Sonallah Ibrahim è uno dei grandi scrittori in lingua araba. E’ intervenuto a Roma alla Settimana della cultura egiziana in svolgimento (12-16 novembre) presso l’Università “La Sapienza” su organizzazione dell’Ufficio Culturale dell’Ambasciata d’Egitto. In sintonìa con l’impegno letterario di una vita ha parlato del proprio rapporto con una scrittura che attraverso storie e persone racconta la grande nazione egiziana. Una vera missione rivolta alla società e alla verità che negli anni Sessanta gli costò il carcere. Di quel periodo lontano ma vivissimo (oggi è un settantacinquenne che appare molto più giovane dell’età anagrafica) dice “Anche quand’ero in galera usavo soprattutto le parole. Il mio fisico fragile non mi permetteva di contrappormi in altro modo alla violenza e alle prepotenze praticate dai secondini e da qualche detenuto comune”. Della Primavera del suo popolo sottolinea due aspetti: l’andamento pacifico, nonostante la repressione durissima e dolorosa, e la costante presenza femminile. Afferma “Le nostre ragazze e le adulte sono state presenti in tutti i 18 giorni della rivolta e nei mesi seguenti. Hanno subìto pestaggi, torture, uccisioni. Ora il nuovo regime vorrebbe mettere da parte questi fatti. Viviamo una fase di apprensione attorno alle figure femminili. Il pericolo d’una regressione nei costumi è reale”.
Qual è il problema? “Se diamo uno sguardo alla nostra storia recente ci ricordiamo che durante il periodo di Nasser le donne avevano una presenza massiccia nella vita pubblica, ricoprivano ruoli manuali, intellettuali, rappresentativi. Anche allora c’era chi sosteneva l’idea che il ruolo femminile fosse esclusivamente quello domestico, ma Nasser controbatteva affermando: “Il lavoro della donna è un diritto, un obbligo, un onore”. Con Sadat le cose sono retrocesse anche in relazione a due fenomeni che avrebbero dovuto rafforzare il ruolo femminile. Invece… Parlo della considerevole migrazione di manodopera maschile nei Paesi del Golfo che fece scoprire alle donne, rimaste sole, la loro indipendenza e la loro forza. Non solo crescevano i figli ma dirigevano la famiglia e la sostenevano col lavoro interno ed esterno alla casa. Al ritorno in Patria i mariti trovarono donne indipendenti e risolute che interagivano nelle decisioni familiari. L’uomo che avrebbe potuto inorgoglirsi del fenomeno lo temette e assunse in troppi casi posizioni di chiusura a quest’emancipazione che lo Stato laico avallava. Alla chiusura contribuì il contatto con le posizioni d’un Islam conservatore, d’impianto wahabbita acquisito nelle nazioni del Golfo. Sotto Mubarak il corto circuito fra i generi s’è acuito”.
Lei cosa fece? “Come scrittore mi sono chiesto: che devo scrivere? In quel periodo c’era un controllo assoluto con una repressione totale della condizione pubblica e privata dei cittadini. Ciò che mi faceva più pena erano le menzogne, molto diffuse sui media. Così mi ricordai il mito della “principessa coraggiosa”. Il mito raccontava di questa giovane principessa che era alla testa dell’esercito arabo che battè i romani. Volevo scrivere un romanzo che proponesse un confronto fra il passato e la situazione dell’epoca di opposizione a Mubarak. L’idea era: una donna egiziana molto colta assieme a un gruppo di attivisti acquista un camion nel quale inserisce strumenti elettronici capaci d’intralciare i programmi televisivi per correggerne il tiro e ridicolizzare la propaganda del raìs. Durante un discorso del Presidente doveva subentrare un’interferenza che chiedeva: che fine ha fatto tutto il denaro delle casse statali? Ma la mia inesperienza in materia tecnologica mi fece recedere dal progetto per non incappare in errori grossolani. Fu una storia conosciuta per caso nel 1992, durante un viaggio presso il Sultanato di Oman, a ispirare il mio modello di donna coraggiosa. In quel Paese fra il 1965 e ’75 c’era stata una rivoluzione fomentata da gruppi di giovani arabi guidati da ragazze. Ho cercato maggiori dettagli sulla vicenda ma non ne seppi di più, mi dissero solo che il sultano aveva commesso patricidio e soffocato la rivolta. Furono dei francesi, che avevano sostenuto la ribellione, a fornirmi del materiale che servì per la stesura di Warda”.
E per l’immediato futuro cosa pensa?“Le donne sono state molto presenti nelle rivolte del 2011, secondo me nessuna volontà politica e religiosa potrà più tenerle fuori dalla vita pubblica”.
Nato nel 1937 al Cairo, dove tuttora vive, Sonallah Ibrahim ha compiuto studi di legge e di teatro diventando poi giornalista. Fu arrestato dal 1959 al 1965 con l’accusa di far parte di un’organizzazione marxista, scarcerato tornò a scrivere per dei quotidiani in Egitto, Libano, Germania Est. Per un periodo studiò cinema a Mosca. Dal 1974 s’è dedicato esclusivamente alla letteratura. Fra i vari premi e riconoscimenti ricevuti quello “Ibn Rushd per la libertà di pensiero” dell’Istituto Goethe di Berlino del 2004 gli resta particolarmente caro. Fra le sue maggiori opere ricordiamo: La commissione, Quell’odore, Zat, Warda, Amrikanlì.
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