Se Prometeo avesse previsto la piromania, forse non avrebbe mai donato il fuoco agli uomini, evitando, probabilmente, fastidiose pene ai propri organi vitali.
Mitologia a parte, da oltre 20 giorni, l’Italia brucia senza pausa. Gli incendi riguardano quasi esclusivamente il Mezzogiorno: i Vigili del fuoco sono ormai impegnati a fronteggiare centinaia di interventi quotidiani.
I danni sono incalcolabili: in Abruzzo, per esempio, buona parte della pineta dannunziana è andata in fumo; nelle ultime ore sull’Aspromonte stanno incenerendo faggi secolari; le fiamme hanno devastato anche la Sardegna, la Sicilia, la Puglia, il Molise.
Purtroppo, dal 2017, è solo in capo ai Vigili del fuoco l’attività di spegnimento degli incendi, ossia da quando la grande manovra di accorpamento del corpo forestale ai carabinieri, targata Renzi-Madia, è gradualmente entrata in vigore. Di questi roghi solo il 2% è stato provocato da cause naturali, mentre quasi il 60% è stato causato volontariamente dalla mano dell’uomo.
Piromani seriali? Talvolta. Ma anche qualche volontario in divisa, come affermano dal coordinamento antincendio boschivo dei vigili del fuoco, e, soprattutto, interessi di vario tipo.
Difficile pensare a qualcuno interessato al cambio di destinazione d’uso dell’area colpita: secondo l’articolo 10 della legge 353/2000, infatti, le zone boscate colpite dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella precedente per i successivi 15 anni, anche se “è consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente (…), ma non la realizzazione di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civici e attività produttive”.
Le ammende previste dalla legge erano calcolate ancora in lire. Ad ogni modo, niente fotovoltaico in sostituzione degli alberi distrutti. È molto più plausibile, quasi scontato, che dietro ci sia la mano delle mafie, come si evince anche dal rapporto annuale Ecomafie di Legambiente.
Già l’anno scorso, comunque, oltre il 60% dei reati di incendio di aree boschive si sono registrati nel sud Italia. Necessario risulta il lavoro di prevenzione con il coordinamento degli enti preposti: pattugliamento dei boschi, controllo delle aree, maggiormente le più esposte, la pulizia, il ripristino e il potenziamento dei cosiddetti ‘tagliafuoco’, ovvero di quei sentieri, magari già esistenti. Ma questa è un’altra storia.
Quanto costa spegnere un incendio boschivo? Per un’ora di volo di un Canadair si possono impegnare circa 5.000 euro; gli elicotteri, invece, variano dai 2.000 dell’AIB (Anti Incendio Boschivo) ai 10.000 del potentissimo Erikson.
In tale flotta, tra le più grandi esistenti, i Canadair attivi sono 19 e 12 gli elicotteri, dislocati su 14 basi in altrettante regioni: si calcola che solo la gestione complessiva dei Canadair ha avuto un costo annuo per lo Stato di 55 milioni, almeno secondo i dati forniti fino al 2017.
Tenendo conto anche del consistente numero di ore di volo e delle spese annesse, un incendio può ‘bruciare’ anche 100mila euro al giorno. Migliaia e migliaia di ore per milioni di euro. Al netto dei costi ambientali seguenti e dei danni alla natura, per i quali ci vorrebbe un reportage ad hoc.
Ma chi gestisce quei Canadair e quelle entrate?
Da quello sciagurato 2017, nemmeno tanto lentamente, si sono inseriti i privati. Si tratta di 7 aziende, di cui 6 italiane e una multinazionale britannica, la Babcock, operante in Europa, Canada, Sudafrica, Australia e Oman. Corporation quotata al London stock Exchange, è il secondo fornitore del ministero della difesa del Regno Unito, e oltre a supportare progetti dei sottomarini di Spagna e Corea del Sud, questa multinazionale focalizza la propria strategia anche sul mercato del nucleare civile.
La Babcock ha in gestione i 19 Canadair, mentre le 6 aziende italiane si occupano degli elicotteri. Tra esse ci sono la piemontese Heliwest, fondata dai fratelli Pierdomenico e Giuliano Lastone (di proprietà delle figlie), che tra le sue attività annovera trasporto passeggeri, trasporto carichi esterni, osservazioni, controlli avvistamenti, riprese foto-cinematografiche, trattamenti aeragricoli. Tuttavia, lo spegnimento degli incendi è il core business della società, come si evince dalla presentazione nel sito ufficiale.
Piemontese è l’Airgreen, che si occupa anche delle attività di ricerca e rilevamento di possibili presenze di idrocarburi nel sottosuolo, sia on-shore, sia off-shore. La società, che stupisce per il proprio capitale sociale di 10.400 euro, è nata nel 1986, ma è solo dal 2000 che si occupa di spegnimento incendi. Vanta contratti pluriennali con le Regioni Piemonte e Sardegna ed è unico offerente nei bandi del 2009 e 2014 della Valle d’Aosta.
Altra società attiva nello spegnimento degli incendi è la Star Work Sky S.a.s di Giovanni Subrero, con sede in provincia di Alessandria, che non effettua voli panoramici in nessuna regione del sud Italia.
Ancora piemontese è l’Eliossola che si occupa anche di montaggi civili e industriali, e di costruzione e manutenzione degli impianti idroelettrici. L’amministratore unico della società è Massimo Caccini.
Il bando del 2015, indetto dalla Regione Friuli è andato prima deserto e, poi, è stato aggiudicato dalla Elifriulia, che giocava in casa. Attualmente gestita da Annamaria Coloatto, è l’operatore elicotteristico più longevo d’Italia, con un fatturato di 8 milioni di euro: nel 1971, quando venne fondata dal padre Luigi, si occupava dello spargimento delle sostanze chimiche in campo agricolo. Un autentico filantropo sostenitore della salute pubblica, insomma. Poi, il mercato lo ha promosso nell’ambito dell’antincendio boschivo per renderla una società stabile e solida. Si capisce.
Con sede in Valtellina, invece, la Elittellina, ultima delle 6 aziende italiane che stanno spegnendo gli incendi boschivi; 550 dipendenti, fa parte di Pegasus Aero Grups, gruppo aereonautico internazionale, con diverse filiali nel mondo.
Oltre all’azienda lombarda, fanno parte del gruppo la Pegasus Aviación, con sede a Cordoba in Andalusia; P. offshore, P. south America con sede in Cile; il centro di simulazione Seilaf di Siviglia e la fondazione Sebastián Almagro Castellanos, pilota militare del periodo franchista. L’amministratore delegato della filiale italiana è Enrico Carraro. Tutte aziende del nord per incendi, sovente dolosi, da spegnere al sud.
Nel 2015, la procura di Palermo ha concluso le indagini ai danni di alcuni degli amministratori citati (tra cui Carraro, Coloatto e Pierdomenico Lastone) con il sequestro di beni equivalenti a 12 milioni di euro, per una maxitruffa, la cui vittima era l’assessorato al territorio della Regione Sicilia.
L’associazione temporanea d’impresa (ATI) con cui si riunirono e vinsero la gara d’appalto fu l’unica partecipante, con requisiti, a quanto pare, falsi. I reati contestati, difatti, riguardavano truffa ai danni dello Stato, turbativa d’asta, falso in atto pubblico, inadempimento nelle forniture, mentre il patrimonio boschivo siciliano andava in fumo.
Pochi anni dopo, a intervenire è stato l’Antitrust e l’autorità garante del mercato per un’altra faccenda. Pare che dal 2000, anno in cui praticamente i 7 gruppi si sono convertiti all’antincendio, queste società avrebbero costruito un cartello, all’interno del quale veniva scelta l’azienda che doveva aggiudicarsi l’appalto, con ribassi decisamente ridicoli: si sarebbero spariti 197 milioni di euro.
Nel 2019, la condanna in primo grado prevedeva una multa di 67 milioni di euro, dei quali 50 a carico della Babcock. Tra i 43 bandi incriminati c’è anche quello vinto dalla Babcock nel 2011 con la Protezione Civile del santo laico Bertolaso.
Tutto questo racconto serve a fare un’ulteriore valutazione dell’atteggiamento del capitalismo non solo italiano: la mano regolatrice del mercato non è così invisibile. Tutt’altro. È visibile e regola irregolarmente, senza morale. È una mano sporca che trova con furba furbizia scorciatoie, sotterfugi, in barba a qualsiasi legge, o norma di convivenza civile.
È una mano scorretta che predica enfaticamente competitività come fondamenta della vita economica e razzola pratiche arroganti ed egemoni: in Italia il cartello delle ‘aziende spegnenti’ è di fatto un monopolio.
È una mano bruciata e bruciante, in attesa di distruggere vita per tutelare i soli profitti, i propri. Tutto con capitale pubblico di base, senza rischi. Anzi, con soli benefici.
La plasticità dell’azione del capitale è qui evidente: gioca sulla drammaticità delle catastrofi occupando ogni campo libero; divora ogni bene naturale e comune. Si sostanzia finanche sulla morte delle piante e degli animali. Più brucia, più ci sono ore di attività, più crescono le azioni, più aumenta il PIL. Più profitto e meno ossigeno.
Prevenire gli incendi significherebbe guadagnare meno. E questo si aggiunge alle numerose dimostrazioni di quanto questo modello di produzione e di profitto non può essere più sostenuto dalla Terra. Il capitalismo non solo non è equo, ma non è compatibile con la vita umana.
Con un certo sadismo, il capitale ha necessità delle disgrazie, umane e ambientali. E se non ci fossero più incendi? Allora, bisognerebbe inventarli.
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