesanti contraddizioni, dato che il 20% circa di chi ha la cittadinanza israeliana è palestinese. Ma persino il Jerusalem Post ha indicato che è decisamente improbabile che un ebreo possa essere condannato a morte. Ora, comunque, il testo arriverà in Commissione Costituzione, Diritto e Giustizia della Knesset.

Intanto, esperti ONU hanno condannato la legge in quanto regressiva e Amnesty International ha sottolineato il carattere di apartheid di un tale provvedimento. Tutto questo mentre centinaia di manifestanti sono scese in piazza a Tel Aviv, insieme ad alcuni partiti di opposizione, contro la nuova riforma della magistratura e la polizia, intervenuta con idranti e granate stordenti, ha ferito 11 persone.

Probabilmente anche per distogliere l’attenzione da altre misure come quelle sulla giustizia, si sta alimentando un clima davvero teso e delicato in Palestina e nei territori occupati della Cisgiordania. L’altissimo livello di tensione rende necessario mantenere alta l’attenzione sui fatti che avvengono in quelle zone, e sostenere in ogni forma possibile la resistenza del popolo palestinese nella sua lotta per esistere.

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