A pochi giorni dalla sua uscita nelle sale cinematografiche sono andato a vedere Race. Il colore delle vittoria, film sulla vita e sulle imprese sportive di Jesse Owens. Come è noto, questo eccezionale atleta statunitense di colore vinse quattro medaglie d’oro nell’atletica alle Olimpiadi di Berlino del 1936, dando un bel dispiacere ai teorizzatori della superiorità della “razza ariana”. Il film non mi è parso né bello né brutto, non mi sono annoiato ma non credo che questo film sarà ricordato come un capolavoro nella storia del cinema. Non ci sarebbe dunque ragione di scriverne su Contropiano se non per rilevare che anche questo film si associa alla moda di riabilitare personaggi dal sinistro passato nazista. Mi riferisco, in questo caso, a come viene messa in scena la figura di Leni Riefenstahl, regista di regime che entra nella vicenda come autrice del famoso film Olympia, lungo documentario sulle olimpiadi di Berlino che fu presentato al pubblico il 29 aprile 1938 nel corso delle celebrazioni del quarantanovesimo compleanno di Hitler e in seguito inviato al Festival del cinema di Venezia dove vinse la medaglia d’oro.
Race si associa alla leggenda secondo cui la Riefenstahl sarebbe stata odiata da Goebbels, allora ministro della cultura e della propaganda, il quale avrebbe anche cercato di impedirle le riprese della finale dei 200 metri in previsione della vittoria di Owens. In realtà Leni Riefenstahl era intima amica di Hitler sin dal 1932 ma anche dello stesso Goebbels il quale, in effetti, non avrebbe nemmeno potuto interferire nel suo lavoro poiché, in virtù delle relazioni e dei trascorsi di provata fede al nazismo, era l’unica regista che non doveva rispondere alla Reichsfilmkammer, la sezione della Reichskulturkammer che controllava la produzione cinematografica nella Germania nazista. Il film Olympya fu prodotto su commissione dello stato tedesco che ne finanziò la realizzazione, tuttavia fu costituita appositamente una società fantasma a nome della Riefenstahl per evitare di dichiarare il diretto coinvolgimento del Reich nella produzione. La regista, peraltro, aveva già lavorato per i nazisti alla realizzazione del film di propaganda Triumph des Willens (Trionfo della volontà), sul congresso del Partito Nazionalsocialista del 1934 e in totale realizzò per il regime ben quattro film variamente propagandistici (lavorando anche nei film-studio Barrandov della Praga occupata).
Il film Race sembra anche attribuire alla Riefenstahl un sogno di fraternità tra i popoli quando, commentando il momento di cui l’atleta tedesco Lutz Long1 invita Owens a compiere insieme un giro di pista dice che il suo connazionale “sta scrivendo il mio film”. In realtà, dei gesti di solidarietà e di sostegno di Long verso Owens nella sceneggiatura di Olympia non c’è nulla, come non si trova niente delle presunte scene di salto in lungo che la Riefenstahl avrebbe chiesto a Owens di girare dopo la chiusura della competizione.
Accreditare oggi l’immagine di una Riefenstahl non coinvolta con l’ideologia nazista appare un’operazione mistificatrice e poco attenta all’estetica dei suoi film. E’ vero che la regista tedesca ebbe a dichiarare ai Cahiers du cinéma, nel 1965, che i suoi lavori non erano propaganda, ma erano “cinema verità” poiché non una sola scena era girata in studio. Tuttavia, i documentari non sono mai neutri, ma rappresentano un punto di vista su una realtà; in particolare i film della Riefenstahl aderiscono a una precisa estetica che si traduce nella scelta dei soggetti, delle inquadrature, delle riprese e non ultimo dell’autore delle musiche. Tutte queste scelte sono rappresentate nella realizzazione di Olympia che, si badi, è, per i tempi in cui fu realizzato, di grande modernità, tuttavia aderente a un’estetica coerente con il nazismo. E’ proprio nel fatto estetico che va ricercato il linguaggio corrivo al nazismo della Riefenstahl.
Le Olimpiadi del 1936 costituirono un’occasione propagandista inattesa per il regime. La decisione di tenere l’XI Olimpiade a Berlino fu presa prima della salita al potere di Hitler e si dice che fu Goebbels a vincere le titubanze del dittatore a confermare l’evento, facendogli intravedere un possibile ritorno di immagine per il regime. Tutta la cultura tedesca nazista fu mobilitata per l’occasione: fu costruito uno stadio ispirato alle forme dell’antica Grecia, il compositore Richard Strauss venne incaricato di comporre l’inno olimpico, che poi diresse nel medesimo stadio, mentre alla Riefensthal toccò la documentazione cinematografica, appunto il film Olympia.
Tale film è suddiviso in due parti: la Festa dei popoli e la Festa della Bellezza che coprono una durata totale di oltre tre ore. La prima parte comprende riprese della marcia dei tedofori verso Berlino (tradizione olimpica inaugurata proprio in quell’edizione dei giochi), della cerimonia inaugurale (con le delegazione italiana che sfila a braccio teso con il berretto fascista in testa), e delle gare di atletica leggera, tra cui quelle disputate da Charlie Owens. La seconda parte, appunto la Festa della Bellezza è consacrata a diverse discipline sportive e ha un’introduzione in cui si vedono alcuni atleti nudi esercitarsi e fare la doccia insieme, con una musica che tende a sottolineare un aspetto quasi rituale di tale momento.
E’ proprio nella seconda parte che il film Olympia manifesta il suo carattere esteticamente nazista, perché vi si dispiega quel mito del corpo, della nudità, della vita primordiale e primitiva, di un comunitarismo falsamente legato alla natura che fu uno degli elementi fondanti dell’estetica nazista. Il culto del corpo slegato dalla mente, dell’elemento primordiale, della nudità rimandano a quell’ideale di rinascita del corpo e della comunità mediati dalla presenza di un irresistibile leader che era, per i nazisti, identificato in Hitler. Il nazismo utilizzò, nella sua costruzione ideologica, il messaggio del ritorno alla natura e alla vita comunitaria e impiegò anche, ai suoi fini, la distorsione di alcune idee e pratiche che facevano parte della repubblica di Weimar, ma che avevano un segno soprattutto socialdemocratico o socialista, piegandole all’irrazionalismo della destra2. Se tale processo di distorsione fu applicato soprattutto alle idee della sinistra politica, agli ebrei si rimproverò, appunto, di essere urbanizzati, intellettuali, portatori di una cultura critica distruttiva, quindi lontani da quella “natura” tanto decantata dai nazisti.
Tutto questo sottolineato dalle musiche composte dal nazista Herbert Windt, che scriveva musiche per i film di regime mentre i suoi colleghi Schoenberg, Weill, Eisler, Schuloff, Ullmann e tanti altri erano costretti all’esilio o persino alla deportazione e alla morte.
Dopo la seconda guerra mondiale Leni Riefenstahl propose alcune iniziative che avrebbero testimoniato una sua visione non razzista. Mi riferisco alle sue indagini filmiche e fotografiche sulle culture tradizionali africane e in particolare sui Nuba. In realtà, anche queste attività della regista tedesca erano interne alla sua ideologia nazista. Infatti, seppure i Nuba non sono certamente di “razza ariana”, le ragioni del suo interesse per questo popolo non erano di valorizzarne la cultura ma di mettere in luce proprio quei tratti di “naturalità”, di “fisicità” e di “non-corruzione” che nutrirono l’ideologia antirazionale nazista. Ciò che interessa alla Riefenstahl, nella cultura dei Nuba, è l’intrico tra i miti primitivi e la vita primordiale o presunta tale, dei Nuba in una visione del mondo in cui il “Bello” si identifica con il gesto del corpo “puro” contrapposto all’”impuro”, il corrotto all’incorrotto, la mente al fisico e infine la forza allo spirito critico. Nessun interesse specifico, quindi, verso le culture africane, ma annessione di alcune loro immagini primitive al pensiero “razziale”, vale a dire sostenere che nell’esistenza di tali persone ci fosse una primordialità legata alla “razza”.
Leni Riefenstahl fu assolta dai tribunali alleati che si occupavano dei crimini nazisti. Tribunali che spesso erano poco informati su chi fossero gli imputati e su cosa avessero significato nella storia della Germania. Molti intellettuali compromessi con il nazismo, come anche il compositore Carl Orff, riuscirono a mescolare le carte tanto da farsi assolvere. Ma al di là del giudizio di quel tribunale, quello della storia pesa molto di più su Leni Riefensthal.
1 Carl Ludwig Long (1913-1943) fu un campione tedesco di salto in lungo su cui la Germania contava per una sicura vittoria alle Olimpiadi. Durante le qualificazioni, visto che Owens aveva sbagliato per deconcentrazione i primi due salti, lo consigliò sul punto di battuta da scegliere, consentendogli di passare alla finale. La finale fu spettacolare e serratissima e il tedesco si classificò secondo dopo Owens. I due atleti rimasero per sempre amici sino alla morte di Long, avvenuta in combattimento in Sicilia nel 1943 durante l’occupazione tedesca dell’Italia.
2 Questo processo fu portato avanti massicciamente ma non unicamente nel campo dell’educazione, per esempio distorcendo alcune posizioni sulla positività della vita comunitaria di Leo Kestemberg, illuminato socialdemocratico indipendente che si occupò della riorganizzazione dell’educazione nella Repubblica di Weimar.
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Giacomo Tozzato
Articolo purtroppo poco veritiero e a tratti estremamente incoerente. Per quanto è fondamentale condannare le barbarie naziste, qualsiasi amante del cinema e dell’arte del documentario non può non guardare con ammirazione le abilità filmiche della Riefenstahl, artista a tutto tondo (ballerina, attrice, fotografa, regista). C’è inoltre da sottolineare un aspetto. Nonostante la sua amicizia e ammirazione verso Hitler, Leni Riefenstahl non prese mai la tessera del partito nazionalsocialista tedesco. Il pessimo rapporto con Goebbels è verificato da fonti scritte e da testimoni che all’epoca lavorarono agli ordini del ministro della propaganda. Altro aspetto poco noto della figura della regista è il suo rapporto con Béla Balázs, poeta, scrittore, regista e sceneggiatore ungherese, ebreo e dichiaratamente comunista. Con lui nacque un sodalizio lavorativo che portò alla realizzazione di Das Blaue Licht nel 1932. Il film ebbe un insperato successo di critica. I due registi ricevettero i complimenti da Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, Abel Gange e addirittura da papa Pio XI. Hitler dopo aver visionato la pellicola rimase colpito e vide nel incredibile abilità e la particolare poetica della giovane berlinese, il cineasta perfetto per il suo regime. Da questo capiamo come la giovane regista davanti alle insistenze del capo di stato ceh le prometteva una brillante carriera e soprattutto dal incredibile quantità di denaro promesso, abbia deciso di assecondare le richieste. La Riefenstahl non adattò il suo cinema ai voleri del regime ma Hitler stesso intuì che la sua bravura avrebbe giovato all’immagine del regime e le lasciò carta bianca spesso e volentieri.
I film del 1933 e del 1934 della Riefestahl sono stati titolati e commissionati da Hitler in persona che la sceglie per il documentario sulle olimpiadi del 1936 a Berlino. Leni era tutt’altro che convinta. Temeva infatti che un altro film commissionato dal partito nazionalsocialista le avrebbe bloccato un futuro l’approdo a Hollywood. E la storia le darà ragione.
Ma nel natale 1935, Leni ricevette un invito ufficiale per cenare con Hitler. Non dev’essere stata una grande serata dato che Hitler era notoriamente ateo, astemio e vegetariano. Non il massimo per la notte di natale, ma a metà serata estrasse la sua famosa stilografica e scrisse su di un foglietto una serie di numeri che non finivano mai. Era il budget che le metteva disposizione per “Olympia”. La regista davanti ad una cifra del genere non poté rifiutare, dato che quella cifra le avrebbe datola possibilità di creare il più grande documentario di tutti i tempi.
Ottenne di poter scavare delle tricee all’interno dello stadio olimpico, per riprendere gli atleti come non erano mai stati ripresi prima. Riprese subaquee, più di cinquanta telecamere completamente a sua disposizione, che poteva piazzare dove voleva. Anche in posti dove oggi il comitato olimpico non le farebbe piazzare.
Inoltre è molto famoso il suo flirt con l’atleta americano Glenn Morris non proprio il genere di rapporto indicato dal regime. ci sono altre decine di aneddoti che permettono di comprendere che Leni Riefenstahl non fu il mostro dipinto dalle potenze occidentali o da questo articoletto approssimativo e poco veritiero. Insomma da uno studio attento del personaggio risulta una donna energica che ha sfruttato le vicende storiche a suo vantaggio per poter far arte, per arricchirsi e far carriera, ma di certo non un mostro nazista al pari dei gerarchi.