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“L’11 settembre in Cile fu una frattura storica di enormi proporzioni”

Una intervista a Sergio Grez Toso, Laureato in Storia alla Scuola di Studi Superiori di Scienze Sociali di Parigi ed attuale coordinatore del Dottorato di Storia dell’Universidad de Chile, che ha concentrato la sua opera sugli studi storici sui movimenti sociali, afferma che il posto che compete al Golpe Militare di settembre del 1973  “… rappresenta una frattura storica di grandi proporzioni. In primo luogo è  stato il culmine del fallimento del modello sviluppista basato sulla sostituzione delle importazioni, che era in crisi già da molto tempo, dalla fine degli anni ’40, e che non è riuscito a togliere il Cile dal suo carattere di paese dipendente primario-esportatore. La crisi finale è precipitata dalla metà degli anni ’60 a causa della grande pressione sociale dei settori popolari, cosa che a sua volta ha generato una resistenza feroce delle classi dominanti e del capitale transnazionale, principalmente nordamericano, che si sono sentiti fortemente minacciati nei loro interessi”.

Qual è stato l’impatto e la trasformazione a livello dello Stato?

Il Golpe e la dittatura hanno significato la fine dello “Stato Assistenziale” che si era instaurato progressivamente in Cile dalla metà degli anni ’20, e che sul piano politico si caratterizzava come “Stato di Compromesso”. Questo tipo di Stato è stato sostituito violentemente, letteralmente a ferro e fuoco, con lo “Stato Sussidiario”, che tende a sbarazzarsi dei suoi ruoli economici e sociali, per depositarli in mano all’iniziativa privata, lasciando al libero gioco delle forze economiche e del mercato la soluzione dei problemi economici e sociali. La dittatura ha significato molte cose, come, per esempio, perdite di diritti storici dei lavoratori e delle classi medie, taglio brutale delle libertà e instaurazione, in una prima fase, di una dittatura terrorista militar-imprenditoriale, che ha proceduto a una profonda trasformazione del sistema capitalista cileno, il cui risultato è la società neoliberista che abbiamo ancora oggi.

Come ha danneggiato il protagonismo storico del movimento popolare?

Anche questo ha rappresentato una frattura enorme rispetto allo sviluppo del movimento popolare in Cile, che era in un processo costante –anche se non lineare- di accumulazione do forze dalla fine del XIX secolo, che si è visto brutalmente interrotto a causa del Golpe e della Dittatura. Dalla metà degli anni ’30, i settori politici maggioritari della sinistra raggruppati nel Partito Socialista e nel partito Comunista, avevano optato per una via pacifica, parlamentare, di carattere riformista, con una partecipazione sistematica alle elezioni per conquistate spazi di potere nelle istituzioni. Politica il cui culmine è stato il governo di Salvador Allende, massima espressione di questa linea di sviluppo politico.

Il golpe è stata una sconfitta strategica del movimento dei lavoratori, del mondo popolare in generale e della sinistra politica in particolare. Quello è stato esattamente uno degli obiettivi dei golpisti, che non aspiravano solo a farla finita con un governo le cui misure ledevano i settori egemoni, ma cercavano anche di infliggere una sconfitta al movimento operaio e popolare dalla quale non potesse riprendersi che dopo moltissimo tempo. Magari, nelle aspirazioni dei golpisti, doveva essere definitiva.

In un’ipotesi di storia controfattuale,  quale sarebbe stata l’evoluzione del processo popolare e lo sviluppo della crisi senza mediare il Golpe militare?

È sempre azzardato fare storia controfattuale, ma quel modello di economia e di Stato doveva arrivare a una crisi finale prima o poi. Se non era nel 1973 sarebbe stato molto poco tempo dopo, perché un anno dopo ci siamo trovati in una crisi mondiale attanagliata dallo shock petrolifero che presto ha prodotto grandi sommovimenti in tutto il mondo.

È pure evidente che, indipendentemente dalla soluzione d’ingegneria politica che si sarebbe voluto dare alla crisi politica del ’73, per esempio attraverso la convocazione del plebiscito che pensava di fare il Presidente Salvador Allende, questo non implicava necessariamente lo smantellamento volontario del movimento popolare. È difficile pensare, in questa storia controfattuale, che un accordo tra la UP –o una sua parte- e la DC, avrebbe significato automaticamente che i lavoratori che occupavano le fabbriche, i fondi e imprese di diverso tipo le avrebbero consegnate con facilità. È difficile immaginare che una serie di organismi che si auto-concepivano come germi di potere popolare, come cordoni industriali, consigli contadini, comandi comunali e anche le JAP e altri di segno più moderato, si sarebbero disintegrati e avrebbero abbassato le loro rivendicazioni ed azioni motivati da un accordo tra le cupole politiche. Non è affatto certo che a quel livello del processo politico certi accordi tra cupole avrebbero messo fine alla crisi, poiché le esigenze popolari non si limitavano a rivendicazioni di tipo corporativista o economico, ma erano di carattere politico, perché quello che era al centro del dibattito era il tema del potere.

Come si può spiegare la radicale violenza del Golpe Militare?

La prima cosa da puntualizzare è che il grado di violenza della dittatura in Cile non è stato maggiore della violenza perpetrata dalla dittatura in Argentina o in altre dell’America Latina. Questo ha a che fare con questioni di contesto politico e simbolico. In primo luogo perché l’esperienza precedente il golpe era molto più radicale di quella dell’Argentina. In Cile non si trattava della proposta di un nuovo ciclo populista com’era stato il nuovo arrivo al governo del peronismo all’inizio degli anni ’70, ma di un progetto che cercava di sgombrare la strada per una costruzione socialista. Le bandiere di lotta e gli obiettivi del movimento popolare e del governo di Salvador Allende erano molto più ambiziose e radicali che in qualsiasi altro paese della regione. Inoltre, sul piano simbolico, c’è il bombardamento della Moneda. Il Golpe di stato in Cile si è svolto in un solo giorno alla fine del quale le Forze Armate hanno avuto il controllo totale del paese. In Cile si è esercitata una violenza e brutalità molto concentrata nel tempo e nello spazio geografico che ha avuto un alto impatto simbolico e mediatico in tutto il mondo.

Si può affermare, secondo i presupposti di Walter Benjamin, una violenza fondatrice?

Effettivamente è stato così. Una componente della radicalità della violenza ha a che vedere con l’elemento neoliberista che le élites pensanti della classe dominante cilena, formate alla scuola di Chicago, incubavano dalla seconda metà degli anni ’50. Questo pensiero, lavorato per quasi due decenni, ha generato un progetto estremamente radicale di destra che proponeva una vera rivoluzione capitalista.

Per renderlo realtà era imprescindibile usare metodi che non lasciassero alcuna possibilità di reazione a coloro che erano colpiti da queste misure. Era inconcepibile credere che cambiamenti tanto drastici nel sistema sanitario, nell’istruzione, la previdenza sociale e i diritti del lavoro potessero realizzarsi con “metodi democratici”. C’è un legame diretto tra l’istaurazione del modello economico neoliberista e la violazione massiccia dei diritti umani. L’ipocrisia dell’élite politica neoliberista consiste nel separare una cosa dall’altra. Frequentemente ascoltiamo o leggiamo analisi fatte da rappresentanti della destra classica e della stessa Concertacion che stabiliscono una divisione tra gli “aspetti buoni” della dittatura, la modernizzazione dell’economia, e gli “aspetti cattivi”, la violazione dei diritti umani. L’”opera” della dittatura è un blocco indivisibile. Una parte, la trasformazione economica neoliberista, non avrebbe potuto realizzarsi senza l’altra. Le violazioni sistematiche e massicce dei diritti umani, la violazione delle libertà e l’instaurazione di una dittatura terrorista erano la condicio sine qua non per l’attecchimento delle trasformazioni neoliberiste nel contesto dello sviluppo politico cileno degli anni ’70.

Dopo la Dittatura Militare, che evoluzione ha avuto la destra politica?

La destra cilena si è mimetizzata grazie alle caratteristiche che ha avuto la transizione alla democrazia –patteggiata, limitata, vigilata- e con l’inestimabile aiuto dei governi della Concertacion, che sotto pretesto del “dialogo repubblicano”, dell’”amicizia civica” e della “governabilità, hanno permesso la ripulitura della destra che era stata associata alla dittatura. Una parte della destra tradizionale ha preso una certa distanza dalla dittatura e l’altra ancora la rivendica. Entrambe convivono negli stessi partiti, RN e UDI. Questa destra ha potuto trasformarsi e rifarsi una sorta di verginità politica. A tal punto che la destra tradizionale ha potuto vincere le elezioni presidenziali del 2010 e si è eretta a principale garante del modello.

Che ruolo hanno oggi i militari?

Dopo l’uscita dalla scena politica di Pinochet, si sono andati ritirando a poco a poco dalla sfera pubblica, si mantengono come potere di fatto, si incentrano nel loro ruolo di garanti dello Stato nazionale e del sistema sociale che impera in questo Stato-nazione, come ultima salvaguardia in caso di nuova necessità.

Che ne è stato della figura del soggetto rivoluzionario?

Il soggetto trasformatore oggi non è chiaro né evidente, non è univoco. Continuo a pensare che il principale soggetto di trasformazione potenziale sono i lavoratori, i salariati, ma non esclusivamente loro. Per esempio, ci sono i Mapuche che vivono nelle loro comunità nel Wallmapu, che lottano per recuperare i loro diritti. Ci sono anche gli studenti che sono emersi come forza considerevole. Bisogna abbandonare la ricerca del soggetto messianico portatore dell’emancipazione, come si pensava alcuni decenni fa, identificandolo specificamente con un proletariato al quale si attribuivano proprietà  prometeiche.

Qual è la caratteristica dell’attuale movimento popolare?

Oggi sta sorgendo un soggetto contestatario multiforme, composto da settori del movimento operaio, mapuche, studenti, giovani, ecologisti, donne, molto variegato. Più che l’appartenenza a un settore sociale, è la posizione di fronte al conflitto sociale e politico che i soggetti stanno assumendo ciò che tende a definirli più o meno come potenziali soggetti capaci di raccogliere l’eredità degli antichi movimenti sociali e proiettarla in nuovi termini secondo le attuali condizioni. Un esempio molto rilevante è quello accaduto recentemente con i lavoratori portuali, il cui sciopero nazionale è stato essenzialmente di solidarietà con i loro compagni di Mejillones, più che per le rivendicazioni specifiche di ogni porto. Cosa che implica che si sta creando una specie di ripresa di alcuni fili conduttori che avevano caratterizzato il movimento operaio, che era la solidarietà di classe.

Si percepisce qualche legame con il movimento popolare storico?

C’è una preoccupazione in crescenti settori della base sociale per il recupero di quella memoria storica e questo si riflette in continue domande di investimenti storici che ci formulano i movimenti sociali sotto forma di dibattiti, conferenze, partecipazione a forum, scrittura di articoli per i loro mezzi di comunicazione, ecc. non si tratta che i movimenti attuali aspirino a ripetere meccanicamente il passato, ma di un interesse a conoscere la storia, per alimentare la propria riflessione.

È verosimile oggi la rappresentanza politica trasformatrice nella sua versione classica?

L’ideale del rivoluzionario per alcuni attori continua ad essere verosimile, anche se non per il grosso della popolazione cilena. Questo ideale persiste e si sviluppa in segmenti della gioventù studentesca e delle periferie urbane e in settori dei lavoratori, ma finora mancano delle rappresentanze politiche che in un certo momento della nostra storia hanno incarnato quegli ideali, perché le formazioni politiche tradizionali sono screditate.

C’è un’evidente carenza di alternative. Qui c’è un problema politico serio, perché i movimenti sociali continueranno il loro sviluppo, e di fronte all’assenza di rappresentanze politiche che esprimano il nuovo che viene dal basso, saranno condannati a un eterno ciclo di liti, proteste, mobilitazioni e fallimenti non potendo dare uno sfogo progettuale alle loro domande e non potendo agire in uno scenario politico nazionale per diventare un attore con possibilità di esercitare il potere. Questo si articola in temi molto puù ampi che si relazionano con la necessaria rifondazione politica dello Stato del Cile attraverso un’Assemblea Costituente. Esiste una anomia ( inadeguatezza) politica, abbiamo movimenti sociali che non riescono a rappresentarsi politicamente e si osserva un impantanamento politico generale della società cilena, dovuto all’alternanza tra due blocchi che si disputano l’amministrazione del modello, con proposte di mere riforme che stanno dentro i margini possibili, mentre i movimenti sociali vogliono rompere con quello, ma perdono efficacia per carenza di strumenti, vie e strategie politiche affinché questo si concretizzi. È pericoloso che i movimenti sociali cadano in questa anomia, e che le élites politiche si mantengano insensibili di fronte ai problemi strutturali. Gli scenari che si possono presentare sono imprevedibili, questa situazione non può riprodursi eternamente, perché la popolazione a un certo momento dirà basta.

 

da Revista Occidente, Nº431, Santiago, agosto 2013

(traduzione di Rosamaria Coppolino)

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