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Eternit, una società di assassini

Su certe cose non c’è da aggiungere molte parole. Nemmeno Il Sole 24 Ore riesce a nascondere un moto d’orrore verso “imprenditori” così criminali.
 

Alla Eternit «dolo elevatissimo»
Filomena Greco

TORINO
Corportamenti gravi, un dolo di «elevatissima intensità» per un disastro che è tuttora in corso: le motivazioni della sentenza Eternit rese note ieri riaprono la ferita dei tremila morti accertati per i danni dell’amianto negli stabilimenti italiani gestiti dalla multinazionale fino agli anni 90. E rincarano la dose sulla sentenza di condanna a 16 anni per lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis de Cartier emessa dal Tribunale di Torino il 13 febbraio scorso. Lo fanno sancendo la piena responsabilità degli imputati – sapevano e nulla hanno fatto per ridurre i rischi – e la pericolosità della loro condotta, perché hanno cercato di nascondere e minimizzare gli effetti nocivi della lavorazione dell’amianto sull’ambiente e sulle persone.
Depositate intorno a mezzogiorno, le 713 pagine compilate dal collegio giudicante, presieduto dal giudice Giuseppe Casalbore, ripercorrono le tappe del processo, la storia industriale del l’Eternit, la normativa italiana sui rischi da amianto, la distribuzione del “polverino”, le ragioni del riconoscimento del dolo, la pericolosità della condotta dei due condannati in relazione ai reati di disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Reati riconosciuti per i siti di Casale Monferrato e Cavagnolo, entrambi in Piemonte, caduti in prescrizione, invece, per Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).
«Se si può affermare che il protrarsi dell’evento disastro allunga il periodo di consumazione del reato, ecco allora che i fatti accaduti nei siti di Cavagnolo e Casale Monferrato presentano caratteristiche di gravità e pericolosità tali da mantenere in vita un disastro tuttora in atto». Questo principio, ribadito nelle motivazioni della sentenza, aveva caratterizzato l’intero impianto accusatorio della Procura di Torino e aveva “guidato” le indagini del pool coordinato dal sostituto procuratore Raffaele Guariniello, affiancato dai pm Sara Panelli e Gianfranco Colace.
Un disastro che ben conoscono i familiari delle vittime e degli ammalati di mesotelioma – la patologia più grave provocata dall’amianto, in incubazione fino a quarant’anni – che fanno capo all’associazione Afeva, visto che il territorio paga ancora un prezzo molto alto: 1.300 i casi stimati in Italia, 58 quelli segnalati nel solo comune di Casale nell’ultimo anno.
«Le motivazioni della sentenza – sottolinea Davide Petrini, docente di diritto penale presso l’Università del Piemonte Orientale ed avvocato di parte civile – contengono una ricostruzione storica molto approfondita sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti e sanciscono le responsabilità dei due manager». Entrambi consapevoli dei rischi derivanti dalla lavorazione dell’amianto. «De Cartier e Schmidheiny si sono direttamente occupati degli stabilimenti Eternit italiani – sancisce il documento – sono risultati perfettamente a conoscenza delle condizioni in cui tali stabilimenti si trovavano, della pessima qualità dei relativi ambienti di lavoro, della pericolosità delle specifiche lavorazioni, dell’elevatamortalità degli operai e dei cittadini che ne derivava, delle richieste – sempre più pressanti – che le organizzazioni sindacali avanzavano e mai nulla hanno fatto o hanno preteso che i responsabili dei singoli stabilimenti industriali facessero per migliorare tali condizioni». Sapevano, dunque, e non hanno fatto nulla per limitare rischi e pericoli. Anzi, elemento di «maggiore pericolosità» è il fatto che «gli imputati hanno cercato di nascondere e minimizzare gli effetti nocivi per l’ambiente e le persone derivanti dalla lavorazione dell’amianto, pur di proseguire nella condotta criminosa intrapresa». Una intensità del dolo, però, commenta Astolfo Di Amato, legale di Schmidheiny, «inconciliabile con il fatto che negli anni di gestione Schmidheiny non ha percepito profitti, ma ha investito 73 miliardi. Non si investe per commettere una strage».

La sentenza completa:


LA VICENDA

Gli anni della produzione
Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato fu inaugurato nel 1907 e rappresentò il più grande stabilimento di manufatti in cemento-amianto dell’intera Europa. Venne definitivamente chiuso nel 1986 e nel ’92 (legge n. 257/1992 ) lo Stato italiano mise al bando l’amianto. Lo stabilimento fu abbattuto nel 2005.
Le denunce e le prime cause
Sin dagli anni 70 si sviluppò un contenzioso medico-legale portato avanti dalle associazioni sindacali. Nel 1981 la prima causa civile contro Eternit e Inail; nel 1993 la causa penale contro i dirigenti Eternit.
Il processo
Il 22 luglio 2009, dopo 5 anni d’indagini della Procura di Torino, scattò il rinvio a giudizio dei due responsabili della multinazionale svizzero-belga, Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier de Marchienne. La prima udienza del processo si è svolta il 10 dicembre 2009, il processo è durato complessivamente oltre due anni; 66 le udienze.
La sentenza
La condanna è stata pronunciata lo scorso 13 febbraio. Ai due imputati 16 anni per i reati di disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche.
I risarcimenti
La “provvisionale” concessa dal collegio giudicante presieduto da Giuseppe Casalbore ammonta a circa 90 milioni: 25 al Comune di Casale, 20 alla Regione Piemonte, 15 all’Inail, 5 all’Asl di Alessandria, da 30 a 60mila euro per vittime, ammalati e familiari.

 

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