Mentre gli esponenti più in vista del governo giallo-verde facevano rumore (sulle spalle degli immigrati) per gettare fumo negli occhi, il ministro Tria, più lontano dai riflettori, ha rilasciato dichiarazioni molto illuminanti su reddito di cittadinanza, taglio delle tasse e, cosa che non ci sorprende, robuste e salutari dosi di austerità.
In campagna elettorale, la Lega e il Movimento 5 Stelle si erano scagliati, a parole, contro i legacci impostici dai Trattati europei e si erano spacciati per coloro che avrebbero invertito la rotta e combattuto l’austerità. Le dichiarazioni di Tria chiariscono in maniera clamorosa che i partiti al governo non faranno nulla di tutto ciò, come anche i media più allineati hanno iniziato a capire: la gestione Tria non è indirizzata verso un cambio di rotta delle politiche economiche. Questa non è una novità, quanto piuttosto la conferma di una tendenza ormai di lungo periodo: questo Governo, su ciò che conta davvero, è in continuità con quelli che lo hanno preceduto.
Lo stesso Tria ci dice che l’attuazione del programma di governo “richiede di agire sia sulla composizione delle entrate fiscali che sulla spesa. La nostra discontinuità rispetto al precedente governo non sarà sul livello del deficit ma piuttosto sul mix di politiche”. Come si può tradurre questa dichiarazione in termini economici?
Da un lato, Tria ci conferma quel che sospettavamo. Al di là dei propositi bellicosi sbandierati in campagna elettorale, il livello del deficit resterà lo stesso. È ben noto come la rinuncia alla leva di politica economica del deficit pubblico, dovuta ai vincoli europei, sia non solo criticabile in quanto tale visti i suoi effetti su crescita e occupazione, ma anche controproducente se pur si volessero conseguire gli obiettivi di politica economica propri della Commissione Europea, quali l’abbattimento del rapporto debito/PIL.
Ma in pratica, e qui viene il punto che vogliamo commentare, cosa vuol dire “mix di politiche” a deficit invariato? In poche parole, vuol dire che il Governo darà con una mano e prenderà con l’altra.
Se ci si concentra soltanto sulle dimensioni del deficit, sembra che non ci siano miglioramenti, ma neanche peggioramenti dal punto di vista delle politiche economiche. In realtà, anche a deficit invariato si può fare di peggio per l’occupazione e per i lavoratori, variando la composizione della spesa pubblica o del deficit. La differenza tra spesa pubblica e gettito può essere distribuita diversamente tra investimenti, trasferimenti, spese correnti e tagli alle tasse. Una diversa composizione può comportare un diverso effetto sull’economia in termini di produzione e quindi occupazione. Al riguardo, la letteratura empirica ci dice che i moltiplicatori fiscali degli investimenti pubblici sono generalmente più alti di quelli riguardanti la tassazione e i trasferimenti. Un aumento della spesa pubblica fa crescere il reddito nazionale, ma il contenuto di quella spesa conta: le stesse risorse hanno un effetto espansivo maggiore se vengono destinate ad aumentare gli investimenti pubblici e non a ridurre le tasse. Ma è questo il piano del ministro Tria?
Andiamo a cercare di capire quale possa essere la composizione della spesa che possiamo aspettarci. Sottolineiamo ancora una volta che Tria ci dice che l’obiettivo del pareggio di bilancio non verrà messo da parte: ciò vuol dire che continueremo a sottrarre risorse all’economia, inanellando avanzi primari (ovvero differenze positive tra prelievo fiscale e spesa pubblica, al netto degli interessi per il debito pubblico) per pagare gli interessi sul debito. A livello di composizione, dalle dichiarazioni del ministro si evince come l’obiettivo sia quello di recuperare, a saldi finali invariati e tramite tagli alla spesa corrente, i miliardi per finanziare gli investimenti pubblici. Anche questo è un mantra che Tria riprende dai suoi predecessori. Potrebbe quindi sembrare che, pur perseverando nella follia suicida dell’austerità, la ricomposizione della spesa vada nella giusta direzione: sì, lo stimolo complessivo non avviene in deficit, però si tenta di contenere la spesa corrente per finanziare degli investimenti, che hanno effetti espansivi elevati.
Come si evince dai grafici (dati AMECO, miliardi di euro), dal 2009 la spesa per investimenti pubblici in Italia è crollata, mentre la spesa per servizi (senza comprendere le pensioni) è rimasta ferma. La prosecuzione su questa strada sarebbe disastrosa per le condizioni dei lavoratori italiani. Direte voi: ma questi sono i vecchi governi, quello attuale è il governo del cambiamento! Il problema è che sembra che la ricomposizione della spesa che il ministro Tria ha in mente sia perfettamente coerente con quella dei suoi predecessori: il piano che si prefigura, infatti, è quello di un ulteriore attacco alla sanità, dopo che sul fronte pensioni la Fornero ha già fatto il suo.
Proviamo a delineare un quadro di ciò che potrebbe prospettarsi nei prossimi anni. Tria è impegnato a riportare il bilancio pubblico in pareggio. Abbiamo un forte sospetto, corroborato dalle dichiarazioni del Ministro e di altri esponenti del Governo: la ricomposizione del bilancio pubblico potrebbe essere realizzata mediante tagli alla spesa sociale che finanzino il reddito di cittadinanza e la flat-tax, invece che gli investimenti.
Cosa trarre, quindi, da questo piccolo affresco? Se tutto va secondo i piani, il governo Salvini – Di Maio, mediante Tria, potrebbe proporci un pacchetto di politica economica indirizzato a:
- non dare all’economia italiana alcun forte stimolo fiscale, visto il vincolo del pareggio di bilancio che continuerebbe perciò a penalizzare la domanda interna;
- tagliare ulteriormente le spese sociali, contribuendo quindi allo smantellamento dello stato sociale;
- utilizzare le risorse così recuperate al fine di finanziare flat-tax, ossia un taglio delle tasse che serve a gonfiare i profitti, e reddito di cittadinanza, un trasferimento che funge da indesiderabile sostitutodi un vero stato sociale universalistico.
Come se il quadro non fosse già abbastanza nero, ricordiamo di nuovo che una politica basata su tasse e trasferimenti è molto meno benefica per l’economia di una basata sugli investimenti. Il ministro Tria però vuole fare le cose per bene, e quindi oltre al danno vuole aggiungere la beffa: a una redistribuzione verso i profitti e a un duro colpo allo stato sociale vuole aggiungere una manovra col minore impatto possibile in termini di rilancio dell’economia. Ovviamente il buon Tria è economista avveduto e sa bene che la piena occupazione spaventa il profitto: un motivo in più per evitare accuratamente misure che possano creare nuovi posti di lavoro. Non c’è quindi altra scelta, per i lavoratori, se non quella di opporsi politicamente in maniera strenua a una tale miscela venefica in particolare per le classi sociali più deboli.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa