Alla COP26 di Glasgow il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ammoniva “Basta con l’estrazione mineraria… stiamo scavando le nostre tombe”. Oggi iniziamo a comprendere la portata di una simile affermazione, perché, al di là dell’aumento vertiginoso dei costi dell’energia, i combustibili fossili servono anche a molto altro nella nostra società.
Significano fertilizzanti per l’agricoltura, ma anche materie plastiche, come imballaggi, bottiglie d’acqua, cateteri. Significano propilene, un sottoprodotto della lavorazione del gas naturale e della raffinazione del petrolio, che troviamo nelle custodie per gli smartphone, nell’abbigliamento fitness, nelle suture mediche, nei contenitori per alimenti, nei mobili e negli elettrodomestici e naturalmente nelle mascherine chirurgiche.
E la lista sarebbe ancora molto lunga perché la scomoda verità è che i prodotti petrolchimici sono onnipresenti e indispensabili.
La scarsità di combustibili fossili crea problemi nelle supply chain globali e ad altre filiere
Al di là dell’impiego nella generazione elettrica e come combustibile per automotive, il metano è tra i più importanti feedstock per la produzione di idrogeno, di ammoniaca e fertilizzanti, le industrie chimica, petrolchimica, farmaceutica e alimentare. I fertilizzanti, in particolare, sono prodotti in larga parte a partire dal gas.
La scarsità di combustibili fossili crea quindi problemi nelle supply chain globali e ad altre filiere, a partire da quella alimentare. Come il petrolio e il gas naturale, anche il carbone viene impiegato come feedstock in diversi processi industriali. Viene ad esempio gassificato in ammoniaca e utilizzato per la produzione di fertilizzanti. In Cina, circa i tre quarti dell’urea prodotta utilizza il carbone come materia prima.
E proprio la Cina, il principale fornitore di fertilizzanti a livello globale, ha vietato le esportazioni di fertilizzanti e ha esortato le compagnie estrattive del carbone a rispettare i contratti firmati con i produttori nazionali di fertilizzanti. O nel processo siderurgico dove il 70% dell’acciaio prodotto utilizza il carbone metallurgico.
La Cina e il carbone
Il loro abbondono come fonte di energia pone enormi sfide tecnologiche sul fronte industriale oltre che energetico, da valutare con concretezza e senso della misura. Come quelle che si possono riscontrare nelle parole di Wang Zhongying, direttore dell’Energy Research Institute della NDRC, pronunciate anch’esse durante la COP26 con riferimento alla politica cinese sul carbone:
“What we talk about now is exiting coal [consumption], not exiting the installed capacity [of coal power generation]…What we need to do now is to further constantly lower the operating hours of installed coal power, while keeping the power system operating smoothly, safely and efficiently. And here, ‘efficiency’ means to accommodate more [renewable energy].”
Parole che assumono un significato importante, perché anche la Cina sta sperimentando gli effetti di una crisi energetica i cui effetti colpiscono l’economia reale: l’anno scorso, l’Impero di Mezzo ha registrato il più grande aumento del consumo totale di energia (+5,2% su base annua) in un decennio e per soddisfare l’aumento della domanda ha prodotto il 5,7% in più di carbone e ne ha importato il 6,6% in più rispetto al 2020.
Ma non è bastato e secondo alcuni analisti la crisi è stata causata da uno squilibrio nel settore del carbone cinese e probabilmente anche con la complicità degli obbiettivi del 13° piano quinquennale (13FYP, 2016-2020) e della politica energetica del “doppio controllo”: introdotta dal governo centrale nel 2015 per regolare il consumo energetico totale e l’intensità energetica (energia per unità di PIL) della nazione.
Il 13° piano quinquennale richiedeva una riduzione dell’intensità energetica del 15% entro il 2020 rispetto al 2015 e che il consumo totale di energia rimanesse al di sotto dei 5 miliardi di tonnellate di carbone equivalente standard (Gtce) entro il 2020. Per rispettare gli obbiettivi annuali alcune province hanno dovuto limitare il consumo di elettricità per poterli raggiungere.
Dal 13° al 14° piano quinquennale
Per scongiurare il rischio di penalizzare le imprese energivore fino all’extrema ratio del razionamento, nel 14° piano quinquennale (14FYP, 2021-2025) la politica del “doppio controllo” è stata modificata in termini più funzionali agli obbiettivi della crescita economica del paese spostando l’attenzione dal consumo di energia al controllo delle emissioni di carbonio.
Per alleggerire la pressione sulle imprese che utilizzano combustibili fossili come materie prime, si è provveduto anche a scorporare a livello statistico le emissioni di carbonio per usi energetici da quelle associate ai feedstock, anche se l’impatto è limitato e l’impiego energetico del combustibile e le emissioni di carbonio nel processo di produzione e lavorazione delle materie prime sono ancora rigorosamente vincolate.
La minore pressione sull’industria dovuta alle restrizioni energetiche sembra confermata dalla crescita della produzione industriale, che ha registrato una crescita del 7,5% tra gennaio e febbraio 2022. Per il 2022 i responsabili politici si sono impegnati a ridurre le interruzioni delle attività economiche consentendo una maggiore flessibilità proprio nella politica del “doppio controllo”.
Di conseguenza, la produzione di energia è aumentata del 4% tra gennaio e febbraio 2022 e sono stati autorizzati altri cinque progetti di centrali elettriche a carbone per un totale di 7,3 GW nelle sole prime sei settimane del 2022.
Inoltre, il pianificatore statale cinese (la Commissione nazionale per la riforma e lo sviluppo, NDRC), ha anche approvato tre nuovi progetti di estrazione del carbone su larga scala nello Shaanxi e nella Mongolia interna, per un totale di 19 Mt (megatonnellate) di capacità annuale di estrazione.
Scelte che detto hanno una matrice industriale oltre che puramente energetica, le cui implicazioni non si possono semplicemente trascurare, come invece paiono fare molti ecologisti europei. Ne è esempio il caso britannico dove gli ecologisti, pur privi di un’alternativa tecnologica, si sono scagliati contro il governo reo di aver autorizzato una miniera di carbone metallurgico nella Cumbria.
La multidimensionalità della sicurezza
Vale quindi tener presente la lezione cinese, quella del pragmatismo che invita a “consolidare il nuovo prima di eliminare il vecchio”. Nelle parole di Xi Jinping dell’agosto 2021: “non possiamo buttare via i nostri vecchi strumenti prima che siano arrivati quelli nuovi”.
Se con la guerra ucraina si è levato a gran voce il mantra che vuole più rinnovabili per rafforzare la nostra sicurezza energetica e svincolarci dal gas russo, bisogna anche tener presente le varie facce della sicurezza, a partire da quella alimentare su cui forse più di tutte la guerra produrrà ripercussioni negative che preoccupano Pechino.
Anche in questo caso è utile rifarsi alle parole di Han Zhen, membro del Comitato permanente del Politburo e vice-premier della Cina: “Dobbiamo (…) garantire la sicurezza energetica, la sicurezza della catena di approvvigionamento della catena industriale e la sicurezza alimentare riducendo al contempo le emissioni di carbonio, in modo da garantire la normale vita delle masse”.
* ingegnere minerario e autore del volume Energia verde? Prepariamoci a scavare, ed. Montaonda. Da Rivista Eenergia
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