Si pensa di distruggere le case per continuare a tenerci fuori da esse. Succede in Spagna. Già fatto in Irlanda. Ci si sta pensando in Italia, mentre i movimenti urbani lottano contro l’uso capitalistico della città.
In questi ultimi anni le gru hanno iniziato, in numero sempre maggiore, a far parte del panorama urbano. Nelle nostre città è stato frequente, ovunque, incontrare torri e braccia di acciaio. Sembravano sfidarsi tra loro a sollevare e posare materiali edilizi. Si è costruito, così, tanto. Andando a vedere da vicino scopriamo che il numero delle abitazioni, in Italia, raggiungere quota 25 milioni. Ognuna di queste risulta, statistiche alla mano, occupata da 2,42 persone. Una percentuale, in Europa, seconda solo al Portogallo. Molte delle finestre di queste case non sono state, però, mai aperte. Un dato fuori dall’indicatore statistico. Le case vuote rendono evidente, oggi, di cosa sono fatte le città colpite dalla crisi. L’invenduto e l’inoccupato edilizio è divenuto il loro panorama distintivo.
Un enorme e indefinito patrimonio immobiliare fatto da case che, saltando fuori dal terreno, addossandosi tra loro, quasi a vergognarsi per l’effetto che tirandosi su sapevano di provocare, ha dilatato le periferie urbane, facendone luoghi desolati. Case su case. Senza servizi e infrastrutture. Senza abitanti. A Roma questo bilancio “conta” 250 mila alloggi invenduti. Mentre è stimato in 50 mila il numero delle famiglie in difficoltà abitativa. Che farne di tante case vuote?
A Roma, come nelle altre città europee, occuparle e chiedere di usarle, oltre ad essere una risposta socialmente assolutamente “compatibile” per assicurare, a tutti, il diritto alla casa, è uno degli obiettivi caratterizza, la lotta dei movimenti per l’abitare. Un tema diventato “centrale” se riferito alle trasformazioni in atto nelle nostre città; a quanto sta succedendo negli spazi ridefiniti dallo strapotere del capitale finanziario, in cui ci condannano a vivere. In quegli spazi politici in cui circondano la nostra vita con case che, pur esistendo, in realtà sono diventate oggi gli indicatori di veri e propri deserti sociali e urbani. In quegli spazi politici in cui lottiamo per affermare il diritto alla città.
Di questo ha parlato il Workshop “le lotte per il diritto alla casa” all’european meeting Agora 99 (Roma 1-3 novembre) ipotizzando strategie per riappropriarsi di case da cui un sempre maggior numero di famiglie viene cacciato o tenuto fuori; di come opporsi alle modalità accaparratrici messe in atto nella gestione della crisi dal dominio del capitalismo finanziario. Tutto questo demolisce la stessa idea di città in tutta Europa. Una prima risposta comune, e le lotte in Spagna come in Italia o Grecia lo hanno dimostrato molto bene, sta nel pensare come il problema della casa non possa essere affrontato in modo disgiunto da quello della città.
E’, infatti, intorno al “costruito”, a questi nuovi panorami edilizi, messi su privando masse sempre più numerose di persone di ogni diritto alla città, che si sviluppa il conflitto. Anche in Italia.
Tra i movimenti sociali che puntano al suo utilizzo e, con esso, ad un grande progetto di riconversione delle nostre periferie, con l’utilizzo di spazi e immobili per nuovi servizi, attività produttive e culturali e chi, il Governo, che quale esecutore di ordini altrui, vuole continuare a non interrompere i processi di rendita privata, a dismettere il patrimonio pubblico consegnando al mercato, insieme agli immobili, il decidere di cosa fare delle città.
E’ così che la domanda iniziale : che farne di tante case vuote? va ora precisata. Se l’invenduto edilizio fosse destinato a dare un tetto a tutti quelli che ne hanno la necessità, resterebbero molti immobili, ancora, vuoti. Cosa farne? e soprattutto, avremo il tempo per farlo?
Infatti, è quello che sta iniziando ad avvenire in Spagna – é già è avvenuto in Irlanda – si pensa a distruggere le case private che non si possono vendere. Per continuare a tenere fuori dalle case un sempre maggior numero di persone e a mantenere l’esclusione abitativa coatta di larghi segmenti della popolazione. Distruggere quelle case che, con la loro presenza, non permettono di far crescere una domanda diviene ora la nuova modalità operativa nella gestione della crisi. Sta succedendo, per ora, in Spagna che, da ormai oltre cinque anni, vive una fase di pesante crisi in seguito allo scoppio della bolla del mattone. Si è arrivati ad avere circa 800 mila case invendute. Le banche si sono ritrovate nei loro portafogli circa 150 mila case che, dopo aver strappato a chi aveva disinvoltamente circuito per farle comprare e aver condannato gli stessi ex proprietari a risarcire “a vita” quella parte del mutuo che non erano riusciti a pagare, per altro valutato con i prezzi “gonfiati” del tempo della vendita e non del valore crollato di oggi, non riescono a vendere.
Per salvare il sistema bancario spagnolo, che rischiava di venire travolto il Frob (fondo statale per la ristrutturazione del sistema bancario) alla fine del 2012 ha creato una ”Bad Bank” , la Sareb (Sociedad de Gestión de Activos procedentes de la Reestructuración Bancaria), alla quale trasferire gli attivi bancari in sofferenza, in gran parte costituiti proprio da mutui su immobili già pignorati e con chi quelle case abitava gettato per strada. Per assicurare alla Sareb di agire in condizioni di assoluta prudenza e assicurarle comunque ulteriori profitti durante i 15 anni previsti per la propria attività, gli attivi le sono stati trasferiti dalle banche con uno sconto medio del 63% sul valore stimato in bilancio. La Banca di Spagna stima che gli attivi bancari da trasferire ammontino a 61 miliardi. Oggi la Sareb gestisce 107 miliardi di crediti immobiliari (76 miliardi relativi ad alloggi vuoti, 6,3 a immobili in affitto e 14,9 per suoli edificabili) e ha nel suo portafoglio 106.000 proprietà: 55.700 sono appartamenti, 30.000 garage e magazzini, 15.000 terreni. Di questi l’80% è considerato di possibile trasformabilità urbana. Fanno parte del tesoretto inoltre: alberghi, magazzini, centri commerciali e uffici.
Un ingente patrimonio che, tuttavia, non riesce a garantire la redditività prevista. La crisi e le difficoltà di concessione dei mutui stanno mettendo in seria difficoltà l’attività della “bad bank”, che non può concedere prestiti. Le banche, poi, non erogano mutui. La dirigenza di Sareb, ribattezzato dalla Piattaforma abitativa come “malo banco”, sta pensando a nuove formule per contenere i costi di gestione, compresi i quelli relativi alle manutenzioni degli immobili e dei condomini. Oltre a quella di sviluppare il settore delle locazioni, tra le ipotesi che vengono fatte vi è anche la cessione dei crediti a grandi investitori, come le assicurazioni. Poiché sono centinaia di migliaia gli immobili invenduti in Spagna, la concorrenza è, quindi, enorme.
Contemporaneamente, attratti dagli affari a prezzi di sconto, arrivano nei paesi del bacino del Mediterraneo – oltre alla Spagna quindi anche Italia e Portogallo – fondi internazionali e investitori istituzionali. Nel primo semestre 2013 gli investitori internazionali hanno dominato le operazioni per almeno il 60% dei volumi in Spagna, Italia e Irlanda contro il 40% di un anno prima. Questi investitori sono interessati a proprietà immobiliari di lusso. Per quanto riguarda la Spagna, la Sareb si prepara a mettere sul mercato un portafoglio selezionato di proprietà immobiliari di lusso. Si tratta di ville e abitazioni di prestigio del valore complessivo di 38 milioni di euro. La denominazione dell’ operazione è Paramount. Le proprietà si trovano a Madrid, Barcellona, Costa del Sol, Costa Blanca, alle Baleari e nell’isola di Maiorca. Si tratta di location turistiche ambite dai compratori internazionali, nonché di abitazioni nelle due principali città spagnole. Nella provincia di Huesca è in vendita un castello ristrutturato di 900 metri quadri. 500 mila euro per una costruzione, dell’XI secolo, che è considerata di interesse culturale nella Regione di Aragona e comprende quattro torri fortificate. A Málaga una villa di 400 metri quadri, composta da sei camere da letto, tre salotti, cucina, terrazze e piscina si vende a 485 mila euro. Accanto a queste dimore di lusso resta però lo spettro dei volumi di immobili parcheggiati sul mercato abitativo in attesa di un acquirente. Si stima che sia fra le 675 mila e le 815 mila unità, a cui va aggiunto circa mezzo milione di nuove case in costruzione.
E qui la Sareb ha avuto un’idea “rivoluzionaria” per risolvere la crisi del settore edilizio: le case invendute, nuove, non ancora completamente ultimate vengono demolite! Sono state stanziate risorse per 103 milioni di euro per procedere con le demolizioni. La loro ubicazione è mirata chirurgicamente a individuare quelle che non trovino domanda sul mercato e i cui costi di manutenzione sono per i contribuenti più gravosi di quelli di demolizione.
Fra le sue rivendicazioni, la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (Pah) propone che la Sareb ceda gli alloggi ai Comuni, per gli affitti a canone sociale, soprattutto nelle località dove è forte la necessità di case per la popolazione colpita dalla crisi economica. La Sareb sembra intenzionata a tirare dritto, forte di quanto già sperimentato in Irlanda.
In questo paese, già nel 2009, si era ricorsi ad una bad bank per ripulire il sistema bancario dai titoli spazzatura. L’agenzia Nama (National Asset Management Agency) una bad bank statale, aveva acquistato 81 miliardi di euro di asset tossici con uno sconto del 47%. Contemporaneamente si imponeva alle banche irlandesi stringenti vincoli sulla qualità del proprio patrimonio. I responsabili sono gli stessi che altrove: le banche, che hanno prestato soldi tossici, il governo, che ha permesso che la bolla immobiliare si gonfiasse a dismisura e i grandi imprenditori edili, che si sono messi in tasca un gruzzolo enorme costruendo case che rimarranno per lo più disabitate, «ghost estates» complessi abitativi fantasma vengono chiamati. Fra il 1995 e il 2005 in Irlanda, paese di 4 milioni e mezzo di abitanti, si sono costruite 553 mila nuove abitazioni, attualmente il 15% di esse risulta vuoto. Ecco così che si ricorre ad un programma di demolizione delle “eccedenze” ad iniziare da un gruppo di 1850 edifici fra quelli che erano stati affidati alla Nama.
L’eccesso d’offerta è un problema anche per il mercato italiano dove sono presenti gli stessi sintomi. Le compravendite quest’anno si sono attestate intorno alle 400 mila unità. Mai così basse dagli anni 90. Il legame fra le nostre banche e gli immobili in sofferenza fa si che anche in Italia stia prendendo piede l’idea di una bad bank per assorbire i crediti in stato di insolvenza. Un’ idea, che si sta studiando per rispondere agli “inviti” di Banca Italia che pressa sugli istituti bancari per spingerli a “svalutare” gli immobili che gravano sui loro bilanci. L’esempio di Sareb sembrerebbe fare anche al loro caso anche perché, conferendo un patrimonio edilizio ad un terzo che ha come compito d’istituto quello di venderlo, in un colpo solo si “salvano” i bilanci, si possono ricomprare dalla bad bank quegli stessi immobili a un prezzo stracciato, demolirli e costruire sulle loro macerie quello che si vuole. Per continuare ancora a strangolare, a forza di finanza creativa, la nostra vita urbana.
Con buona pace di chi ancora parla di urbanistica, partecipata o dispotica che dir si voglia, i movimenti, lottando contro l’uso capitalistico della città, che si vuole distruggere per farne uno spazio per l’espandersi di una crescita economica che non intende fare prigionieri, usando le trasformazioni urbane, hanno preso un altro passo. In Italia come in Spagna. Il 9 novembre Roma e Madrid si parlano.
* urbanisti, Roma
Questo articolo è stato pubblicato anche su Dinamopress.it
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