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Darkland: un filo nero tra passato e presente

di Pina Zechini

Ogni autunno, pochi larici, intrusi fra la vegetazione sempreverde della Foresta Nera, ingiallendo, riportano in vita l’odioso simbolo nazista: la svastica che invade il bosco, lo stupra, allunga i suoi tentacoli dal passato nel nostro presente. Un passato scomodo, ingombrante, troppo spesso messo a tacere o liquidato frettolosamente come un incidente della storia.
“Darkland”, l’ultimo romanzo di Paolo Grugni, (MelvilleEdizioni) ci sbatte il nazismo in faccia; certo si tratta di un romanzo: storico, noir, giallo, ciascuno lo collocherà dove meglio crede nella galleria dei generi letterari.
Si tratta certamente di letteratura, di ottima letteratura, e questo è il pregio principale del lavoro. Perché il filo diretto che lega il lettore con la storia narrata è il modo più semplice e chiaro per avvicinare chiunque a un tema troppo spesso confinato alla letteratura specialistica, perlopiù storica o sociologica.
La fiction romanzesca, invece, prende per mano il lettore e lo porta in un paesino della Foresta Nera, dove il protagonista, un professore di criminologia, ritrova per caso dei resti di ossa umane sepolte venticinque anni prima. Durante il racconto si scopre l’esistenza di una setta esoterica filo-nazista, punta dell’iceberg di un pensiero reazionario e fascista, ben presente nel panorama sociale e politico tedesco.
Spunti interessantissimi, sovente ignorati dalle analisi storiche, sono i legami dell’ideologia nazista con l’esoterismo e i simboli della mistica del potere; altrettanto non banale è il legame della setta nazista con la letteratura fantasy. L’autore tratta questi temi, oggetto di studi antropologici e letterari, in modo da armonizzarli con la trama del libro ma senza forzature stilistiche.
Infine, uno dei punti centrali del romanzo è il rapporto del presente con il passato nazista. Un rapporto disconosciuto dai più e decisamente negato da altri, che invece il testo ha il merito di rendere palpabile. Perché non solo di romanzo si tratta, ma di una ricerca approfondita, di cui l’autore da conto con una accurata bibliografia finale.
Grugni non fa sconti alla verità storica, non la ammorbidisce in nome di un presente “pacificato”; al contrario, svela al lettore il gioco di specchi di cui siamo vittime. La responsabilità non è stata solo di un uomo, anche se appare come il mostro perfetto, l’unicum aberrante, il capro espiatorio di un popolo intero. Il morbo nazista non è stato debellato con il Processo di Norimberga, vetrina per i vincitori a cui non fece seguito una reale analisi storico-politica che coinvolgesse le masse.
L’ideologia xenofoba e razzista incarnata dal nazismo si è diffusa a macchia d’olio; forse perchè, sottolinea l’autore, era ben presente nella società tedesca (e aggiungerei europea), ben prima della sua incarnazione concreta nella Germania hitleriana. Se il nazista in divisa ha percepito sé stesso come pezzo di un ingranaggio burocratico senza sentire la responsabilità individuale del proprio agire, non basta ricorrere all’analisi di Bauman sulla modernità o alla “banalità del male” della Arendt; non basta fare appello agli ingranaggi perversi di una modernità burocratizzata. Il nazista-uomo comune si è sentito sostenuto e autorizzato da un pensiero collettivo più o meno palese o strisciante, che ha connotato il passato di molti popoli europei. Hitler è arrivato nel momento in cui crisi economica e modernità hanno reso possibili i campi di sterminio, dopo che per secoli ci si era “accontentati” di pogrom violenti ma più episodici. Nel linguaggio comune, i campi di morte nazisti sono spesso simbolo di bestialità. L’autore ci mostra la prospettiva opposta, quella che gli specchi ci hanno occultato; le modalità organizzative dei campi di concentramento, le frasi, le denominazioni degli spazi di vita e di morte, richiamano profondamente la vita dell’uomo. Le ideologie nazi-fasciste rappresentano il peggio  della razza umana, letteralmente, perché nessun’altra specie animale concepirebbe aberrazioni simili.
Un odio che si alimenta ancora oggi di crisi economica e facili soluzioni. Un odio che percola nelle percentuali di voto che riscuotono partiti come il Front National di Le Pen o il consenso, mai troppo esiguo di formazioni quali la Lega di Salvini.
La congiuntura economica che portò Hitler e i suoi epigoni al potere in Europa negli anni Trenta, non è molto diversa da quella di oggi. I potenti del mondo legarono i propri affari a doppio filo con quelle ideologie e le sfruttarono a proprio vantaggio finché poterono, per poi reciclarsi democratici nel dopoguerra. Grugni cita l’episodio della Bayer che comprò centinaia di cavie umane per sperimentare i propri prodotti.
Oggi, da un lato, i signori dell’economia fanno affari attraverso il paravento della guerra al terrorismo; dall’altro, la gente viene imbonita di falsi storici, sociali e politici sul nuovo nemico, i fedeli di religione islamica. La peste bubbonica per il regime nazista erano gli ebrei, i comunisti, i gitani, i popoli dell’est. Oggi i nemici sono i migranti che provengono dal Sud del mondo.
Forse non ci ricascheremo. Sicuramente le scellerate politiche dei governi liberali europei non aiutano. Il grande merito del romanzo è spingere le persone a interrogarsi. Abbiamo sviluppato gli anticorpi per respingere i nuovi nazi-fascismi che serpeggiano in Europa? Il racconto cattura il lettore fino all’ultima pagina, con un finale assolutamente aperto a molte possibilità: i temi trattati, le vite dei personaggi strabordano dalle pagine del libro e ci spingono a confrontarci con le nostre realtà.

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