L’11 settembre del 1973 saliva al potere in Cile, appoggiato dalle politiche statunitensi anticomuniste, Augusto Pinochet: uno dei più grandi criminali della storia dell’umanità.
Non contiamo ancora i morti di questo macellaio, ma possiamo dire quasi con certezza che la prima vittima dei suoi trent’anni di terrore fu l’allora presidente socialista Salvator Allende.
La tortura, il massacro, gli scomparsi, e la morte naturale. Sì perché è bene ricordare che Pinochet nonostante il referendum richiesto dalla letargica opinione internazionale dopo quasi trent’anni di sangue coagulato, si dimise e divenne generale dell’esercito, per essere poi arrestato in Inghilterra e rispedito in Cile per motivi di salute dove finalmente morì. Di vecchiaia.
Questa data è un’altra infamia dell’imperialismo americano, che ancora oggi si diverte a sotterrare i cadaveri facendo sporcare le mani ai suoi burattini carnivori, e questo, da quando tutti abbiamo memoria.
Le vittime, come detto, ancora non si contano, ma camminando sul filo della storia voglio passare dall’universale al particolare, raccontando la storia di un solo uomo; un uomo che ufficialmente non è stato assassinato da Pinochet, ma su cui bisogna riflettere.
Quell’uomo si chiamava Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, che poi cambiò nome ufficialmente in Pablo Neruda.
Neruda morì a pochi giorni di distanza dal golpe di Pinochet, e la sua è una delle storie più tristi e amare che la vita può scrivere. Una di quelle storie che hanno il finale ancora più assurdo, perché la poesia di Neruda, una delle poesie più forti e colorate del secolo, è oggi ricordata con la fanfara romantica, spogliata della sua vivacità politica, che ne è stata la vera linfa.
Neruda perseguitato da Videla, Neruda fuggiasco, Neruda esiliato, Neruda che canta una delle più belle odi della storia al distante cadavere di Lorca (assassinato da Franco), Neruda che sente i morti sulla pelle, Neruda politico, Neruda che piange per le madri spagnole, Neruda che denuncia la sordità dell’America, ma che parla direttamente al cuore dei suoi “soldatini”.
Neruda che non ha paura di schierarsi con Stalin. Neruda che torna in patria e appoggia Allende, Neruda che muore subito dopo il golpe di Pinochet.
Neruda pericoloso. Neruda che fa paura.
Come detto la poesia di Neruda è una delle più forti di tutto il secolo passato, i suoi colori sono quelli della morte e della terra insanguinata, i suoi temi si distinguono da quelli di tutti i suoi contemporanei perché è un poeta che si schiera.
Un artista è partitocratico. Un artista che non prende posizione è un bugiardo, e per questo non è un artista.
Mi fa rabbia e pena vedere le poesie di Neruda scialacquare nel buonismo, e ricordare solo l’aspetto romantico di questo genio, a me piace ricordarlo con la forza e il coraggio, con la morte nel cuore nelle traduzioni dell’amico poeta Quasimodo, mi piace vedere Neruda come uomo impegnato, come intellettuale e politico, come poeta d’una fattezza colossale, un gigante di terra, che si erge dalle montagne dei suoi luoghi sconosciuti e grida contro il fascismo, intonando canti di rivolta, a tutte le possibili generazioni.
E dunque, oggi, l’11 settembre, più che mai…
Si desti il taglialegna!
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