Che la questione ambientale fosse una questione di classe, e che non possa essere risolta all’interno di un sistema che alle sue fondamenta vede una contraddizione insanabile tra profitto e natura è ormai cosa evidente, almeno a chi non vuole chiudere gli occhi.
Ma l’ultimo rapporto pubblicato da Oxfam sul tema, dal titolo Carbon Inequality Kills, dà anche una proporzione della distanza tra le emissioni di un miliardario e di un lavoratore qualsiasi. E di come una reale transizione ecologica debba essere accompagnata dalla giustizia sociale.
Secondo lo studio, l’anidride carbonica prodotta da un miliardario in un’ora e mezzo è maggiore rispetto a quella prodotta da una persona comune in tutta la sua vita. Ciò deriva dall’utilizzo di aerei privati e yacht, ma anche dagli indirizzi di investimento.
Ponendola con altri numeri, le emissioni delle 50 persone più ricche del mondo sono maggiori di quelle del 2% più povero della popolazione mondiale. Ma anche allargando lo sguardo, il nodo di fondo rimane un Occidente che ‘preda’ il ‘budget’ di emissioni del resto del resto del mondo.
Secondo vari studiosi, infatti, per avere anche solo il 50% di possibilità di restare entro il limite dell’aumento di temperatura di 1,5° rispetto all’epoca pre-industriale, non si può eccedere un certa quantità di CO2. Questo budget di emissioni, a questo ritmo, verrà raggiunto nel 2029.
Ma l’altro elemento che viene sottolineato è che oggi è il 10% più ricco della popolazione mondiale a produrre il 50% delle emissioni, e all’1% ne sono attribuibili il 16%. Secondo gli ultimi conteggi, essi si identificano in pratica con chi possiede un patrimonio milionario.
Oltre alla quantità di gas serra, vi sono altri danni connessi, che colpiscono in particolare i paesi a basso reddito. Nel rapporto di Oxfam si legge che gli effetti sul clima contribuiscono “a enormi perdite di raccolto e causano milioni di morti in eccesso”.
“Per mantenere il mondo al di sotto di un aumento di 1,5°”, scrivono nello studio, “è necessario che le emissioni dell’1% più ricco diminuiscano del 97% entro il 2030”. Ciò significa intervenire in maniera diretta su questo piccolo segmento della popolazione, che rimane sempre intoccabile.
Il legame tra le tematiche sociali e quelle ambientali viene sottolineato con forza da Oxfam, e soprattutto come le asimmetrie di potere impattino sulla ‘impronta ecologica’. Secondo l’organizzazione, la gente ordinaria e quella a basso reddito non hanno molto controllo sulle proprie scelte energetiche.
Al contrario, le scelte di investimento dei più ricchi sono la voce col maggior peso sull’inquinamento. “I ricchi”, scrivono, “non sono solo i maggiori responsabili di emissioni in virtù dei loro investimenti, ma anche perché le emissioni dovute agli investimenti sono una questione di scelta”.
Ciò su cui mette in guardia il rapporto Oxfam è riassunto in una frase molto esplicita, a pagina 8, ed è che non esiste giustizia ambientale senza giustizia sociale: “non si può evitare il collasso climatico senza ridurre l’eccessiva concentrazione di ricchezza di una ristretta élite”.
La questione di fondo rimane una questione di potere, come già detto. Finché le scelte di investimento rimarranno in mano ai privati, e dunque saranno scelte fondate sull’opportunità di profitto, non ci sarà modo di virare verso una trasformazione che guardi ai bisogni della collettività.
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