Si è conclusa la storica disputa sui confini marittimi fra Israele e Libano che nel giugno stava per condurre ad un’escalation fra Hezbollah e lo stato sionista, con tanto di droni di avvertimento inviati dal movimento sciita sulle aree contese (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2022/07/10/libano-anche-il-gas-riapre-la-tensione-tra-israele-e-hezbollah-0150940).
Le trattative sono state portate avanti grazie alla mediazione di USA e Turchia e si sono concluse con una sostanziale spartizione delle porzioni di territorio marittimo in cui sono presenti giacimenti di gas offshore, con i giacimenti Karish che vanno ad Israele e quelli adiacenti Qana al Libano.
Ovviamente, come sempre accade in questi casi, da entrambe le parti si rivendica una vittoria.
Il Premier israeliano Lapid, più che l’accordo in sé, sul quale viene attaccato dalle opposizioni in quanto si tratterebbe di un cedimento alle minacce di Hezbollah, rivendica che esso va visto come un successo diplomatico in quanto rappresenterebbe un riconoscimento informale da parte del Libano nei confronti di Israele, nel solco di quanto sta avvenendo nel mondo arabo dagli accordi con gli Emirati Arabi Uniti in poi: “Non tutti i giorni capita che uno stato nemico riconosca lo stato d’Israele, in un accordo scritto, di fronte all’intera comunità internazionale”, ha affermato.
In effetti, sembra questo il punto politico principale dell’accordo, intorno al quale gli USA e la Turchia si sono impegnate per spingere Israele ad accettare un compromesso: far sì che esso diventi un primo passo verso la normalizzazione dei rapporti fra i due paesi.
Dal punto di vista dello sfruttamento pratico dei giacimenti, d’altronde, il Libano non pare assolutamente avere le carte in regole per poterli sfruttare in breve tempo in maniera tale da trarne beneficio per alleviare le sofferenze del proprio popolo ed incidere positivamente nella crisi economica. Quali soggetti statuali e quali compagnie aiuteranno il paese nelle perforazioni e nell’estrazione di gas sarà un’altra partita rilevante che si giocherà inseguito.
Tornando all’aspetto politico di più immediate ripercussioni, in Libano non mancano di certo parti dell’esercito, della magistratura e delle forze politiche che in passato hanno collaborato apertamente con Israele fino alla sua cacciata dal sud del paese nel 2000 e, da allora, continuano a farlo di nascosto; tuttavia, dallo stato centrale non è mai venuto alcun riconoscimento ufficiale di legittimità dell’esistenza dello stato d’Israele.
Attualmente, è forte l’idea che, oltre agli apparati appena menzionati e all’estrema destra cristiana, detentrice della maggioranza relativa nel parlamento appena eletto, anche le tecnocrazie ai vertici dell’esecutivo uscente spingano esattamente nella direzione di sfruttare l’accordo sui confini marittimi come chiave per cominciare trattative di normalizzazione.
Non è, ovviamente, d’accordo Hezbollah. Il Segretario Generale Nasrallah ha affermato che l’accordo “costituisce una vittoria storica per il Libano, il suo popolo e la sua resistenza”, in quanto, a suo dire, sono state accolte il 95% delle richieste del Libano. Egli ha inoltre annunciato la fine della mobilitazione militare speciale messa in atto dal movimento sciita in preparazione di un eventuale conflitto ed ha rimarcato che, durante le trattative, “nel corso di alcune notti siamo stati veramente sull’orlo della guerra”.
Sul significato politico dell’accordo, Nasrallah ha puntualizzato:” In tutto quanto accaduto, il Libano non ha dato nessuna garanzia di sicurezza. Il nemico ha riconosciuto i rapporti di forza.” Lapid “vuole esagerare la portata dell’accordo dicendo che si tratta di un riconoscimento di Israele. Ma l’accordo è un fatto tecnico, non politico”. Poi, rivolgendosi ancora a Israele, ha rivolto le consuete minacce: “Vi sbagliate se pensate che la Resistenza, in Libano è stata dissuasa dall’attaccare. La Resistenza si sta comportando in maniera saggia e ferma. Ma quando sarà necessario entrare in guerra, la Resistenza lo farà”.
Il Presidente della Repubblica uscente, Michael Aoun, ha fatto eco alle parole di Nasrallah, sottolineando che il ruolo di Hezbollah nella vicenda, comprese le minacce militari tramite droni poste in atto, è stato un elemento di deterrenza fondamentale. Al contrario, il Primo Ministro uscente Mikati aveva criticato aspramente il movimento sciita in quanto, con le sue azioni militari, si poneva fuori dal quadro delle trattative imbastite dal governo.
Le contraddizioni, nel campo libanese, rimangono apertissime e si stanno inasprendo in questi giorni, in cui si è giunti alla solita situazione di stallo nella formazione del nuovo esecutivo e nell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Tuttavia, dal punto di vista formale, Hezbollah ed Aoun hanno fatto segnare un punto a proprio favore nel protocollo di firma dell’accordo marittimo: non vi è stato, infatti, alcun incontro diretto fra le due delegazioni ed i documenti sono stati firmati in luoghi separati e su fogli separati.
Ciò avvalora che effettivamente, trattative ufficiali di normalizzazione dei rapporti fra gli stati non sono cominciate.
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Mustapha dakhloul
it’s not israel, it’s The Occupied Palestine*
moreover this issues should be discussed with the Palestinian people because they are the only ones that have the rights to make the dialog and to cofirm