Hebron (Cisgiordania), 27 ottobre 2012, Nena News – Nei territori occupati, per importanza religiosa, è seconda solo a Gerusalemme. Per gli arabi Hebron si chiama Al Khalil, per Israele, Hevron. Ma il nome che più le si addice è Gost Town, la città fantasma.
Hebron e’ il centro abitato più grande di tutta la Cisgiordania. Qui vivono 170.000 palestinesi e 500 coloni, o “settlers”. Qui sono sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe, i Patriarchi delle origini. Questa è l’unica località, in tutta la West Bank, dove gli insediamenti israeliani, i “settlements”, sono proprio all’interno del centro storico. E le provocazioni sono quotidiane. Le finestre delle case palestinesi sono chiuse da grate, per fermare i sassi e gli oggetti che vengono lanciati contro di loro.
Decine di checkpoint e centinia di telecamere sono sparse ovunque, la presenza dei militari israeliani è massiccia. Le strade sono divise, scuole diverse, negozi diversi. Sulla via principale che taglia in due Al Khalil, la Suhada street, i palestinesi non possono camminare né circolare con i loro veicoli.
Chiusi i negozi, saldate le saracinesche: cosi muore una delle città più belle e più antiche del Medioriente, con i suoi palazzi secenteschi, le facciate in pietra finemente lavorate.
Dopo la Guerra dei Sei giorni, un gruppo di ebrei che si fingevano turisti, guidati dal rabbino Moshe Levinger, occupò un hotel, rifiutando di lasciarlo. Il processo di espansione della presenza ebraica in quella da loro definita la “città dei patriarchi” o degli “avi”, è proseguito in modo esponenziale, di pari passo ai disordini e alle violenze. Nel 1997 – 3 anni dopo il massacro nella moschea di Abramo, quando Baruch Goldstein, un colono ultrasionista aprì i lfuoco e uccise 29 musulmani in preghiera – la città venne divisa in due parti: H1, sotto il controllo palestinese, e H2, ovvero il centro storico con i principali edifici religiosi, sotto il controllo israeliano.
Il territorio si marca con la bandiera. E se quelle israeliane continuano a diffondersi ovunque, quella palestinese continua a sventolare sul tetto della sede di Youth against settlements, il movimento di pacifisti che quotidianamente, in questa città massacrata dall’odio, cerca di rispondere alla violenza e alle nuove occupazioni con la resistenza passiva. Ai divieti con le manifestazioni disarmate. “La non violenza è l’unica strada in questo contesto”- spiega Issa Amro coordinatore del movimento – “noi studiamo quali sono le strategie dei coloni, le nuove case che intendono occupare. Cerchiamo di far capire alle famiglie palestinesi che non sono sole. E cerchiamo di far sapere all’estero quello che succede qui”. La sede s itrova sulla collina di Tel Rumeida, proprio di fronte ad un insediamento israeliano sorvegliato h24 dall’esercito.
“Quando abbiamo inziato eravamo in due, io e Issa” ricorda Badja Dweik, “ora siamo in tanti e continuiamo a crescere”. E’ qui che vengono ricevute delegazioni di attivisti provenienti da tutto il mondo e quotidianamente i volontari organizzano corsi che coinvolgono ragazzi e ragazze del posto e spesso anche bambini. “Qui insegnamo l’inglese, l’ebraico ma, soprattutto, insegnamo loro a difendersi con la telecamera e la macchina fotografica” racconta Issa.
“Le telecamere sono le nostre pistole”, incalza la giovane Sundus, volontaria. “Solo cosi possiamo dimostrare le aggressioni che subiamo quotidianamente, perché una nostra dichiarazione, davanti alla polizia o davanti a un giudice, non ha lo stesso peso di quella di un israeliano”.
“I palestinesi non corrisondono all’immagine distorta che ne continua a dare lo Stato di Israele”, spiega Tamer al-Atrash, volontario che al centro tiene corsi di inglese. “Sono un essere umano, proprio come te. Voglio vivere e divertimi, non restare isolato epr tuta la vita, circondato da un muro. Questo significa che i palestinesi non accetteranno mai di convivere con questa occupazione!”
Nena News
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