Quest’anno nella calza della befana le bambine e i bambini di Roma trovano qualcosa di peggio del carbone: il Documento unico di programmazione che, in sostanza, dà il via alla privatizzazione dei servizi educativi da 0 a 3 anni. utilizzando le formule magiche del risparmio ad ogni costo il commissario Tronca ci dice, in sostanza, che i nidi comunali sono un lusso che Roma non può più permettersi.
Non ci spiega però come farebbe a costare meno affidare lo stesso servizio ai privati che, in quanto tali, devono anche garantirsi un margine di profitto, se non sacrificandone la qualità, sulla pelle dei piccoli utenti.
Il gruppo Ge.Ro.Ni.Ma. nel quale si confrontano genitori di nidi e materne di Roma esprime tutta la sua contrarietà a tale prospettiva, denunciandone la miopia economica e sociale nella seguente nota.
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Ancora una volta,
ci troviamo a dover prendere atto della totale assenza di discernimento di quanti hanno il potere di compiere scelte tanto rilevanti nel settore educativo della città di Roma. Scelte politiche che immancabilmente riescono solo a peggiorare la situazione che viviamo, in un meccanismo perverso di involuzione che non sembra mai avere fine.
Negli ultimi due anni al governo della città di Roma l’avvicendarsi dei partiti e delle cariche ha sancito un metodo estremamente efficace per risolvere i problemi: cambiar loro aspetto.
Così, ogni programmazione dell’amministrazione ordinaria della città negli ultimi quindici anni, è stata fatta seguendo il principio dell’emergenza, trasformando ogni processo organizzativo in un problema da liquidare, utilizzando la scusa del pareggio di bilancio.
Abbiamo vissuto nei nidi comunali di Roma Capitale, un 2015 incentrato su un insensato braccio di ferro che l’amministrazione pubblica ha avviato con il personale dipendente, e, tra questi, le educatrici di ruolo e precarie dei nostri figli e figlie, lotta intestina che hanno pagato i bambini e le famiglie con un servizio erogato a singhiozzo che si è immediatamente riflettuto sulle varie attività educative.
Abbiamo intuito che l’Amministrazione comunale non aveva alcuna intenzione di garantire un servizio educativo pubblico e di qualità, che tenesse insieme i diritti dei bambini, delle famiglie e delle lavoratrici, come suggeriva Loris Malaguzzi; propagandava una idea di “città a misura di bambino” ma perseguiva la logica del risparmio: la demagogia, si sa, prima o poi si infrange contro la realtà.
E così ci ritroviamo, al 4 gennaio 2016, con il Documento unico di programmazione che, in sostanza, dà il via alla privatizzazione del servizio educativo per i bambini e le bambine da 0 a 3 anni.
Nella nota diramata dal Commissario Tronca, e nel DUP, leggiamo che 7 asili di nuova apertura e 8 asili già funzionanti verranno dati in concessione ai privati..
Nel documento poi, si legge: “..Dall’analisi sistemica dei macroindicatori gestionali del servizio, risulta evidente come, soprattutto in alcuni municipi, la rete delle strutture scolastiche a gestione diretta sia ancora sottodimensionata rispetto alla domanda espressa dal territorio…”
Ci chiediamo come sia possibile asserire una cosa simile.
Nessuna analisi sistemica è mai stata svolta, il Comune non conosce nel dettaglio la quantità e la qualità del servizio che viene erogato rispetto a quanto le famiglie realmente necessitano; sono rimaste inascoltate e disattese le nostre richieste all’amministrazione, alla quale in più di un’occasione abbiamo chiesto di istituire un osservatorio, di fare uno studio, un censimento di quelle che sono le reali criticità nelle specifiche realtà territoriali.
Di quali macroindicatori stiamo parlando? Leggere il saldo tra domande evase e liste d’attesa è un’operazione banale per capire che negli asili nido a gestione diretta non ci sono posti per tutti i bambini e le bambine che ne hanno diritto.
E, quindi, la soluzione straordinaria, originale, innovativa che oggi il prefetto Tronca ci impone, tirando fuori dal cilindro idee non nuove alle nostre orecchie, già paventate da amministrazioni di destra e di sinistra:
diminuire il numero delle strutture a gestione diretta del Comune.
Ci chiediamo e chiediamo ai gentili amministratori di questa città:
che fine faranno bambine e bambini delle strutture coinvolte? E le loro educatrici?
chi gestirà concretamente le strutture e in base a quali criteri?
a chi verseranno le rette e quale sarà il costo in capo agli utenti per le 17 strutture coinvolte?
che fine fa il progetto educativo, diritto primario di tutti i bambini e le bambine di Roma?
Quale progetto per l’educazione di bambine e bambini da 0 a 3 anni?
Come gruppo, Ge.Ro.Ni.Ma. continua a parlare di “livelli essenziali” del servizio educativo; insieme ad altre realtà a livello nazionale, abbiamo ragionato sulle opportunità da garantire a questi cittadini del futuro collaborando alla stesura di una legge regionale.
Ci sono centinaia di genitori attivi e attenti a Roma e non solo. Come loro, ci informiamo e ci confrontiamo quotidianamente su rapporti educatrici bambini, su progetti condivisi scuola famiglia, su spazi di conoscenza tramite l’azione, ma tutto il nostro lavoro si scontra con una governance miope che si riempie la bocca di parole come”dispersione scolastica”, “occupazione femminile”, “welfare”, e che poi nella stesura del DUP taglia e cuce voci di spesa travasando soldi da un centro di costo ad un altro.
Come se “personale” non volesse dire donne che lavorano e non lavoreranno più e “costi di gestione” non volesse dire asili che non ci saranno più, sottraendo alle famiglie altro reddito, tempo ed energie spesi per poter inserire in un percorso educativo e scolastico i bambini.
Quali costi?
Per inciso, il Comune spende mediamente 1300 euro a bambino al mese per le strutture a gestione diretta, ne riconosce mediamente 750 alle strutture in convenzione e 600 ai privati in concessione.
Va da sé che la riduzione di spesa cui si andrebbe incontro affidando il servizio ai privati, comporterebbe necessariamente, per l’affidatario della gestione, una riduzione dei costi fissi: sul personale, sul cibo, sulla sicurezza delle strutture.
Più nidi in concessione, meno garanzie per i bambini e le bambine
Vorremmo poi chiarire un punto. Ad oggi ci risultano indietro di numerose mensilità i pagamenti delle quote dovute ai gestori dei nidi privati del sistema integrato, ci domandiamo come sarà possibile che questi vedano ancora aumentati i posti da dover offrire in convenzione comunale, ci risulta chiaro invece che le grandi realtà che gestiscono grosse fette di questo sistema integrato stiano gongolando e sfregandosi le mani.
Questo , ovviamente, nei macroindicatori non lo hanno letto, e non hanno nemmeno detto che in realtà come Firenze dove simili politiche sono state intraprese da tempo il sistema non funziona ed ha generato un aumento di spesa per l’amministrazione non un risparmio (si consulti L’infanzia non si appalta).
Ora basta. Siamo stanchi di essere continuamente vessati dalle geniali trovate dell’amministratore di turno. Quello che per loro sembra essere l’intrattenimento di un momento a noi condiziona la vita tutti i giorni e ai nostri figli segna, in maniera irrimediabile, l’approccio alla scuola e all’istruzione.
Ci sembrano quindi ormai ridicoli i ragionamenti pretestuosi dell’Amministrazione comunale, pericolosi perché riducono ancora di più le esigue risorse. In una fase come quella attuale, i servizi pubblici essenziali andrebbero migliorati,aumentando il personale e garantendo alti livelli di qualità e quantità di servizio pubblico. Questo avrebbe effetti positivi sull’occupazione, femminile e non, e ridarebbe forza e energia a chi si trova in difficoltà.
Non lo diciamo solo noi…ce lo dice, come voi recitate sempre, l’Europa.
Dalla conferenza di Barcellona in poi, le istituzioni europee chiedono un incremento dei servizi educativi al 33% per la fascia 0-3..e siamo ben lontani da questi livelli!
Abbiamo chiesto numerose volte con educazione e rispetto per le istituzioni di essere ricevuti e ascoltati, adesso ci ascolterete per forza.
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