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Pagine di storia. Zimmerwald e il consenso ai crediti di guerra

Cento anni fa la conferenza di Zimmerwald  (con il testo del documento approvato nella conferenza svoltasi tra il 5 e il 9 Settembre 1915 e il testo della dichiarazione elaborata dalla Sinistra)

 

E’ passato un secolo dallo scoppio della prima guerra mondiale: un evento che ha segnato un confine nella storia del mondo e non solo dal punto di vista degli equilibri internazionali nel cuore del “Secolo breve”, ma che è risultato decisivo per le vicende del movimento operaio e delle sue grandi organizzazioni politiche.

 

Si può affermare che dai diversi atteggiamenti tenuti verso la guerra, sono derivate le opzioni che hanno sviluppato la storia del mondo negli anni successivi, quelli dei grandi totalitarismo fino alla scontro della seconda guerra mondiale.

 

Vale la pena, ancor oggi, soffermarsi su una possibile ricostruzione storica, sia pure molto sommaria, cercando di tracciare alcune linee di interpretazione naturalmente giovandoci della rilettura di “classici” della nostra storia che risultano, ancor oggi, del tutto insuperabili.

 

Nel momento in cui l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando viene assassinato a Sarajevo, l’Internazionale socialista sembra al culmine della sua influenza e potenza.

 

I partiti che essa federa non sono mai stati tanto forti: 90.000 iscritti e 1.400.000 voti in Francia (elezioni del 1914), 58.000 iscritti in Italia, 1.425.000 voti alle elezioni tedesche del 1912, nello stesso anno 800.000 voti in Russia sotto un regime semidispotico e 600.000 nel piccolo Belgio; un milione di voti in Austria nell’anno precedente.

 

Questi progressi istituzionali sono accompagnati, dopo il 1910, nella maggior parte dei Paesi tranne che in Francia, da una recrudescenza di grandi lotte di classe, il cui sviluppo coincide con gli anni di massima prosperità capitalistica.

 

Forze nuove si affacciano alla ribalta in molti partiti, talvolta anche nell’emigrazione tra intellettuali non sempre legati alle lotte reali, ma anche il nuovo sindacalismo sembra partecipe di questa spinta in avanti.

 

Per questi motivi il crollo sarà quindi tanto più clamoroso.

 

Tra la fine di luglio e i primi di agosto del 1914, l’Internazionale deve confessare la sua totale impotenza: la guerra scoppia e l’Internazionale non sa fare altro che indire per il 29 luglio a Bruxelles, un’ultima riunione del Bureau.

 

Il fatto è che la bandiera della vecchia Internazionale è apparsa, nell’ora della grande tragedia come un simbolo derisorio anche perché i socialisti di quasi tutti i grandi paesi europei, fatta eccezione per la Russia e la Serbia (e più tardi l’Italia) hanno partecipato nella loro enorme maggioranza e in gradi diversi all’union sacrée con le classi dirigenti in nome della “difesa nazionale”.

 

Il colpo di pistola sparato al Caffè du Croissant la sera del 31 luglio 1914 da uno squilibrato solitario che uccide Jean Jaurès segna l’inizio della catastrofe.

 

IL 1 Agosto la Germania dichiara guerra alla Russia e il governo francese decreta la mobilitazione generale: il socialismo europeo non è certo responsabile della guerra ma fallisce senza essersi veramente battuto.

 

Primo atto decisivo: i deputati socialisti votano i crediti di guerra.

 

La decisione del partito tedesco viene maturata in 3 diverse fasi: il 2 Agosto, durante la riunione dell’esecutivo la direzione esita ancora, ma la destra impone una nuova riunione per il giorno dopo: in quella sede la frazione parlamentare convinta che la SFIO non creerà ostacoli al governo Viviani decide con 78 voti contro quattordici, nonostante la violazione della neutralità del Belgio, di votare i crediti militari.

 

Questa posizione sarà illustrata al Reichstag il 4 agosto dal presidente del gruppo parlamentare Haase.

 

In Francia la Camera dei Deputati adotta all’unanimità i progetti di legge presentati dal governo Viviani per organizzare la difesa nazionale e, quindi, i crediti necessari, senza che si svolga un soltanto minimo accenno di dibattito.

 

In Gran Bretagna la resistenza alla guerra è più forte: si dimette il presidente del gruppo parlamentare laburista Mac Donald e quattro deputati dell’Indipendent Labour Party votano contro: ma la grande maggioranza dei dirigenti delle trade unions, la maggioranza del British Socialist Party e numerosi fabiani (ancorché la società fabiana non prenda ufficialmente posizione) approvano.

 

Quali le cause di questa clamorosa sconfitta?

 

Naturalmente nel corso degli anni molte analisi e ricostruzioni sono state sviluppate in sedi molto più importanti e prestigiose di questa: purtuttavia è il caso di porre l’accento su due elementi, il primo la sottovalutazione del pericolo di guerra e il secondo il deficit di analisi teorica sulla natura dell’imperialismo.

 

Da Hilferding a Rosa Luxemburg le analisi approfondite capaci di porre in evidenza i motivi profondi della nuova aggressività del capitalismo furono elaborate con notevole ritardo e per di più in un ambiente ristretto di intellettuali e specialisti.

 

Da più parti, e non soltanto nella destra socialista ma anche nella sinistra pacifista, da Kautksy a Bauer, Haase fino allo stesso Jaurès non si regola il passo sulle analisi di Rosa Luxemburg e si ritiene , seguendo, la teoria dell’ultraimperialismo che il capitalismo internazionale avrebbe regolato pacificamente i propri conti.

 

In Russia il rifiuto della guerra da parte dei dirigenti socialisti è  netto, pur con qualche sbavatura all’interno: la Russia è, però, un paese privo di qualsiasi tradizione nazionale democratica.

 

Il solo gruppo che, riesce comunque a mantenere una chiara posizione rivoluzionaria (Martov e Trotskij su Mysl e Goloi pubblicate a Parigi si collocano comunque su posizioni pacifiste) e unanime a livello di dirigenti è quello bolscevico, che ha saputo forgiarsi nel corso di numerosi conflitti, quando l’intera Internazionale condannava il suo settarismo.

 

Le “Tesi sulla guerra” redatte da Lenin vengono approvate a metà ottobre dai membri dispersi del Comitato Centrale e il 1 Novembre, Lenin e Zinoviev pienamente consapevoli di agire controcorrente riprendono a Berna la pubblicazione del “Social – democrakt” facendone l’organo di una coerente lotta rivoluzionaria.

 

Diversa e originale la posizione dei socialisti italiani che, fin dopo la scissione mussoliniana (Ottobre 1914) e con l’Italia ancora neutrale, avevano preso posizione per reagire alla montatura guerrafondaia di nazionalisti, democratici, massoni e riformisti.

 

Ma, scrive Gaetano Arfè: “ di fatto l’agitazione socialista nonostante l’enfasi del linguaggio è condotta con i metodi classici della pacifica mobilitazione dell’opinione pubblica, assomiglia magari di più a una accesa campagna elettorale che non a una leva di forze rivoluzionarie pronta a una azione energica e decisa”.

 

Tuttavia nel 1915 questa agitazione continuò nonostante le difficoltà e i rischi.

 

Così, quando la piazza interventista era ormai vittoriosa con le violente dimostrazioni di piazza e l’occupazione del Parlamento, i dirigenti del PSI si riunirono a Bologna, il 16-19 maggio 1915 per decidere la posizione del partito. Da quella riunione scaturirà il celebre “né aderire, né sabotare”.

Questo il quadro delle posizioni emerse dalle sparse membra della Seconda Internazionale di fronte al dramma della guerra mondiale.

Gli oppositori della guerra, di diverse correnti pur minoritari, a partire dalla primavera del 1915, iniziarono però a cercare nuovamente un collegamento internazionale.

A questo desiderio, dopo un intenso e anche oscuro lavoro preparatorio svolto ad esempio fra il partito italiano e quello svizzero di cui non è possibile dar conto nel corso di questo lavoro, risponderanno le conferenze di Zimmerwald (5-8 Settembre 1915) e di Kienthal (24-30 Aprile 1916).

L’idea di una conferenza internazionale di tutti i gruppi, di tutte le organizzazioni operaie scelte non in funzione della loro rappresentatività ma in ragione della loro condanna dell’union sacrée e della loro fedeltà ai “vecchi principi” e alle vecchie risoluzioni dell’Internazionale operaia, matura lentamente tra il fallimento dei neutralisti e il relativo successo della conferenza femminile e di quella giovanile.

Essa prende forma tra il maggio e il settembre del 1915 per iniziativa di due militanti, lo svizzero Robert Grimm e il menscevico di sinistra Martov e su di un appello di un partito il PSI.

L’incontro vede riuniti 38 delegati di 11 paesi: sono rappresentati ufficialmente i partiti che si richiamano al marxismo, quello italiano, russo, bulgaro, romeno, polacco e lettone, la Norvegia è rappresentata dall’organizzazione giovanile, l’Olanda e la Svezia da gruppi della sinistra dei rispettivi partiti; significative le presenze tedesche, rappresentanti la sinistra operaia e francesi.

Il Manifesto votato  all’unanimità a Zimmerwald non chiama alla rivoluzione, ma punta “a ripristinare la pace tra i popoli sulla base della pace senza annessioni e del diritto dei popoli all’autodeterminazione”, inoltre giudica la guerra come “ un prodotto dell’imperialismo che mette a nudo il carattere reale  del capitalismo moderno” (si sente in questo passaggio la mano dei francesi ma soprattutto di Trotskij).

La votazione di Zimmerwald avvenne, come già ricordato, all’unanimità ma le interpretazioni del documento furono diverse e sei delegati l’accettarono come un “appello alla lotta” stilando un’apposita dichiarazione di condanna dell’opportunismo e specificando come fosse assente un’indicazione dei mezzi idonei a combattere la guerra.

I sei delegati erano Lenin, Zinoviev, Radek (delegato di Brema), Hoglund e Nerman (rappresentanti dell’estrema sinistra scandinava) e il delegato lettone Winter.

Era nata la “sinistra di Zimmerwald” che, alla successiva conferenza di Kienthal allargò i propri consensi sino a 19 delegati su 44 con l’adesione dei menscevichi , della maggioranza degli italiani (tra i quali Serrati e Angelica Balabanoff) e di una parte dei tedeschi (fra i quali due delegati spartachisti).

Nel documento finale la classe operaia viene chiamata all’azione di massa per la pace e per le proprie rivendicazioni, fino al “trionfo finale del proletariato”.

L’esito di Kienthal è chiaro: pur nelle difficoltà la prospettiva della rivoluzione è aperta, mentre diviene possibile quella di una rottura organizzativa con la Seconda Internazionale.

Zinoviev ammette, senza farsi illusioni, che si tratta di un “nuovo passo avanti verso la Terza Internazionale”.

Siamo praticamente alla vigilia della rivoluzione russa e della vittoria dei bolscevichi: un’altra piega della storia, improvvisa e violenta che determinò una cesura netta anche rispetto alla fase della quale si è cercato di ricostruire, sia pure sommariamente, i difficili passaggi.

E’ passato un secolo: serve ancora ricordare, riflettere, analizzare. Non è mai tempo e fatica sprecati.

Sono stati consultati per questo lavoro i seguenti testi:

“Storia del Socialismo” (volume secondo) a cura di Jacques Droz. Editori Riuniti 1974

Giorgio Galli “Storia del Socialismo Italiano” Laterza 1980

G.D.H Cole “Storia del pensiero socialista” (terzo volume) Laterza 1968

Di seguito il testo integrale del documento approvato a Zimmerwald

Documenti

Prima guerra mondiale

Manifesto di Zimmerwald (approvato dall’unanimità) 5 – 9 Settembre 1915

Proletari d’Europa!

La guerra continua da più di un anno.

Milioni di cadaveri coprono i campi di battaglia; milioni di uomini sono rimasti mutilati per tutto il resto della loro esistenza. L’Europa èdiventata un gigantesco macello di uomini. Tutta la civiltà che era il prodotto del lavoro di parecchie generazioni è distrutta. La barbarie più selvaggia trionfa oggi su tutto quanto costituiva l’orgoglio dell’umanità.

Qualunque sia la verità sulle responsabilità immediate della guerra, questa è il prodotto dell’imperialismo, ossia il risultato degli sforzi delle classi capitalistiche di ciascuna nazione per

soddisfare la loro avidità di guadagni con l’accaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo intero. In tal modo, le nazioni economicamente arretrate o politicamente deboli cadono sotto il giogo delle grandi potenze, le quali mirano con questa guerra a rimaneggiare, col ferro e col sangue, la carta mondiale nel loro interesse di sfruttamento. Ne risulta che popolazioni intere, come quelle del Belgio, della Polonia, degli Stati balcanici, dell’Armenia, sono minacciate di servire al giuoco della politica dei compensi e di essere spezzate ed annesse.

I motivi di questa guerra, a mano a mano che si sviluppa, appariscono nella loro ignominia. I capitalisti, che dal sangue versato dal proletariato traggono i Più grossi profitti, affermano, in ogni paese, che la guerra serve alla difesa della patria, della democrazia, alla liberazione dei popoli oppressi.

Essi mentono.

Questa guerra, infatti, semina la rovina e la devastazione, e distrugge, al tempo stesso, le nostre libertà e l’indipendenza dei popoli

Nuove catene, nuovi pesi ne saranno la conseguenza, ed è il proletariato di tutti i paesi, vincitori e vinti, che li sopporterà.

Invece dell’aumento di benessere, promesso al principio della guerra, noi vediamo un accrescimento della miseria per la disoccupazione, il rincaro dei viveri, le privazioni, le malattie, le epidemie. Le spese della guerra, assorbendo le risorse del paese, impediscono ogni progresso nella via delle riforme sociali e mettono in pericolo quelle conquistate fin qui.

Barbarie, crisi economica, reazione politica: ecco i risultati tangibili di questa guerra crudele.

In tal modo la guerra rivela il vero carattere del capitalismo moderno e dimostra che esso è inconciliabile non solamente con l’esigenza del progresso,ma anche con i bisogni più elementari dell’esistenza umana.

Le istituzioni del regime capitalista, che dispongono della sorte dei popoli; i governi, tanto monarchici quanto repubblicani; la stampa, la chiesa, portano la responsabilità di questa guerra, che ha la sua origine nel regime capitalista e che è stata scatenata a profitto delle classi possidenti.

[…]

Lavoratori!

Voi, ieri ancora gli sfruttati, voi, gli oppressi, voi, i disprezzati, non appena dichiarata la guerra, quando è occorso mandarvi al massacro e alla morte, la borghesia vi ha invocati come suoi fratelli

e compagni. E adesso che il capitalismo vi ha salassati, decimati, umiliati, le classi dominanti esigono che voi rinunziate alle vostre rivendicazioni, che abdichiate al vostro ideale socialista e internazionale. Si vuole, insomma, che voi vi sottomettiate come servi al patto dell’« unione sacra».

Vi si toglie ogni possibilità di manifestare i vostri sentimenti, le vostre opinioni, i vostri dolori. Vi si impedisce di presentare e di difendere le vostre rivendicazioni. La stampa è legata, calpestate le libertà e i diritti politici.

È il regno della dittatura militare.

Noi non possiamo e non dobbiamo restare più a lungo indifferenti a questo stato di cose minacciante tutto l’avvenire dell’Europa e dell’Umanità. Durante dozzine d’anni il proletariato socialista ha condotto la lotta contro il militarismo. Nei Congressi nazionali e internazionali i suoi rappresentanti constatavano, con inquietudine sempre crescente, il pericolo della guerra, conseguenza dell’imperialismo. A Stuttgart, a Copenaghen, a Basilea, i Congressi socialisti internazionali hanno tracciata la via che il proletariato doveva seguire

Ma i partiti socialisti e le organizzazioni di alcuni paesi, pur avendo contribuito all’elaborazione di quelle deliberazioni, fin dallo scoppio della guerra sono venuti meno ai doveri che esse loro imponevano. I loro rappresentanti hanno indotto il proletariato ad abbandonare la lotta di classe,

vale a dire il solo mezzo efficace della emancipazione proletaria. Essi hanno accordato i crediti militari alle classi dominanti. Si sono posti al servizio de oro governo e hanno tentato, con la loro stampa e con i loro emissari, di guadagnare i paesi neutri alla politica dei loro governanti.

Essi hanno mandato al potere borghese dei ministri socialisti, come ostaggi per il mantenimento dell’«unione sacra».

 E così, davanti alla classe operaia, hanno accettato di dividere con le classi dirigenti le responsabilità attuali e future di questa guerra, dei suoi scopi, dei suoi metodi. E la rappresentanza ufficiale dei socialisti di tutti i paesi, il «Segretariato socialista internazionale», ha mancato completamente al suo scopo.

Queste le cause per le quali la classe operaia, che non aveva ceduto allo smarrimento generale, o che aveva saputo in seguito liberarsene, non ha ancora trovato le forze e i mezzi per «intraprendere una lotta efficace e simultanea in tutti i paesi contro la guerra».

In questa situazione intollerabile, noi rappresentanti dei Partiti socialisti, dei Sindacati e delle loro minoranze, noi, tedeschi, francesi, italiani, russi, polacchi, lettoni, rumeni, bulgari, svedesi,

norvegesi, olandesi, svizzeri, noi, che non ci collochiamo sul terreno della solidarietà nazionale colla classe degli sfruttatori, noi, che siamo rimasti fedeli alla solidarietà internazionale fra i proletariati dei diversi paesi, ci siamo adunati per richiamare la classe operaia ai suoi doveri verso se stessa e per indurla alla lotta per la Pace.

Questa lotta è al tempo stesso la lotta per la libertà e per la fraternità dei popoli e per il socialismo.

Si tratta d’impegnare un’azione per una pace senza annessioni e senza indennità di guerra. Questa pace non è possibile che condannando anche l’idea di una violazione dei diritti e delle libertà dei popoli, I’occupazione di un paese o di una provincia non deve portare alla loro annessione. Nessuna annessione effettiva o mascherata. Niente incorporazioni economiche forzate, imposte, che diventano ancora più intollerabili per il fatto consecutivo della spoliazione dei diritti politici degli interessati. Si riconosca ai popoli i l diritto di disporre di se medesimi.

Proletari

Fin dall’inizio della guerra voi avete messo tutte le vostre forze, il vostro coraggio, la vostra costanza al servizio delle classi possidenti, per uccidervi scambievolmente; adesso si tratta, restando sul terreno della lotta di classe irriducibile, di agire per la nostra propria causa, per la causa sacra del socialismo, per l’emancipazione dei popoli oppressi, delle classi asservite.

I socialisti dei paesi belligeranti hanno il dovere di condurre questa

lotta con ardore ed energia; i socialisti dei paesi neutri hanno il dovere di sostenere con mezzi efficaci i loro fratelli in questa lotta contro la barbarie sanguinosa.

Mai fu nella storia una missione più nobile e più urgente. Non vi sono sforzi e sacrifici  troppo grandi per raggiungere questo scopo: la pace fra gli uomini.

Operai e operaie, madri e padri, vedove e orfani, feriti e storpiati, a voi tutti, vittime della guerra, noi diciamo: al di sopra dei campi di battaglia, al di sopra delle campagne e delle città devastate:

Proletari di tutti i paesi unitevi!

DICHIARAZIONE ELABORATA DALLA “SINISTRA DI ZIMMERWALD”  (sottoscritta da sei delegati: I sei delegati erano Lenin, Zinoviev, Radek (delegato di Brema), Hoglund e Nerman (rappresentanti dell’estrema sinistra scandinava) e il delegato lettone Winter.)

La guerra che da più di un anno devasta l’Europa è una guerra imperialista per lo sfruttamento economico di nuovi mercati, per la conquista delle fonti di materie prime, per lo stanziamento di capitali. La guerra è un prodotto dello sviluppo economico che vincola economicamente tutto il mondo e lascia al tempo stesso sussistere i gruppi capitalisti costituitisi in unità nazionali, e divisi dall’antagonismo dei loro interessi.

Col tentativo di dissimulare il vero carattere della guerra, la borghesia ed i governi, i quali pretendono che si tratti di una guerra per l’indipendenza, di una guerra che è stata loro imposta, non fanno che trarre in inganno il proletariato, perché in realtà lo scopo della guerra è proprio l’oppressione dei popoli e di paesi stranieri. Lo stesso è delle leggende che attribuiscono ad essa il ruolo di difesa della democrazia, mentre invece l’imperialismo significa dominio più brutale del grande capitalismo e della reazione politica. Solo con l’organizzazione socialista della produzione, che a sua volta risolverà le contraddizioni ingenerate dalla fase attuale del capitalismo, l’imperialismo potrà essere superato, essendo già mature le condizioni obiettive per tale trasformazione.

Quando la guerra scoppiò la maggioranza dei dirigenti del movimento operaio non oppose all’imperialismo l’unica soluzione, quella socialista. Trascinati dal nazionalismo, minati dall’opportunismo, al momento della guerra essi lasciarono il proletariato in balìa dell’imperialismo, rinnegando così il principio del socialismo, vale a dire la vera lotta per gli interessi del proletariato.

Il social-patriottismo – accettato in Germania tanto dalla maggioranza, sinceramente patriottica, di coloro che prima della guerra erano i dirigenti socialisti del movimento, quanto dal centro del partito di tendenza oppositrice riunito attorno a Kautsky; che in Francia e in Austria viene professato dalla maggioranza; in Inghilterra e in Russia da una parte dei dirigenti (Hyndman, i Fabiani, i dirigenti e membri della Trade-Unions, Plechanov, Rubanovic e il gruppo Nacha Saria in Russia) – è più pericoloso per il proletariato degli apostoli borghesi dell’imperialismo perché, sfruttando la bandiera socialista, il social-imperialismo può indurre in errore la classe operaia. La lotta più intransigente contro il social-imperialismo è condizione prima della mobilitazione rivoluzionaria del proletariato e della ricostituzione dell’Internazionale.

I partiti socialisti e le minoranze di opposizione in seno ai partiti divenuti social-patrioti hanno il dovere di chiamare le masse operaie alla lotta rivoluzionaria contro i governi imperialisti, per la presa del potere politico, in vista dell’organizzazione socialista della società. Senza rinunciare alla lotta per le rivendicazioni immediate del proletariato, riforme da cui il proletariato potrebbe uscire rafforzato, senza rinunciare ad alcuno dei mezzi di organizzazione e di agitazione delle masse, la socialdemocrazia rivoluzionaria ha anzi il dovere di approfittare di tutte queste lotte, di tutte le riforme rivendicate dal nostro programma base per inasprire la crisi sociale e politica del capitalismo e trasformarla in un attacco diretto contro le stesse basi del capitalismo. Questa lotta, essendo condotta nel nome del socialismo, opporrà le masse operaie a qualsiasi tentativo volto all’oppressione di un popolo da parte di un altro – la quale consiste nel mantenimento del dominio di una Nazione sulle altre e nelle aspirazioni annessionistiche; questa stessa lotta per il socialismo renderà le masse inaccessibili alla propaganda della solidarietà nazionale mediante la quale i proletari sono stati trascinati sui campi del massacro.

È combattendo contro la guerra mondiale, e per accelerare la fine del massacro dei popoli che questa lotta deve essere intrapresa. Essa chiede che i socialisti escano dai ministeri, che i rappresentanti della classe operaia denuncino il carattere capitalista-antisocialista della guerra dalle tribune dei parlamenti, nei giornali, e ove non sia possibile farlo con la stampa legale, nella stampa clandestina, che combattano energicamente il social-patriottismo, che approfittino di qualsiasi manifestazione di massa provocata dalla guerra (miseria, grandi sconfitte), per organizzare dimostrazioni di piazza contro i governi, che facciano propaganda di solidarietà internazionale nelle trincee, promuovano scioperi economici trasformandoli, se le condizioni lo consentono, in scioperi politici. Il nostro motto è: guerra civile, non unione sacra. Opponendosi all’illusione che si crea quando si lascia intendere che sia possibile gettare le basi di una pace duratura e avviare il disarmo attraverso le decisioni dei governi o della diplomazia, i socialdemocratici hanno il dovere di ripetere continuamente alle masse che soltanto la rivoluzione sociale potrà realizzare la pace duratura e liberare l’umanità.
 

 

 

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