Qualche giorno fa è stato approvato in Senato il DDL 1345, un ulteriore tassello aggiunto per il recepimento delle direttive europee in materia di tutela ambientale.
Teoricamente, con tale provvedimento viene inasprito il contrasto ai delitti contro l’ambiente attraverso l’introduzione nel codice penale di quattro nuovi reati: il delitto di inquinamento ambientale (inquinamento durevole); il delitto di disastro ambientale (inquinamento irreversibile); il delitto di traffico ed abbandono di materiale di alta radioattività e il delitto di impedimento del controllo.
Sicuramente uno strumento legislativo in più per punire chi devasta i territori a vario titolo, in ottemperanza del principio del “polluters pay” (chi inquina paga), sbandierato in sede europea come principio guida per la tutela dell ambiente, e necessario per preservare il livello minimo di qualità ambientale che permetta una protezione minima per la sostenibilità dell’ecosistema e di conseguenza per la salute umana.
Sta di fatto, però, che la valutazione e la definizione dell’ecoreato, o del delitto ambientale come lo si voglia chiamare, rimane contorta e davvero poco pragmatica. “Alcuni articoli inseriti del DDL sono sono arricchiti di tecnicismi scientifici prestati alla materia giuridica che lasciano un po’ perplessi”. Ad affermarlo è stato Sergio Costa, comandante del Corpo Forestale dello Stato che indaga sulla responsabilità degli inquinatori nella Terra dei Fuochi.
Le norme introdotte si prestano in molti casi ad interpretazioni alquanto aleatorie, mentre le procedure per la misurabilità del danno ambientale e l’identificazione del colpevole rimangono contorte e molto poco dinamiche.
Il nuovo di DDL inoltre si riferisce solo a casi di inquinamento “abusivi”, il che aggiunge un ulteriore discriminante a difesa di chi inquina. Come dire “posso inquinare fino a un certo limite, e fintanto che non so ufficialmente che quanto sto facendo è dannoso per l’ambiente”. Se poi esiste un’approvazione alla produzione di una tale sostanza inquinante, il termine “abusivo” diventa un salvacondotto penale per le grandi industrie responsabili dei disastri ambientali nel nostro Paese.
Inoltre, per ogni singolo caso, si dovrebbe prima stabilire che il danno sia significativo (concetto ancora oggi non meglio definito e soggetto quindi a interpretazione). Poi si deve misurare il danno avvenuto (accertando quindi che l’inquinamento sia stato causato proprio dal caso in analisi e non da eventi precedenti o concomitanti), e solo a questo punto si puo avviare la causa penale. Senza tener conto che gli imputati stessi possono contare su indagini “private” per la propria difesa.
A questo punto può essere passato talmente tanto tempo che il reato puo essere già caduto in prescrizione. Come puntualizzato anche dal procuratore di Torino Raffaele Guariniello “oggi, se potessimo ricominciare il processo Eternit da capo, finirebbe allo stesso modo. La Cassazione ha stabilito che il reato si consuma quando avviene l’evento. E l’evento, nel caso Eternit, è datato 1986, quando la società ha smesso di produrre. I supremi giudici hanno anche detto che il nostro processo era prescritto prima ancora di cominciare. E questa legge non modifica il principio”.
Quindi non è il caso di esaltare più di tanto il DDL appena approvato, che dovrebbe servire a punire chi ha devastato i territori, ma che di fatto non aiuta ne serve a punire chi si è arricchito sulle spalle della costa tarantina con l’Ilva, o ai danni del delta del Po con la centrale di Porto Tolle, ne tanti altri responsabili della morte e della malattia di migliaia di vite.
Questa nuova norma, pubblicizzata e polemizzata “democraticamente” sui mainstream, rappresenta sostanzialmente che la conferma che lo strumento legislativo oggi serve sempre di più a sancire il peggioramento delle condizioni di vita delle persone e dell’ambiente, più che al loro miglioramento, mantenendo impuniti i delitti piu gravi e predisponendo sempre una via di fuga per i veri responsabili.
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